Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020
Cesare Bissoli
(NPG 2010-09-21)
INTRODUZIONE
Come si è giunti alla scelta di questo tema?
Perché il problema e la ricerca di una soluzione ragionata e stabile sono urgenti, come fatto di società, prima ancora che di Chiesa. Di qui una scelta a cui si è dato lo spazio di un decennio.
Distinguiamo fattori intrinseci e fattori estrinseci e quindi quale atteggiamento assumere in partenza (pre-comprensione).
Fattori intrinseci
– La percezione diffusa che la normalità o tradizione dell’agire educativo si è rotta, non funziona più come dovrebbe. Vi è un reale malessere.
– Si avverte il progressivo affermarsi di una vera e propria crisi nel rapporto fra generazioni a tre livelli: poca o quasi nulla sintonia tra mondo degli adulti (genitori, docenti, sacerdoti, responsabili civili…) e mondo dei minori (ragazzi, adolescenti, giovani); tra adulti stessi (padre-madre, gestori vari di educazione nel sociale); tra agenzie educative (un’alleanza rotta tra famiglia, chiesa, scuola, mondo dello sport, tempo libero). È una crisi che ci spiazza. Papa Benedetto l’ha denominata «emergenza educativa».
– In ciò siamo sollecitati, e talora sconvolti, da dati di fatto cattivi, negativi, che oscurano l’orizzonte futuro, prossimo ed anche lontano, effetti amplificati dai mezzi di comunicazione, che portano insensibilmente all’equazione mondo dei giovani = mondo pericoloso, infido, dimenticando gli aspetti positivi che tale mondo porta con sé.
– Producendo in conclusione una sorta di ansia, di disagio, di inquietudine, di non saper mettere mano, cosa fare con sicurezza, un senso di inutilità e impossibilità. «Educare si deve, ma si può?».
Fattori estrinseci
Il dato, diventando coscienza condivisa, ha portato i responsabili sociali a prendere posizione.
– Nella Chiesa italiana hanno avuto particolare impatto per gli Orientamenti Pastorali (OP) la lettera sull’emergenza educativa di Benedetto XVI alla chiesa e città di Roma il 21 gennaio 2008, e ancora di più il successivo discorso del Papa all’assemblea CEI del maggio 2010 (allegato al documento CEI). Più ampiamente l’orizzonte è decisamente occupato dal Vaticano II (GS).
– Si può bene dire che la Chiesa non è stata affatto trainata dalla società civile, anzi l’ha preceduta e la sta stimolando per un cammino insieme. Ma è vero che anche nel Paese si avverte una preoccupazione diffusa, ancora frammentaria, nei tre posti classici della famiglia, della scuola, del tempo libero così segnato dai nuovi media, e globalmente dalla publicizzazione così intensa dei mezzi di informazione.
Quale precomprensione
Ci sta arrivando addosso un irreparabile tsunami? Quale atteggiamento interiore assumere?
– Si può dire che nella chiesa e nel corpo sociale generale vi sono operatori desti e all’opera; vi sono però anche non pochi dormienti che non avvertono la pesantezza della situazione; vi è soprattutto un risveglio da parte di tanti che intendono fare educazione ed operare da educatori cristiani.
– Ciò comporta una coscienza che si apre su cinque punti:
* percezione di una questione che è grave e ci coinvolge tutti
* una riflessione approfondita e condivisa per un’«alleanza educativa»
* una riflessione su cosa sia educare in senso cristiano, per fare educazione cristiana
* un atteggiamento che giudica non in bianco e nero, ma che fa discernimento, tra luce e buio, o ancora meglio sollecita il potenziale luminoso presente nel buio
* una solida certezza di fede: Dio è in questa storia, Gesù continua la sua evangelizzazione: per quanto il lago sia in burrasca, Gesù è sulla barca della Chiesa e dell’umanità.
– Senza sonno e senza panico, avvertendo che si tratta di un bisogno da avvertire, di un impegno da assumere, di un cammino da fare.
Sarebbe meglio pensare e parlare in termini di cambio, cioè di uno spostamento migliorativo tra un prima e un dopo piuttosto che di crisi, se ciò indica come una buca aperta che ci paralizza.
Di qui, fin dall’Introduzione una parola bene azzeccata dei Vescovi: «Invitiamo specialmente i presbiteri e quanti collaborano con loro ad accogliere con cuore aperto questi OP; non aggiungono cosa a cosa ma ci stimolano ad esplicitare le potenzialità educative già presenti» (Intr. 6).
Due sono le parti di questo intervento: che cosa propongono gli OP (dapprima in una breve momento analitico e poi in uno sguardo di sintesi) e alcune applicazioni operative.
1. Il profilo del documento
Il documento comprende cinque capitoli per 56 paragrafi. L’architettura ha una sua logica: non si parte dal dato biblico o magisteriale, ma sempre restando sotto lo stimolo della Parola di Dio prima si mette in luce il problema educativo oggi (c. 1); poi si specifica quale ispirazione dona la Rivelazione specie nella persona di Gesù Maestro e nella prassi secolare della Chiesa (c. 2); per arrivare al capitolo centrale: cosa vuol dire educare in senso cristiano puntando sul trinomio-chiave: cammino, relazione, fiducia (c. 3); quindi sono passate in rassegna le aree di impegno educativo che la comunità cristiana dispone ed offre alla società in un’alleanza educativa (c. 4); e si conclude con indicazioni per una progettazione pastorale a partire da subito (c. 5).
L’introduzione
L’introduzione (nn. 1-4) fa da sintesi dei pensieri sviluppati successivamente.
Eccone una traccia:
– Nella storia della salvezza emerge questa verità piuttosto emarginata: Dio educa il suo popolo (non solo crea, ma sostiene, ama, giudica…); in questa pedagogia di Dio Cristo si pone come Maestro (pedagogo: Clemente Alessandrino), la Chiesa si propone come «la scuola dove Gesù insegna».
– Nella storia della Chiesa si mostra bene una continuità educativa che si consegna a noi come eredità e che oggi – in Italia – ha i punti forza nel Vaticano II, in Benedetto XVI, negli Orientamenti pastorali precedenti (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia»), nel Convegno di Verona del 2006.
– Gli attuali OP mirano ad essere una «approfondita verifica della azione educativa della Chiesa in Italia; a partire dall’incontro con Gesù Cristo e il suo vangelo».
