Carmagnola: una consulta con i giovani dei paesi

 

Irene Cortassa

(NPG 1985-09-45)


Il contesto in cui si colloca l'esperienza della consulta giovanile è la zona vicariale n. 29 comprendente 18 parrocchie senza una grossa omogeneità al loro interno. Vi sono infatti due parrocchie grandi (Carmagnola e Carignano) con la maggioranza degli abitanti, mentre le altre parrocchie sono piccole. Questo crea il nascere di esperienze molto diverse tra di loro ed una difficoltà di confronto. Soltanto in questi ultimi anni infatti si è riusciti ad avviare un collegamento zonale, uscendo dalla chiusura parrocchiale di decenni.
Situata a sud di Torino, nella seconda cintura, la zona 29 ha risentito a livello sociale, soprattutto nei comuni più grandi, dello sviluppo industriale avviatosi nella capitale piemontese. Prima il fenomeno degli insediamenti di grosse e piccole fabbriche, l'abbandono del lavoro nei campi e l'inserimento in ambiente operaio, la forte immigrazione ed il nascere di quartieri sovente «ghettizzanti». Poi la crisi di questo modello di sviluppo: i primi licenziamenti, la cassa integrazione, la chiusura di alcune aziende.
In alcuni comuni più piccoli vi è ancora una buona presenza dell'attività agricola, sovente però legata ad un altro lavoro.
In queste realtà più agricole non si sente molto la crisi economica essendo il contesto familiare abbastanza redditizio.
I giovani vivono i problemi tipici: carenza di prospettive di lavoro e di impostazione di vita, aggregazione basata sul consumo di esperienze diversificate e sui rapporti interpersonali, scarsa partecipazione alla vita pubblica e sociale. L'impegno è la prerogativa per una minoranza.
I luoghi di incontro sono i bar, i giardini, le sale giochi.
Il disorientamento tra i giovani è collettivo, anche se i fenomeni della devianza (delinquenza, droga) si trovano soprattutto in alcuni quartieri più ghettizzanti e problematici.
Nelle parrocchie la presenza giovanile è minima, gli oratori sono poco frequentati e sovente «non animati», l'aggregazione avviene soprattutto su proposte di fede che non sempre incontrano i bisogni immediati e coscienti dei giovani.
C'è un interesse alle problematiche giovanili che non sempre però si concretizza in proposte e inserimenti extra parrocchiali.

L'ESPERIENZA DELLA CONSULTA GIOVANILE ZONALE

Il tentativo di collegarsi a livello zonale come gruppi giovanili si può schematizzare in alcune fasi che riassumono la nostra storia.

L'inizio di un lavoro comune

La data di nascita è il 1979 su iniziativa dell'allora vicario zonale don Vignola che promosse una prima assemblea con i giovani delle diverse parrocchie per lanciare un'inchiesta sulla «situazione giovanile parrocchiale».
L'inchiesta però non si realizzò per una serie di fattori mai veramente chiariti, come l'opposizione di alcune grosse parrocchie e, più semplicemente, perché i tempi non erano ancora maturi per una proposta così impegnativa.
Il risultato di questo primo incontro fu la nascita di un primitivo gruppo di coordinamento, formato da giovani di alcune parrocchie e movimenti, che continuò ad esistere e realizzò un'inchiesta, non scientifica, che permise di prendere coscienza della situazione giovanile parrocchiale esistente.
Sempre questo coordinamento avviò negli anni 79/80 alcuni momenti guidati di confronto per i giovanissimi dall'Azione cattolica diocesana e per i giovani.
Furono delle prime iniziative comuni che aggregarono i giovani a livello personale, senza riuscire ancora ad incidere nelle singole realtà parrocchiali.
L'anno successivo (80/81) si individuò una proposta per gli animatori consistente in un corso base di teologia, organizzato in collaborazione con il gruppo zonale dei catechisti.
Si verificò successivamente che questo corso non rispose pienamente alle esigenze dei giovani, sia per i temi trattati che per la mancanza di coinvolgimento personale dei partecipanti.
Al primo corso ne seguì un secondo, organizzato questa volta a livello giovanile. L'appuntamento fu quindicinale per i mesi da ottobre '81 a maggio '82; i contenuti riguardavano il confronto della realtà con la parola di Dio e l'acquisizione di strumenti psicologici, sociologici e di dinamica di gruppo utili per poter intraprendere l'animazione.
Interessante fu la partecipazione. Si iniziava a configurare la possibilità di lavorare insieme stabilmente, soprattutto su approfondimenti che era difficile organizzare nelle singole realtà.
Questo corso inoltre aiutò a crescere non solo chi vi partecipò, ma anche i responsabili che nel frattempo fecero pratica di gestione collettiva a livello zonale.
Alcune persone di riferimento, soprattutto laici, assunsero infatti responsabilità e stimolarono la sensibilità zonale.
Era intanto cambiato il vicario zonale e nuovi sacerdoti si inserirono a livello giovanile a lavorare coi laici.
La verifica del corso portò ad alcune considerazioni:
- nonostante la presenza fosse stata numerosa e costante (70 partecipanti iniziali, più di 50 alla fine) si notò che questa preparazione non sfociava in scelte concrete di fare l'animatore.
L'obiettivo di questi corsi era di offrire strumenti e contenuti per chi vive o vuol vivere l'animazione. Si verificò invece che le persone ricercavano negli incontri soprattutto una formazione personale che nelle parrocchie non trovavano o trovavano in modo poco qualificato;
- questo corso avrebbe dovuto essere fatto con il metodo dell'animazione di gruppo, gli esperti avrebbero dovuto vivere con i giovani nei frequenti incontri e creare un doppio scambio tra gruppo parrocchiale e gruppo di formazione.
Progetto ambizioso, ma difficile sia per la nostra inesperienza, sia per la mancanza di aiuti dall'esterno (non abbiamo trovato esperienze simili alla nostra), sia infine per la difficoltà di trovare gli esperti-animatori.
L'anno successivo (1983) vide altri incontri per i giovani, incontri, per così dire, monografici: il primo fu un momento di festa per favorire l'aggregazione e la conoscenza; il secondo un confronto con don Ciotti che presentò le problematiche dell'emarginazione e l'esperienza del Gruppo Abele; l'ultimo appuntamento fu attorno ad un recital sul tema della pace preparato a Pancalieri dai gruppi giovanili. Un campo scuola fu l'ultima proposta fatta nell'83 ai giovani, campo che vide purtroppo l'interscambio tra sole 4 parrocchie.
Si concluse qui una prima fase di questo cammino di zona. La fase d'inizio, nella quale si avviarono i primi contatti, le prime conoscenze personali e delle realtà, in cui si tentarono alcune proposte, si verificarono le reazioni ed i problemi, si migliorarono l'esperienza di interscambio e le proposte stesse.