– Un doppio atteggiamento richiesto a tutti i cristiani:
* percepire le difficoltà: i pilastri classici dell’educazione sono scossi; viene meno quella che Benedetto XVI chiama la «speranza affidabile», che sola può animare l’educazione dell’intera vita;
* ma insieme riconoscere nei segni dei tempi le tracce dello Spirito che apre orizzonti impensati, suggerisce, incoraggia.
– Destinatari sono le nostre comunità chiamate a fare la scelta dell’educazione come attenzione portante del prossimo decennio, ma questo vale per ogni persona di buona volontà che ha a cuore il futuro dell’umanità, così legato al mondo dei giovani.
– Lungo il decennio vi saranno ulteriori approfondimenti e sviluppi su aspetti specifici, ma fin da ora si chiede di procedere alla verifica degli itinerari formativi esistenti.
Primo capitolo: «Educare in un mondo che cambia»
Non ha intenti di analizzare sociologicamente e statisticamente la situazione (le pubblicazioni sono innumerevoli: v. Iard, Istat…) ma – badando a queste fonti di ricerca – intende raccogliere dalla realtà i nodi cui far fronte e come farvi fronte. Il tema è visto sotto «il profilo culturale, sociale e sapienziale». È una lettura credente nell’ottica del discernimento.
Merita prestarvi ascolto anche per percepire il modo di lettura dei Vescovi.
Anzitutto un’indicazione globale: Occorre «prendere coscienza di aspetti problematici della cultura contemporanea: tendenza di ridurre il bene all’utile, la verità a razionalità empirica, la bellezza a il godimento effimero», ma insieme, cercando anche in questi aspetti «domande inespresse, potenzialità nascoste e far leva sulla risorse date dalla cultura stessa» (n. 7).
E poi «alcuni punti nodali dell’educazione oggi» cui segue, volta per volta il modo di rispondervi.
Sono circoscritti in alcuni «luoghi critici» da «trasformare in opportunità educative» (= R.) (n. 9):
– «L’eclissi del senso di Dio e l’offuscarsi della dimensione dell’interiorità»: viene meno il senso profondo dell’esistenza, motivato dalla perdita della vocazione trascendente. «Siamo alle radici dell’emergenza educativa».
* Far comprendere la necessità della relazione interpersonale, tra «io, tu, noi e Dio» (n. 9).
– «L’incerta formazione dell’identità personale a causa di un contesto plurale e frammentato», in cui «scetticismo e relativismo» si infiltrano pericolosamente, ma dove non manca una «valenza positiva».
* Creare uno spazio maggior di libertà, per cui educare vuol dire «educare a scelte responsabil» (nn. 10-11).
– «Le difficoltà dei rapporti fra le generazioni» (n. 12), manca la «presenza» efficace di adulti che siano «autorevoli», si vive in una società disinteressata.
* Eppure la famiglia «resta la comunità in cui si colloca la radice più intima e più potente della generazione alla vita, alla fede e all’amore».
– «La separazione fra razionalità ed affettività, corporeità e spiritualità. Educare si riduce «a fornire solo informazioni funzionali, abilità tecniche, competenze professionali». Prevale il modello della spontaneità che finisce con «l’assolutizzare emozioni e pulsioni», ciò che piace si confonde con il buono e con il vero. Si estingue la trasmissione dei valori e l’apprendimento delle virtù (n. 13).
* Crescita integrale della persona: «promuove lo sviluppo della persona nella sua totalità», in quanto soggetto di relazione, dotato di vocazione in uno stretto rapporto tra cultura, scienze e fede, facendo sintesi di virtù umane e cristiane (nn. 14-15).
Secondo capitolo: Gesù, il maestro
Il tema è visto sotto «il profilo teologico e biblico, ecclesiale e spirituale».
Tratteggia la visione di fede della Chiesa, proponendo elementi di una teologia dell’educazione. Mira a dare non ricette spicciole e moralistiche, ma a formare una mentalità (idee e motivazioni) che diventi spiritualità dell’educatore cristiano e una «pratica di vita buona secondo il vangelo».
Si segue una articolazione trinitaria-ecclesiale:
Gesù viene visto come «Maestro», modello di vita.
Fa da icona il racconto della moltiplicazione dei pani (Mc 6,34ss). Ivi Gesù svela la persona a se stessa: è soggetto dell’amore compassionevole di Dio in Cristo, donato nella Parola e nel pane (nn. 17-18).
«Dio educa il suo popolo»: la storia della salvezza è storia della pedagogia di Dio nei grandi fatti dell’esodo, nell’insegnamento dei Profeti, e dei Saggi, per una maturità di cui misura suprema è Gesù Cristo. È una pedagogia che non si mette al posto dell’educazione umana, anzi la suppone, ma le dà l’anima, i valori, le finalità supreme di verità e amore (n. 19).
La Chiesa si propone come «discepola, madre e maestra»: il Maestro continua il servizio educante nell’annuncio/ascolto della Parola di Dio, nella celebrazione liturgica e nella comunione di carità. All’agire di Cristo, la Chiesa presta il suo seno generativo (madre) e attesta al mondo il vangelo di Cristo (nn. 20-22).
Lo Spirito Santo è il regista dell’educazione nella rivelazione cristiana.
Qui sono enumerati tre obiettivi che evidenziano bene i tratti di una educazione veramente cristiana
* plasmare un’esistenza «spirituale» cioè profondamente innervata nei sentimenti di Gesù, e dunque non solo un Gesù per sentito dire. L’educazione cristiana non finisce mai! (n. 22);
* abbracciare la vita come vocazione, intesa come santità conseguita nel posto specifico della vita in cui uno si trova (n. 23):
* profilare una educazione con le seguenti dimensioni: missionaria, ecumenica e dialogica, caritativa e sociale, escatologica.
Terzo capitolo: «Educare, cammino di relazione e di fiducia»
Il tema è inteso sotto «il profilo pedagogico».
È il capitolo che offre indicazioni di metodologia pedagogica fondamentale, il cui titolo concentra l’essenza in un’armonica convergenza tra visione cristiana e scienze dell’educazione (di ispirazione umanistica). Il cuore del discorso educativo è la relazione tra persone.
Fa da icona ispirativa le relazioni vissute da Gesù con discepoli colte in brani evangelici come Gv 1,38s; 6,68; 13,6; 13,34 dove si intreccia una relazione tra Cristo e i discepoli, scandita nella trama di un incontro, di una reciproca familiarità, in una proposta di vita, in un clima di amore (n. 25)…
Nucleo centrale: «L’educazione è un processo fondato sulla relazione tra persone».