Il re-incontro con la realtà

Nacque successivamente un periodo di riflessione per capire meglio cosa realizzare in futuro.
Non era più possibile continuare a proporre corsi animatori o incontri senza un progetto globale.
Questa scoperta creò un certo disorientamento nel coordinamento: la strada che finora si era percorsa, seppur valida, andava rinnovata.
Si scelse così di avviare, dopo diverse discussioni, una seconda fase: quella della ricerca delle esigenze dei gruppi e dei giovani. Prima di fare una nuova programmazione ci si diede l'obiettivo di reincontrare la realtà per capirne le carenze, i problemi e le richieste che da questa emergevano nei confronti della zona.
Questo per poter essere fedeli alle situazioni parrocchiali nell'individuare nuove proposte.
Il metodo era interessante: si andò nelle parrocchie ad intervistare, sulla base di un questionario stilato insieme, i vari gruppi giovanili.
Si discusse con loro di ciò che vivevano. Questo favorì un maggior contatto anche con quei giovani che alla zona non aderivano o partecipavano poco.
L'inchiesta venne gestita dal coordinamento che si organizzò in sottogruppi; l'interscambio veniva garantito dal fatto che in ogni sottogruppo vi erano persone di diverse parrocchie.
Si realizzarono poi degli incontri, in coordinamento e a livello assembleare, di riflessione sui dati di questa ricerca.
I dati emersi più significativi, e che sono tuttora validi, sono i seguenti.
I giovani aggregati in parrocchia e nei movimenti-associazioni della zona (Azione cattolica, GiOC) sono poco più di 900, suddivisi in percentuale decrescente tra studenti, lavoratori e disoccupati, e sono organizzati in 52 gruppi. È questa una percentuale minima, se si considera che nell'intera zona vi sono quasi diecimila giovani residenti in età dai 14 ai 30 anni: il nostro lavoro coi giovani nelle comunità parrocchiali è purtroppo ancora un lavoro per una minoranza.
I giovani animatori sono 277, suddivisi tra catechisti (un terzo del totale), animatori delle medie, dei giovani e altri tipi (oratorio, liturgia...).
Le attività dei gruppi giovanili sono state così censite: canto e liturgia, catechesi e formazione dei gruppi, oratorio, preghiera, gruppi missionari.
Si sono evidenziati anche alcuni problemi, come ad esempio la poca partecipazione attiva dei gruppi (più socializzazione che impegno) e la difficoltà di aggregazione dei nuovi (da cui il rischio dell'isolamento), e l'incapacità di concretizzare gli obiettivi proposti, sia per carenze teoriche che organizzative.
Il lavoro di realizzazione dell'inchiesta e dell'approfondimento e riflessione sui dati hanno occupato gran parte del 1983.

La fase organizzativa istituzionalizzante

Nel frattempo il coordinamento risentì di un periodo di stanchezza; i rappresentanti parrocchiali aderivano in modo incostante e le responsabilità erano divise tra pochi. Si decise pertanto di rilanciare un'organizzazione zonale più ufficiale e stabile al posto del coordinamento che finora aveva lavorato più spontaneamente e con azione di volontariato.
Era una condizione indispensabile per poter creare un collegamento zonale duraturo e che partisse dalla base, ma occorreva procedere oltre.
Questo fu possibile anche perché a livello zonale altri settori avevano camminato nella direzione del coordinamento: i catechisti, la pastorale familiare, diverse iniziative promosse con partecipazione soddisfacente, pur non totale e con resistenze in alcune parrocchie più chiuse.
Si presentarono perciò i risultati dell'inchiesta ai sacerdoti e si richiese loro di individuare, in accordo coi gruppi giovanili, dei rappresentanti della parrocchia che partecipassero alla nuova struttura («consulta giovanile»). Poiché la consulta intendeva avviare un lavoro a tre livelli (medie, giovanissimi, giovani) i rappresentanti dovevano, possibilmente, essere tre per ogni parrocchia.
Fondamentale fu, in questa fase, il coinvolgimento dei preti per un riconoscimento di questa struttura e per una maggiore partecipazione. La presenza di giovani alla consulta si è da allora stabilizzata intorno alle 35/40 persone.
La consulta si strutturò successivamente con una segreteria e con dei coordinamenti di settore (medie, giovanissimi, giovani) che preparano concretamente le iniziative da rivolgere ai gruppi ai diversi livelli.
Contemporaneamente anche la diocesi di Torino lanciò, più teoricamente che concretamente per il momento, la costituzione di commissioni zonali giovani.
La realtà esistente (rilevata con l'inchiesta) e questa fase di riorganizzazione richiedevano sempre più che la zona elaborasse un progetto di pastorale giovanile che sapesse coinvolgere i giovani su un cammino comune.
Questa elaborazione non è cosa facile e incontra difficoltà in chi vorrebbe proposte concrete subito e non vede utile per l'immediato un lavoro di studio collettivo.
E qui la storia è recente.

Verso un progetto unitario di pastorale giovanile

Nell'estate 1984 viene organizzato come consulta un campo scuola a Mompellato: si riflette su un documento steso da una consulta costituita da poco a Torino tra associazioni e movimenti e, a partire da questo, si rielaborano alcuni punti fermi di un progetto di pastorale giovanile per la nostra zona.
Ma perché un piano organico di riferimento?
Le motivazioni che spingevano all'elaborazione di un documento unitario erano le seguenti.
Anzitutto il desiderio di realizzare una comunione tra i giovani delle varie realtà: l'incontro e lo scambio diventano arricchente in quanto ogni parrocchia o movimento ha proprie «tipicità» che vengono poste al servizio di altri.
Sono «i talenti» che maturano e danno frutto per la collettività: la comunione che si costruisce nell'incontro profondo tra le persone e con Dio, in un cammino collettivo di costruzione del Regno.
Il lavorare insieme, su un piano che sia attento alle esigenze di tutti i gruppi, aiuta le realtà più piccole dove le forze sono poche e l'organizzazione di alcune iniziative è più difficoltosa... ma aiuta anche le parrocchie più grandi dove sovente si pecca di autosufficienza e ci si chiude nei problemi interni.
Ma fare un cammino insieme significa avere una pianificazione, d'impostazione e concreta, che eviti lo spontaneismo e la promozione di momenti a sè stanti, non inseriti in una educazione organica e progressiva.
Infine, anche da un punto di vista organizzativo è più facile gestire la realtà zonale sulla base di un programma annuale, concordato insieme, e da realizzare in alcuni contenuti e scadenze.
Il progetto di pastorale giovanile che è risultato, e che è stato il riferimento costante del lavoro nell'anno '84/85, è stilato in due documenti: «Linee di un progetto educativo per una pastorale giovanile zonale» e «Proposte di realizzazione del piano pastorale giovanile per l'anno '84/ 85».
Alcuni stralci del primo documento esprimono le scelte di fondo attuate.

Giovani e comunità cristiana

L'incarnazione nella realtà giovanile è assunta come il criterio di fondo. «Un progetto educativo che voglia essere comprensibile deve incarnarsi nella vita quotidiana dei giovani. Questa scelta non è soltanto un'opportunità dettata dall'intento pastorale, ma è determinata innanzitutto dalla fedeltà alla scelta di Dio che, per parlare all'uomo, ha intrapreso la via dell'incarnazione. Partire dalla vita significa, per tutti coloro che intendono operare con e per i giovani, assumere un atteggiamento di attenzione e condivisione nei confronti di quanto questi vivono: quartiere, lavoro, scuola, famiglia, momenti di aggregazione».
In questo contesto emergono i compiti della comunità cristiana verso i giovani: «Punto di partenza è la necessità che la comunità cristiana si interroghi sulla nuova realtà giovanile. Suo compito è di aiutare i giovani nelle scelte della vita, considerandoli i protagonisti della loro liberazione. La comunità cristiana dovrà imparare a parlare ai giovani con gli stessi giovani, ed in essa i giovani che si dichiarano credenti saranno i primi evangelizzatori. La pastorale giovanile non dovrà essere un momento a sé, ma integrata in un progetto unitario che investa anche le altre pastorali di settore e di territorio».