«Educare richiede un impegno nel tempo, che non può ridursi a interventi puramente funzionali e frammentari; esige un rapporto personale di fedeltà tra soggetti attivi, che sono protagonisti della relazione educativa, prendono posizione e mettono in gioco la propria libertà. Essa si forma, cresce e matura solo nell’incontro con un’altra libertà; si verifica solo nelle relazione personali e trova il suo fine adeguato nella loro maturazione» (n. 26).
Sintesi di pensiero che si articola in cinque nuclei.
Esiste un nesso stretto tra educare e generare».
* È grazie alla generazione che si configura una persona in maniera indelebile quanto al diventare sia uomini sia cristiani. L’esperienza insegna. Ogni educazione deve poter essere generazione: fare dono di una vita configurata a partire dagli inizi (n. 27).
* Educare è un «cammino», un processo di crescita, richiede il coraggio della perseveranza, un rapporto di gratuità, in clima di libertà, anche nel rapporto con Dio, con una meta ben definita: sapersi amati ed amare (n. 28).
Il soggetto educante o educatore. Ecco alcuni tratti:
* è un testimone: ha una passione educativa, una vocazione acquisita alla scuola di altri maestri, mostra autorevolezza, competenza, senso di responsabilità, è ospitale (n. 29);
* gli si chiede il «coraggio di essere educatori» e lo si incoraggia ad esserlo (n. 30);
* si richiede una formazione motivata a livello personale e istituzionale;
* diventa discriminante coniugare il rapporto tra educazione e libertà.
I soggetti educati esigono «una educazione secondo le stagioni dell’esistenza umana».
Si parla di «infanzia», purtroppo «rubata»; vi è il mondo dei ragazzi cui si addicono ambienti ricchi di umanità e positività; per gli adolescenti, così segnati dall’insicurezza, da un impetuoso sviluppo affettivo e sessuale, si richiedono educatori pazienti e disponibili (n. 31); nel pianeta giovani, che soffre di precarietà nel lavoro, negli affetti, nelle responsabilità ed insieme manifesta una «grande sete di significato, di verità e di amore», Dio non può essere detto se non come Dio positivo, Dio della vita; vanno messi in onda gli impegni del futuro.
Si richiedono perciò educatori ricchi di umanità, maestri, testimoni e compagni di strada, presenti dentro la loro realtà e disposti ad incontrarli dove sono, ad ascoltarli, a ridestare le domande sul senso della vita e del loro futuro, a sfidarli nel prendere sul serio la proposta cristiana (n. 32).
Dal Convegno di Verona va raccolta un’istanza educativa cristiana tradizionalmente disattesa. Era cristiana l’educazione anzitutto che si esercitava negli atti di culto di catechesi, di carità… Al Convegno di Verona è apparsa una svolta: fa educazione «una permanente attenzione agli ambiti dell’esistenza» (n. 33). L’educazione incontra la persona sempre dentro le relazioni fondamentali della vita (affettività, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione, vita sociale o cittadinanza). Questo pensiero viene racconto nel capitolo finale e proposto come «istanza prioritaria». È una svolta primaria nel tradizionale concetto di educazione credente. L’educazione si fa nella vita e sulla vita, grazie alla Parola di Dio espressa da annuncio, celebrazione, carità.
Un paragrafo è dedicato ad «una storia di santità» (n. 34), che possiamo qualificare ‘santità educante’. Sono «le figure esemplari – tra cui non pochi santi – che hanno fatto dell’impegno educativo la loro missione e hanno dato vita ad iniziative singolari, parecchie delle quali mantengono ancora oggi la loro validità».
Da essi riceviamo una duplice eredità da continuare:
* nell’ambito delle «innumerevoli opere e istituzioni formative: scuola, università, centri di formazione professionale, oratori»;
* a livello delle persone (tra cui spiccano grandi educatori, mi permetto di citare Don Bosco in quanto nominato dagli Orientamenti, ma certamente non solo da lui) ci proviene un patrimonio di idee e di pratiche che danno «i tratti fondamentali dell’azione educativa; l’autorevolezza dell’educatore, la centralità della relazione personale, educazione come atto di amore, una visione di fede che dà fondamento e orizzonte alla ricerca di senso dei giovani, la formazione integrale della persona, la corresponsabilità per il bene comune».
Quarto capitolo: «La Chiesa comunità educante»
Il tema sotto è visto sotto «il profilo pastorale».
Il capitolo intende esprimere il pensiero della Chiesa sulle aree educative maggiori che possono essere anche di altre agenzie.
Si va al concreto, prima esponendo due criteri di base e poi proponendo sei ‘luoghi’ educativi.
Si fa leva sulla necessità di camminare insieme come membra dell’unico Corpo di Cristo, ossia di procedere nella stessa direzione nei principi e nella prassi dentro la stessa
Chiesa, ed insieme – data «la complessità dell’azione educativa» – si enuclea un fondamentale indicatore: «si sollecita i cristiani ad adoperarsi in ogni modo affinché si realizzi ‘un’alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale’» (Benedetto XVI) (n. 35).
Aree di intervento.
Le enumeriamo con un breve commento, dovendo essere esaminate punto per punto:
* «‘il primato educativo’ della famiglia» (n. 36-38).
Lo si definisce «dovere essenziale, originale, primario, insostituibile, inalienabile». Si mettono in luce questi tratti: la fragilità, il compito e risorse per l’educazione alla fede, la formazione a fare famiglia, la collaborazione di gruppi di sposi;
* «la Chiesa, comunità educante» (n. 39-40) con le sue risorse che sono la parrocchia, la catechesi, la liturgia, la carità, segnatamente l’iniziazione cristiana;
* «la parrocchia crocevia delle istanze educative»: quale comunità accogliente e dialogante, con una pastorale integrata (n. 41); espressione tipica è l’oratorio (n. 42), sono associazioni, movimenti e gruppi (n. 43), è la pietà popolare (n. 44);
* la vita consacrata è chiamata a rivedersi per un rinnovamento educativo delle persone e delle opere (n. 45);
* la scuola e l’università (nn. 46-49): oggi si insinua il predominio del «come fare» sul «che cosa fare e perché»; occorre garantire una cultura umanistica e sapienziale con un chiaro codice etico di riferimento, di cui sono espressioni il rispetto civico o cittadinanza, la solidarietà, il rispetto delle diversità…; determinante è la formazione di insegnanti-educatori; ruolo prezioso hanno i docenti di religione cattolica attenti a mettere a fuoco «il senso della vita e il valore della persona alla luce della Bibbia e della tradizione cristiana»; la scuola cattolica e i centri di formazione professionale d’ispirazione cristiana hanno in proprio una proposta pedagogica e culturale di qualità; l’università luogo educativo per eccellenza se accetta di avere la «vocazione alla verità»;
* vi è «la responsabilità educativa di tutta la società» (n. 50), con i vari ambienti di vita e di relazione (sport, ambiti del tempo libero...). Qui si giustifica la citata «alleanza educativa»;
* non poteva mancare l’attenzione a «i mezzi di comunicazione e la nuova cultura mediatica» (n. 50-51). Si avverte la loro «rilevanza imponente sull’educazione», generatori di una «crescita vorticosa e diffusione planetaria», capaci di trasformare la realtà; di qui il loro grande ruolo nei processi educativi in positivo e negativo; per cui compito educativo primario è badare agli effetti sulle persone (specie l’infanzia). Mai come qui si richiede una «grande alleanza» tra tutti i soggetti della società.