La scelta dell'educazione e la valorizzazione della persona

«Fare educazione significa lavorare per far emergere da ogni persona le proprie potenzialità, per permettere ad ognuno di riappropriarsi della vita, per fornire strumenti e spazi concreti in cui questo sia possibile. Un'educazione intesa, quindi, come pratica quotidiana, come costruzione di relazioni più soddisfacenti con sé, con gli altri e con la realtà circostante. L'obiettivo ultimo di questo rapporto educativo è la valorizzazione piena della persona, il far sì che essa scopra e faccia propri alcuni valori, così che acquisti capacità di rapporto, dialogo ed autonomia».
Centrale diventa allora l'esperienza della vita di gruppo come luogo necessario alla formazione non solo tecnica e teorica, ma integrale permanente. Ne segue la necessità di creare gruppi aperti per dare un'immagine di chiesa accogliente e autentica, con rapporti aperti verso le altre forze sociali.
«Occorrerà quindi riconsiderare i luoghi propri della vita giovanile; rivalutare i momenti tipici di aggregazione, condivisione, solidarietà, partecipazione; riconoscere e proporre il volontariato come scelta portante, in un tempo in cui la gratuità è espressione di uno stile di vita di persone mature e disinteressate; ritrovare nella catechesi l'apertura alla vita e alla scelta vocazionale».

Il gruppo omogeneo come luogo e strumento di educazione

Il contesto privilegiato per realizzare un cammino educativo è il gruppo il più possibile omogeneo per età ed esigenze. L'esperienza del gruppo considera come interesse centrale di tutta l'opera educativa il singolo: ogni persona deve trovare la sua strada specifica per crescere.
Così il documento: «Il gruppo di coetanei, che risponde ad esigenze primarie di aggregazione e socializzazione, deve trasformarsi in momenti di progettualità per la propria vita. È difficile pensare che i giovani possano immediatamente aggregarsi su grandi progetti o ideali molto alti.
È necessario lavorare in un'ottica di gradualità con 'pazienza educativa' che sa programmare sui tempi lunghi, senza efficientismo immediato, nell'attesa fiduciosa, anche se lunga, dei frutti.
Il gruppo deve presentare un'esperienza graduale, ma viva. In esso si deve imparare a riflettere, a condividere, a lavorare insieme, e verificare utilizzando strumenti diversi e complementari quali la discussione, la ricerca e l'inchiesta, incontri con esperti, momenti di preghiera e approfondimento biblico, momenti di verifica, ecc... Essi devono essere utilizzati non in modo casuale, ma organico. Lo stile del gruppo deve poi trovare continuità nei vari momenti della vita dei singoli».

Gli animatori: il loro ruolo e la formazione

Crediamo che compito degli animatori non è di sostituirsi ai giovani, ma di richiamarli alle loro responsabilità, aiutarli nella loro ricerca, arricchirli con la loro testimonianza e la loro esperienza, progettare e verificare con loro le realizzazioni e le difficoltà. L'importanza del loro ruolo deve stimolare a curare con particolare attenzione la loro formazione.
«La priorità da realizzare è quella della promozione di laici credenti che testimoniano la fede e il regno nel mondo. Promozione che necessita di uno strumento basilare: una formazione più specifica per coloro che sono disponibili ad assumere la responsabilità di animatori.
Il progetto educativo, quindi, non cresce spontaneamente, ma richiede la presenza di operatori motivati, consapevoli e competenti.
Formare animatori che siano educatori significa formare dei giovani che sappiano vivere, a livello personale, e far vivere un'esperienza intensa».
La formazione degli animatori si svolge secondo iter formativi che comprendono almeno tre momenti. Li elenchiamo con alcune note esplicative.
La formazione umana: chi sceglie di essere animatore di altri giovani deve aver già operato delle scelte chiare nella sua vita, e confrontarsi su tali scelte e sui problemi che esse comportano. Pertanto la forma-
zione deve tenere nel debito conto gli aspetti psico-pedagogici e affettivi e la conoscenza sociologica. Esigenze queste,che si scoprono essenziali quando si intende approfondire la presenza del cristiano nel mondo.
La formazione cristiana: se la fede ha bisogno di essere educata, per gli animatori sarà obbligo non solo riconoscerla ma approfondirla, così da trasmetterla nella fedeltà e nell'approfondimento del magistero ecclesiale per una esperienza che si collochi in sintonia col sentire della Chiesa. La stessa vita di fede sarà aiutata nel suo crescere se si sapranno individuare gli aspetti che caratterizzano una spiritualità laicale.
La competenza educativa: è l'aspetto caratterizzante di un animatore. L'animatore deve conoscere la realtà su cui operare, possedere motivazioni sicure in campo educativo, utilizzare una metodologia valida, e quindi tendere ad una sempre maggiore professionalità evitando l'improvvisazione. Per raggiungere questa competenza, oltre all'esperienza quotidiana, sono utili momenti prolungati di formazione che permettano di realizzare esercitazioni pratiche (corsi per animatori, seminari, incontri di aggiornamento e campi-scuola).