Quinto capitolo: «Indicazioni per la progettazione pastorale»
Il tema è svolto sotto «il profilo progettuale e operativo».
Mira a dare linee di fondo per una sintonia tra le comunità (n. 52). Sono esposti tre serie di indicatori: istanze fondamentali di formazione ed azione; scelte prioritarie cui badare da subito; obiettivi comuni da privilegiare.
Istanze fondamentali (n. 53). Sono dati quattro compiti:
* prendere coscienza della questione educativa oggi con la sua qualità e urgenza;
* piste di approfondimento: prestare attenzione al desiderio di relazioni profonde che sta nel cuore della persona, orientandola alla ricerca della verità nella carità; riconoscere che il dono, il fare dono, è il vero compimento della maturazione umana; mostrare la fede educa verso la pienezza della relazione con Cristo nella comunione ecclesiale;
* curare una vera corresponsabilità educativa di tutta la comunità tramite anche una verifica a livello nazionale e a livello locale, in cui considerare con realismo i punti di debolezza e sofferenza dell’abituale approccio educativo, come pure evidenziare le esperienze positive in atto ed esaminare se ci sono e come sono i cammini di formazione degli operatori pastorali;
* pensare ad un rilancio progettuale dell’educazione cristiana in diocesi (parrocchia, istituto…) alla luce di ciò che essa è veramente, come detto sopra.
Scelte prioritarie in campo educativo (n. 54):
* iniziazione cristiana: dalle sperimentazione ad un rinnovamento organico (n. 54);
* «percorsi d vita buona» ossia l’educazione relativa ai cinque ambiti di Verona già citati: vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, la tradizione, la cittadinanza responsabile;
* alcuni contenuti significativi: reciprocità tra famiglia, comunità ecclesiale e società; promozione di nuove figure educative: laici missionari nella case, accompagnatori dei genitori che chiedono i sacramenti, catechisti per il catecumenato, formatori degli educatori e dei docenti, evangelizzatori di strada;
* luoghi specifici di formazione: facoltà teologiche, seminari, ISR...
«Obiettivi comuni da privilegiare» (n. 55):
* formazione permanente degli adulti (giovani-adulti) e delle famiglie;
* rilancio della vocazione educativa degli istituti religiosi, associazioni, movimenti ecclesiali organizzazioni di volontariato;
* sviluppo di un ampio confronto e dibattito sulla questione educativa anche con responsabili della società civile.
Parole di affidamento a Maria chiudono gli OP (n. 56).
UNO SGUARDO DI SINTESI
Quali possono essere i tratti più salienti per importanza e novità per noi che ne siamo destinatari?
Ecco alcune brevi indicazioni.
Oggi i Vescovi dicono a noi (e a se stessi: il compito richiesto vale per entrambi!) che non si può veramente evangelizzare se ciò non avviene anche come educazione.
Non è un aggiunta posticcia, per una emergenza che passa, ma viene affermato un nesso intrinseco tra evangelizzazione ed educazione, che mai è mancato, come diremo, ma che forse abbiamo trascurato, fidandoci di una socializzazione estesa e radicata, ma che ora sta svanendo, per cui l’impegno ad educare nell’azione pastorale emerge in situazione di emergenza. Ma ciò, ridiciamolo, fa parte della natura della comunicazione della fede, secondo il principio del’incarnazione: Dio dona il divino, se stesso tramite la mediazione umana e le sue dinamiche.
Ne è slogan significativo: «evangelizzare educando ed educare evangelizzando» (DGC, n. 147).
Con altre parole, la religione cristiana è capace di educazione per sue risorse intime. Tale è la lettura della pedagogia di Dio, del Cristo Maestro, della Chiesa come scuola di educazione. I dati delle scienze umane correttamente esplorati sono insiti alla sua stessa umanità di popolo di Dio. I quali perciò non sono né appendice né visione contro. Di qui una saldatura pastoralmente forse disattesa o non felicemente risolta: la saldatura tra teologia e antropologia.
Dagli OP appaiono quelli che sono chiamati «i tratti fondamentali dell’azione educativa».
Gli OP indicano a più riprese tali tratti, in modo da darci una mappa dell’educazione in prospettiva cristiana. Eccone uno specimen: «L’autorevolezza dell’educatore, la centralità della relazione personale, l’educazione come atto di amore, una visione di fede che dà fondamento e orizzonte alla ricerca di senso dei giovani, la formazione integrale della persona, la corresponsabilità per la costruzione del bene comune» (n. 34). Qui dentro vi sono i pilastri della concezione cristiana di educazione, o meglio della mediazione umana richiesta dalla finalità cristiana (visione di fede): persona, relazione, ricerca di senso, atteggiamento di amore, formazione integrale, educazione come educazione alla libertà per una scelta di libertà. Concisamente il c. 3 fissa tutto nel trinomio: cammino (incontro), relazione, fiducia. Sono tratti via via da riprendere e sviluppare concretamente.
Un terzo elemento caratteristico riguarda il modo di leggere e valutare la situazione in relazione all’educazione.
Vi è in giro tutta una lettura catastrofista, in bianco e nero, amplificata dai media per cui il mondo giovanile sarebbe un mondo disfatto, di cani perduti senza collare, capaci di ogni eccesso. Gli OP non assumono mai l’atteggiamento della denuncia, ma del «discernimento dei segni dei tempi»: non si lasciano condurre pedissequamente dalla ricerca sociologica, nemmeno da statistiche allarmanti a getto continuo, ma pur conoscendo bene tutto ciò, si rivolgono a Colui che sta con noi nella barca in tempesta e apprendono che con Lui non solo la barca non va a fondo, ma che in ogni contesto vi sono delle opportunità che permettono di valorizzare le situazioni nuove che i tempi vanno producendo. Valorizzare ciò che abbiamo; rifiutare ciò che fa male; accogliere ciò che ci viene offerto.
Realismo senza disfattismo, anzi mossi dalla «speranza che non delude» (Rom 5,5) (n. 7).
Si noterà che non si delinea mai una teoria dell’educazione cristiana (una pedagogia in proprio),[1] ma si preferisce parlare di «azione educativa», offrendo tanti spunti di base. Chiaramente non si toglie la necessità della riflessione,[2] ma questa deve restare aperta all’operatività. A partire da adesso. D’altra parte, per quanto si vogliano operativi, questi OP richiedono una riflessone attenta contro un agire immediato e precipitoso. I cinque capitoli dicono abbastanza la complessità del compito e dunque la fase di studio nelle comunità, anzitutto diocesane e nelle diverse articolazioni del lavoro pastorale: catechesi come educazione, liturgia come educazione, carità come educazione scautismo come educazione… Il capitolo finale degli OP segnala impegni specifici da cui muoversi subito. Li riprendiamo qui sotto.
Non poteva mancare il riferimento ai responsabili della comunità e l’accento marcato sulla formazione. Ecco un testo fra altri: «Particolare e decisiva importanza in questo ambito assume la formazione dei seminaristi, dei diaconi e dei presbiteri al ruolo di educatori. La vicinanza quotidiana dei sacerdoti alle famiglie, ai ragazzi e ai giovani, agli adulti e agli anziani ne fa per eccellenza i formatori dei formatori nella comunità e le guide spirituali che sostengono il cammino della fede di ogni battezzato» (n. 34).
Ricordiamo che gli OP in realtà non si chiudono al n. 56, ma si aprono per un decennio con delle applicazioni articolate per singoli aree. Saranno le tappe del nostro cammino.
«Siamo nel mondo con la certezza di essere portatori di una visione della persona che, esaltandone la verità, la bontà e la bellezza, è davvero alternativa al sentire comune» (n. 8).
2. Verso l’operatività
In questa parte miriamo a concretizzare ancora di più la proposta degli OP.
Distinguo due parti: la prima sono delle annotazioni che penso di chiarificazione, una sorta di cassetta degli arnesi; la seconda parte tocca specifiche aree educative proponibili ed anzi proposte come «scelte prioritarie».
CHIARIFICAZIONI PER LA PRASSI
Comincio con il dire che diventa un caso di coscienza accogliere o rifiutare questi OP.
Non è l’offerta periodica di un convegno o di una pratica religiosa o di un pellegrinaggio. Vi è una scelta di vita che vuole una svolta, una conversione interiore. Ci si chiede un serio consenso. Esso è richiesto da una chiara ragione teologica: si tratta di un atto magisteriale, ponderato e aperto al dialogo, che non ha certamente il profilo di un Sillabo, ma che è normativo; alla ragione teologico-ecclesiale (istanza veritativa) si connette il valore di un duplice fattore di comunione (e in questo paese lacerato e frammentato è un grande contributo): comunione culturale: condividiamo una comune alfabetizzazione pedagogico-educativa cristiana cui adeguare scelte e vie personali e di movimenti; comunione pastorale di solidarietà e reciproco aiuto nel perseguire i medesimi fini con mezzi comuni. Diventa quasi indispensabile questa convergenza di fronte alla miriade babelica di letture e interpretazioni dei dati e dei fatti.
Siamo chiamati a farci una competenza (non solo un sapere) illuminata e appoggiata su fattori decisivi di grazia e di ponderata riflessione umana. Non basterebbe il buon senso. Il documento non dice tutto dell’educazione, ma offre indicazioni sostanziali, dà la sicurezza per un orizzonte che sia evangelizzante; mette non nel panico ma nel realismo della speranza; spinge all’adattamento.
Il binomio Evangelo-educazione
Il progetto ha una sua complessità linguistica e mentale per l’agire comune, tanto – si diceva all’inizio – da creare un certo disagio.
Ecco alcune specificazioni.
Forse come pastori e anche laici cristiani da sempre, per tradizione, come si dice, non siamo abituati a questo binomio di Vangelo ed educazione, a dirlo almeno in termini espliciti.
– In realtà è un binomio che pratichiamo da sempre. L’azione educativa è all’interno dell’azione pastorale nella varie forme di essa.
Ricordiamo i tre grandi canali dell’annuncio e catechesi, della celebrazione liturgica, dell’esercizio di carità.
Con essi noi non depositiamo verità, come la monetina in un distributore automatico, ma incontriamo delle persone, produciamo un dialogo, suscitiamo un interesse, spingiamo ad un consenso, entrando – si noti – nella sfera della coscienza e della libertà. Sono proprio i fattori dell’educare.
Anzi, con i nostri atti pastorali addensiamo una pratica educativa di notevole spessore. Proviamo a pensarci. Insisto: veniamo a contatto con le persone, sollecitiamo l’attenzione, stimoliamo la collaborazione, tocchiamo la coscienza, diamo sanzioni di premio o castigo, presenti e future, veniamo a contatto con la libertà e la riflessività, provochiamo delle scelte che hanno del decisivo in ordine alla salvezza e comunque ad una vita buona. Questo può essere fatto bene o male, in forma manipolatoria o meno, ma sempre di educazione si tratta e tutti noi ne siamo responsabili!
– Educhiamo dunque, anche senza saperlo. Adesso è giunto il tempo di rendersi conto. Perché sul non sapere non si educa, non si sa che invece si sta educando, in ogni caso rischiamo di educare male.
Educhiamo dunque, ma come? I fatti denunciano una situazione di emergenza, di pericolo, di deriva nella stessa chiesa e in termini più vasti nella società. Elencazione di questa dissociazione tra proposta di vita secondo certi valori e la non assunzione di essi, anzi di contro – valori li vediamo in atto considerando- come faremo più avanti – il mondo giovanile e noi in relazione ad esso.
In un certo senso non vi è nulla di nuovo materialmente, vi è da comprendere di nuovo tutto e di farlo. Don G. Angelini, noto moralista milanese, ha espresso ciò con un libro dal titolo provocante: Educare si deve, ma si può? (Vita e Pensiero, Milano 2003). Angelini dice che si può. Noi abbiamo aggiunto: e come?