Una concretizzazione degli obiettivi

Il secondo documento concretizza le scelte attuate, dà l'indicazione di una metodologia di lavoro, di alcune tematiche che è possibile affrontare insieme, di come strutturarsi per sostenere le varie proposte...
Anche qui alcuni punti salienti.

Proposte diversificate a vari livelli

La consulta ha suoi obiettivi da raggiungere, suoi momenti di incontro, un ruolo di coordinamento d'insieme, di nuova elaborazione, di formazione su temi nuovi.
Essa pertanto si ritrova periodicamente divisa in settori. La scelta infatti è di non lavorare con tutta la massa dei giovani presenti in parrocchia, ma di farli incontrare divisi per età e per esperienza formativa.
Nascono così programmi concreti per i gruppi medie, i giovanissimi ed i giovani. Nella nostra zona si è scelto di collegare il settore delle medie alla realtà giovanile verso cui i ragazzi sono proiettati, anziché coordinarlo con il catechismo (come attuato in altre zone o diocesi).
Il settore dei giovanissimi è invece una realtà da creare. Questa fascia di giovanissimi infatti o non sono presenti nelle parrozchie o sono inseriti nei «grupponi» con i giovani.

Alcune tematiche proposte

Ogni settore dovrebbe «far incontrare» i giovani con momenti di festa-tempo libero e con interscambi su tematiche formative discusse nei singoli gruppi prima ed in approfondimenti assembleari poi.
Ecco un'esempio delle tematiche proposte nel programma:
- medie: famiglia - gruppo - socializzazione - orientamento professionale e scolastico - scoperta di sé stessi: cambiamenti fisici e psicologici;
- giovanissimi: impatto col mondo del lavoro o con la scuola superiore o con la disoccupazione - impegno: sue motivazioni e ambiti - i problemi del giovane oggi: lavoro, sessualità... ;
- giovani: le nostre scelte di vita: impegno, lavoro, rapporti - la nostra fede, la nostra presenza nella comunità e nel mondo - approfondimenti sulla chiesa. Questi temi sono stati individuati in base alle problematiche tipiche dell'età.
Sono tematiche di tipo personale/sociale/ religioso proprio perché si punta ad avere uno sviluppo formativo armonico delle persone.
Si prevedeva anche di elaborare ulteriormente un cammino di riflessione religiosa, ma finora non è stato possibile realizzare tale progetto: la riflessione di fede è stata portata avanti con momenti sporadici.
Per i giovani inoltre sono state lanciate altre due proposte: un corso per animatori articolato su riflessioni in gruppo e su approfondimenti con esperti, e momenti di preghiera organizzati nelle singole parrocchie. Anche in questo caso, prima dell'inizio di tali attività, abbiamo promosso una presentazione-discussione con i preti della zona e con i singoli gruppi giovanili, girando di parrocchia in parrocchia.