Un’obiezione
Prima di passare a delle applicazioni concrete, richiamo un altro essenziale aspetto da considerare. Lo prendo da una obiezione di un prete amico. Mi dice: «Ma noi siamo pastori, non educatori; il nostro compito è di salvare, non di educare».
Vi sono delle verità nell’affermazione. Diciamo subito che Gesù Cristo è venuto a salvare ogni persona come tale, chi non è educato ma anche chi è educato. Tutti noi cristiani (preti, catechisti, genitori, laici credenti… ma soprattutto pastori) educhiamo per evangelizzare, perché questo è lo scopo supremo della Chiesa e nostro, cioè dire e dare la bella notizia che è Gesù Cristo Salvatore. È il suo vangelo che va donato all’uomo di oggi, al giovane di oggi, non un ufficio psicoterapeutico. Ma questo scopo evangelizzante in via normale non lo possiamo realizzare che per via educativa, ossia stimolando la persona (giovane) a rendersene conto, a volerlo scegliere e a farlo. Per cui se educhiamo per evangelizzare (troviamo nell’evangelizzazione il fine supremo), evangelizziamo appieno solo educando (troviamo nel processo educativo il mezzo insostituibile). È il binomio già assunto dal DGC: evangelizzare educando ed educare evangelizzando citato sopra.[3]
Educare la fede?
Cosa vuol dire questo in concreto?
Forse qualcuno può essere preoccupato e giustamente dell’intrusione di questa azione educativa, e continuando la perplessità espressa ci chiediamo: ma questa intrusione di mezzi umani, di terapie, di esercizi ed altro, non rischia di compromettere la purezza della fede?
Si può educare la fede? Diciamo subito che l’educazione nell’azione pastorale non è svuotamento da essa del fine soprannaturale (seguire Gesù Cristo), non è svuotamento del Vangelo per una formazione umana soltanto (molti purtroppo scambiano educazione come sviluppo dell’umano a sé stante, addirittura lo sviluppo della parte laica, puramente umana). No, educare è agire sulla persona in relazione alla totalità della sua realtà. Non educhiamo ad essere dei cristiani, se ci limitassimo ad educare la loro condizione umana perché poi possano diventare cristiani. Educare certamente richiede un cammino progressivo di idee e di prassi misurato sulle persone concrete, ma riconoscendo che questa persona è un figlio di Dio chiamato ad incontrare Gesù, anzi lo sta incontrando in me che non ne parlo ma lo mostro nel mio amore per lui.
In termini globali oggi si richiede un’attenzione sull’umano più di prima, l’educare è una vera questione antropologica, ama dire il Card. Ruini. Ma non vuol dire laicizzazione, secolarismo, adeguamento alle mode correnti, distacco da una visione trascendente.[4] Educare non può essere apprendere quattro o cinque «i»: inglese, impresa, internet, informatica, eguale a identità, come ripete un noto personaggio. Educare è invece lavorare con e per una persona umana che purtroppo sta perdendo la sua umanità e non è più disponibile all’annuncio cristiano, perché possa realizzare al meglio questa sua umanità, i suoi sogni umani, grazie proprio all’incontro e al diventare discepolo di Gesù Cristo, il cui Dio dice un sì grande alla vita. Chi si avvicina a lui diventa lui stesso più uomo (GS 41).
Il che non vuol dire sviluppare il polo antropologico a scapito di quello teologico o cristologico. Non vuol dire dover partire dall’uomo per condurlo a Dio, ma si parla di Dio, magari dall’inizio (linea kerigmatica), in modo che l’uomo avverta in ciò una notizia interessante e bella che lo riguarda. Insomma Dio e uomo, per volere di Dio, in certo senso nascono e crescono insieme nel cuore dell’uomo, e Gesù ne è il modello.
L’educativo non è dunque estrinseco all’annuncio della fede, ma lo stesso annuncio si rende educativo capace di tirar fuori e maturare l’uomo in quanto viene liberato da uno spessore di convenzioni, di inclinazioni al male, di peccato, e viene condotto ad avvertire che Dio, Gesù fa parte della questione di senso che riguarda la vita, non amputa altri desideri, ma certamente li ordina e li purifica e finalmente, come ama dire il nostro Papa, è portatore di gioia. Educare è far crescere l’uomo che Dio vuole quando dico Gesù Cristo. Non è che il processo educativo credente deve essere tutto logico come un ragionamento matematico, ma certamente possiede in sé la logica del dono che Dio fa ad un’attesa umana, dove si avverte che la trascendenza di Dio è necessaria per essere veramente appagante per l’uomo con i suoi incessanti desideri e bisogni. Possiamo dire che alla trascendenza dei bisogni viene incontro la trascendenza della rivelazione, di Dio stesso che si auto-comunica per adempirli nel modo migliore.
I pilastri dell’agire pastorale
Proprio dell’azione pastorale in prospettiva educante è mettere al centro queste dimensioni che sono come pilastri che reggono l’agire pastorale: primo la persona e poi i contenuti; centralità della relazione interpersonale quasi individualizzata tra educatore ed educando; relazione chiaramente e genuinamente espressiva della agape cristiana, della cordialità, dell’accoglienza, della paziente attesa; un processo in cui si respira libertà metodologicamente e finalisticamente, perché tu possa fare una scelta libera convinta e fedele; quindi l’educare è un processo di maturazione progressiva in relazione alla condizione evolutiva di ognuno; si educa efficacemente badando agli ambiti di vita delle persone, circoscritte nel Convegno di Verona in «vita affettiva, lavoro e festa, fragilità, tradizione, cittadinanza». In tale processo si propone l’esperienza religiosa come esperienza esistenziale, mirando all’incontro con Gesù Cristo, come Colui che ama l’uomo (giovane) e porta a compimento la sua libertà, dandogli orizzonti nuovi di vita e di futuro.[5]
A questo proposito gli OP nel capitolo ultimo esplicitano molto bene il potenziale educativo cristiano di tali ambiti (n. 54).
Non potremmo dimenticare un lato debole, zoppicante e financo dolorosamente assente della nostra situazione: la diffidenza, la non credibilità fino all’ostilità verso la Chiesa e l’abbandono di essa. Forse gli OP potevano di più, anche perché i Vescovi vi sono sovente coinvolti in prima persona. Ebbene, qui si innesta un impegno educativo tanto necessario, talora difficile, ma realizzabile: l’incontro con Gesù va saldato vitalmente con la sua comunità. La saldatura con la grazia di Dio, la facciamo noi preti, religiosi, laici nel nostro stile di vita, dalla buona testimonianza dove si manifestano coerenza, accoglienza, cordialità, comprensione, aiuto, domanda di perdono, porta aperta per chiunque voglia venire ma anche per uscire tra la gente.
Nel concreto
Ma facciamo esemplificazioni ancora più comprensibili.
L’evangelizzazione (catechesi, omelia, insegnamento religioso, celebrazione liturgica, esercizio della carità…) che voglia essere educante non può ridursi, come è capitato e capita, a dare il primato esclusivo ai contenuti, da ben conoscere; né può realizzarsi in forma ossessiva insistendo sulla verità delle cose che dico, la forma oggettiva (è così), né facendo leva sulla autorevolezza dell’adulto (te lo dico io… genitore, prete, catechista…) o forma carismatica (sento dentro di me una cosa che è certamente giusta…), ma assumendo l’iter educativo (vediamo insieme: questa verità che io ti dico e che vivo, ti riguarda, ti fa del bene, per questa e questa ragione… osserva il mondo che ti circonda, parlarne con altri di cui hai fiducia…).
Facendo riferimento a Gesù, la componente educativa non si manifesta soltanto facendo conoscere i fatti della sua vita, il discorso della Montagna, i racconti di passione e morte e risurrezione... ma diventa incisiva se si riflette sul rapporto che – con le sue parole ed opere – egli svela tra Dio e l’uomo e tra gli uomini stessi, e di Lui stesso con i discepoli e la gente del suo tempo. Cosa dona e cosa chiede a chi lo ascolta, quale progetto-uomo manifesta? Si tratta di pensare e dire il depositum fidai secondo un metodo che produca conoscenza, ma anche accoglienza, generi stupore, magari scandalo, rilevi le vere motivazioni, profili uno stile di vita. In sintesi attivi una relazione tra un adulto educatore (testimone-amico) e il tu dell’altro, per una meta che è l’homo Dei o la pienezza umana secondo Gesù Cristo.
Così non basta fare l’invito ad andare a Lourdes, ancor meno a Mejugorie, limitandosi a dire che è bello, che fa del bene, che provoca emozioni mai provate, che si ascolta la Parola di Dio in modo diverso dalla propria comunità parrocchiale. Occorre invece dare motivazione, far prendere coscienza: perché lo faccio, come sono chiamato a farlo, che cosa vi ricavo? È l’esigenza che si pone per i grandi eventi, come la GMG, perché altrimenti svaniscono nell’emotivo di essere in tanti, di stare insieme, sempre in festa. Non dico che non vi sia del bene in ciò, ma è ancora poco – e rischia di essere uno spreco – rispetto ad una impostazione educativa.
Questo ci permette di aggiungere che educare è contrario di far miracoli qui ed ora istantaneamente. Se uno dicesse che il giorno dopo il ritiro o il campo scuola il ragazzo è già pronto e formato... non ha capito nulla dell’educazione. O meglio educare è un miracolo continuato. che vuole continuare! Tenere i ragazzi lontani dal male nelle sue mille tentazioni e renderli capaci di fare il bene, di diventare esseri morali. Questo è miracolo. I miracoli di Don Bosco sono i suoi giovani a cui ha voluto bene per una intera vita, forgiandoli «onesti cittadini e buoni cristiani», come amava dire lui.
In verità non è discorso semplice questo dei nuovi OP. Questi OP si distaccano dagli altri in quanto non propongono verità/contenuti nuovi (Evangelizzazione e sacramenti, Comunione e comunità, Evangelizzazione e testimonianza della carità, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia …), ma piuttosto mettono in rilievo il metodo con cui realizzare oggi tali verità e contenuti. Non è discorso automaticamente realizzabile una volta per tutte e allo stesso modo, come fare una GMG o il cammino di Santiago di Compostela…
Un equilibrio esigente
In sintesi, educare in senso cristiano non vuol dire umanizzare («orizzontalizzare») il messaggio, ma incarnarlo perché nella sua verticalità limpida si percepisca non un Dio solitario e oppressivo, ma un Dio che ama l’uomo e reciprocamente, e l’educatore ne è come l’interfaccia.
Educare da cristiano chiede all’educatore di essere totalmente uomo di Dio e uomo del giovane, entro la stessa corrente. Equilibrio esigente, ma che rispetta il mistero dell’incarnazione delle due nature, divina e umana, nell’unica persona. È avvenuto che non pochi anche nella Chiesa pensavano che esaltando la natura divina, il dato della fede, la Parola di Dio, la Bibbia si educasse meglio; chi invece investiva l’uomo con le risorse della scienze umane… no.
Invece entrambi gli elementi sono necessari nella loro integrazione, mantenendo differenza e convergenza.
Nel tempo attuale, ritengo che si deve diventare un po’ di più «pedagogisti» per essere buoni pastori. Le scienze pedagogiche dicono che l’uomo in quanto quest’uomo è voluto da Dio come l’uomo che riceve la grazia di una umanità nuova, da figlio del Padre.
ALCUNE SCELTE PRIORITARIE
Dedichiamo quest’ultima parte a rispondere ad una inevitabile domanda: e adesso che facciamo?
Ammesso – come va affermando ripetutamente il Card. Ruini – che si tratta di un profonda trasformazione antropologica e dunque anche religiosa nel senso che riguarda il come dire Dio all’uomo (giovane) di oggi, e perciò la necessità di una educazione dai tempi lunghi e non improvvisati, resta vero che occorre partire con una mentalità nuova, in modo nuovo, e certamente rinnovato, quindi entro un certo quadro progettuale, e da subito. Merita raccogliere prima delle indicazioni date dai Vescovi e poi riflettere su alcune aree di intervento.
Indicazioni autorevoli
Sono date soprattutto nell’ultimo capitolo: «Indicazioni per la progettazione pastorale». Si possono radunare attorno a questi verbi: adattare-coinvolgere-valutare-operare entro un quadro complessivo racchiuso nel verbo progettare o programmare, che vuol dire non procedere a caso, né a bocconi staccati, né dimenticando la visione di insieme pur privilegiando certi nodi, tanto meno rimandare a tempi migliori, al mio successore, come si dice!
Adattare
Affermano i Vescovi nel capitolo finale: «Con queste indicazioni conclusive intendiamo suggerire alcune linee di fondo perché ogni Chiesa particolare possa progettare il proprio cammino pastorale in sintonia con gli orientamenti nazionali. La condivisione di queste prospettive, accolte e sviluppate a livello locale, favorirà l’azione concorde delle nostre comunità ecclesiali, chiamate ad assumere consapevolmente la responsabilità educativa nell’orizzonte culturale e sociale» (n. 53).