UNO SGUARDO COMPLESSIVO SULL'ESPERIENZA

Cosa si è realizzato di questo progetto? L'esperienza è ancora da verificare come consulta, comunque a nostro parere qualcosa di valido si è realizzato, come ad esempio le due giornate (dei gruppi medie) su «Famiglia piccola chiesa» e «Chiesa grande famiglia»; le due giornate (per i giovanissimi) di riflessione sul tempo libero e sull'affettività e insieme un campo-scuola sui «valori»; il corso animatori (per i giovani) «Quale uomo, quale cristiano, quale animatore», a cui hanno aderito un'ottantina di persone; momenti di preghiera organizzati, su temi della fraternità e della vocazione.
La creazione di quattro gruppi interparrocchiali nei quali discutere i temi del corso animatori è stato elemento innovativo per la nostra realtà: in diverse parrocchie infatti ci si incontrava come giovani per organizzare l'attività o per confrontarsi con il vangelo, ma non per socializzare e riflettere sulla propria esperienza.
Globalmente la partecipazione è stata numerosa e valida: molte parrocchie ora hanno inserito nei loro programmi le scadenze zonali e partecipano sia all'organizzazione che alle iniziative.
Con queste iniziative inoltre si sono lanciate alcune problematiche che sono da sviluppare ulteriormente e che aprono prospettive future di lavoro comune (ad esempio: ruolo dell'animatore e strumenti, approfondimenti di fede...).
Pensiamo tuttavia che occorre riverificare la realizzazione degli obiettivi prefissati e rilanciarne altri. Il progetto non può essere una cosa statica: va continuamente verificato con la realtà che cresce (o no) e quindi riaggiornato sui nuovi bisogni/problemi/difficoltà che emergono, rilanciando anche alcuni aspetti del piano non avviati (come per esempio: approfondimenti su realtà extraparrocchiali e minima sperimentazione, il coordinamento del piano di formazione quotidiana nei gruppi, la concretizzazione di un cammino di riflessione religiosa più organico e intenso), e sviluppando un maggior rapporto con le altre realtà zonali esistenti, con il consiglio pastorale zonale appena costituito, e con le strutture diocesane (la diocesi di Torino sta elaborando un progetto di pastorale giovanile che certamente porterà un grosso contributo alla nostra zona).

Per andare avanti

Questa l'esperienza della consulta come è maturata nei suoi anni di storia concreta. Molti sono stati i limiti e le difficoltà incontrate, ma all'interno di queste alcune realizzazioni si sono intraviste e sono state di stimolo per continuare.
Nella concretezza di questa esperienza emergono alcune considerazioni da riportare.
- Fondamentale è stata la presenza dei laici e la loro responsabilizzazione: il protagonismo giovanile che si è teorizzato si è poi concretizzato nell'esperienza della consulta: una pastorale rivolta ai giovani, ma gestita ed impostata dai giovani stessi che diventano soggetti della propria ed altrui formazione.
Questa responsabilità giovanile è ancora un obiettivo da perfezionare: la preparazione di animatori motivati e qualificati continua ad essere l'impegno costante della consulta giovanile zonale. All'interno di questa responsabilizzazione sarebbe poi importante creare delle esperienze di persone a tempo pieno che lavorino nella gestione della consulta (ad esempio obiettori...).
- Tutto questo senza nulla togliere all'importanza del ruolo sacerdotale. In diverse occasioni si è cercato il confronto con i sacerdoti, ed importante è stato il contributo degli assistenti presenti in consulta come figure di sostegno e di stimolo.
- Il metodo scelto si è rivelato efficace: scegliere di partire da ciò che esiste ed inserirsi, mantenendo un continuo legame con la realtà esistente, ha permesso il coinvolgimento delle parrocchie e l'elaborazione di proposte adeguate. È stata una riscoperta che ci ha aiutato nel nostro cammino coi giovani.
Ci siamo ritrovati a lavorare da soli, senza grossi riferimenti, né di elaborazione, né organizzativi, né di altre esperienze (diocesi o zone).
Abbiamo dovuto inventare l'esperienza partendo da ciò che siamo e dalle nostre capacità.
È stato un cammino vissuto nell'ottica continua della sperimentazione - ricerca - verifica. Forse alcune intuizioni sono significative, altre meno... Tutto questo è comunque il nostro contributo alla crescita della realtà giovanile zonale; un cammino che vuole confrontarsi con altre realtà che vivono progetti simili e che realizzano comunione tra i giovani.