Ricordiamo che nel decennio i Vescovi proporranno articolazioni specifiche. Resta ogni volta il compito della comunità (e quindi dei pastori con i loro collaboratori) di fare oggetto previo di studio e di ricerca insieme ciò che si vuol fare per arrivare a un piano pastorale sensato e condiviso, coinvolgendo più che si può tutta la comunità (è perdere tempo e scoraggiarsi pensare di fare da soli: noi viviamo in rete, specie nelle città!).[6] Non vuol dire mettere su un impossibile pano pastorale educativo lungo dieci anni, ma farsi una certa progettazione a tempi lunghi, ma soprattutto decidere, provare, verificare ogni anno, anzi ogni semestre, inserendo magari il compito educativo, ad esempio, nel piano diocesano dedicato al centenario di questo o quel santo patrono…
Coinvolgere
«Appare quanto mai importante far crescere la consapevolezza della valenza educativa dell’intera vita ecclesiale. Tutta la comunità cristiana, a partire dalle parrocchie, deve sentirsi responsabile dell’educazione e avvertire l’urgenza di stare accanto ai genitori per offrire loro con disponibilità e competenza la sua collaborazione con valide proposte educative. In particolare l’azione pastorale andrà accompagnata da una costante opera di discernimento, realisticamente calibrato sull’esistente ma volto a mettere in luce le risorse e le esperienze positive su cui far leva. Nell’ottica della corresponsabilità educativa della comunità ecclesiale, sarà opportuna un’attenta verifica delle scelte pastorali compiute» (n. 53).
Valutare
È cosa nuova, ma sentita come indispensabile che si faccia una verifica del tasso di educazione che è nelle comunità locali
Dicono con chiarezza i Vescovi. «A livello locale, si tratta di considerare con realismo i punti di debolezza e di sofferenza presenti nei diversi contesti educativi, come pure le esperienze positive in atto. In particolare, si suggerisce una considerazione attenta sia dei cammini di formazione dei catechisti, degli operatori pastorali e degli insegnanti di religione cattolica, sia dei percorsi educativi proposti dalle associazioni e dai movimenti» (n. 53).
Le parole sono chiare e i compiti ben segnati. Questo esame di coscienza, come ogni esame, ci può turbare, ma anche incoraggiare per quello che già si fa e si potrà fare.
Operare
Si tratta certamente di dare più consapevolezza ed efficacia educante a diversi servizi che ognuno è chiamato a fare. Ma i Vescovi italiani temono la genericità, dove il tutto diventa niente. Perciò propongono «scelte prioritarie in campo educativo» (n. 55). L’abbiamo accennato in precedenza.
Ambiti urgenti e di grande impatto
L’iniziazione cristiana [7]
– Si comprende il perché: i ragazzi sono i nostri clienti più numerosi, vivono una fase educativa tanto duttile quanto decisiva, la recezione dei sacramenti di prima comunione e cresima, e prima ancora, battesimo, sono esposti all’abitudinarietà e ad un formalismo devoto (al «si è sempre fatto così»), entro un tracciato che finisce spesso dimenticato appena fatta la cresima.
– L’IC va riscoperta e praticata entro l’impostazione catecumenale che le è propria, in quanto è un processo strategico perché mira a coinvolgere i genitori (gli adulti), favorisce nei ragazzi una maggiore presa di coscienza e maturità, e la possibilità di esercitare atti di scelta, favorisce e in certo modo obbliga la stessa comunità a diventare non spettatore estraneo, ma soggetto coinvolto e responsabile. Oggi poi è un percorso che si sta quanto mai diffondendo, si avvale di tante esperienze ed è dotato di tanti utili sussidi.
La piena valorizzazione degli spazi parrocchiali come luoghi di esperienze educative
Facendo riferimento all’IC, gli OP qualificano la parrocchia come «crocevia delle istanze educative» (n. 41).
Vengono nominati gli incontri parrocchiali (ad es. catechesi, consigli pastorali, celebrazioni…), segnatamente l’oratorio, associazioni, movimenti e gruppi (specie l’AC). Allo stato attuale possiamo dire che sono momenti efficaci di incontro fra persone o si appiattiscono in mere stazioni di servizi? In particolare si chiede alla comunità di essere «accogliente e dialogante», per stabilire ponti fra dentro e fuori, suscitando stima, amicizia, dialogo per cui tutti possono avvicinarsi, anche i cosiddetti lontani…
La famiglia
È importante rilevare anzitutto la priorità che ovunque oggi nella Chiesa e nella società assume questo agente essenziale di educazione.
– A riguardo di essa, la pastorale oggi inizia a partire da lontano secondo le tappe della genesi della famiglia stessa: fidanzamento-matrimonio-giovani coppie-genitori. Si insiste sulla personalizzazione del rapporto, la accoglienza cordiale, l’aiuto fattivo (anche in termini materiali, ma soprattutto spirituali), la partecipazione ai momenti di gioia e di lutto, l’accompagnamento di collaboratori laici.
– Con opportuna precisazione, tale servizio va visto – dicono gli OP – in una «reciprocità tra famiglia, comunità ecclesiale e società». «Questi luoghi emblematici dell’educazione devono stabilire una feconda alleanza per valorizzare gli organismi deputati alla partecipazione; promuovere il dialogo, l’incontro e la collaborazione tra i diversi educatori; attivare e sostenere iniziative di formazione su progetti condivisi. In questa alleanza il primato educativo della famiglia va riconosciuto e sostenuto, consentendole risorse e tempi tali da favorire la sua attiva partecipazione» (n. 54).
La scuola (pre-universitaria e universitaria)
È tutto un capitolo da riscrivere. Paradossalmente sembra impossibile che l’agenzia educativa per eccellenza non realizzi la sua vocazione e possa decadere nel contrario. Fatti quotidiani l’affermano.
Personalmente avverto due necessità:
– incoraggiare gli insegnanti (cattolici, ma ogni insegnante di buona volontà) ed aiutarli a impostare la scuola come una rete di relazioni educative, un mondo di ‘volti’, dove intelligenza e cuore, dialogo personalizzato, valorizzazione umanistica e rilevanza morale dei saperi, esercizio di confronto interculturale e interreligioso in chiave cristiana, e tanta paziente serenità… muovono l’anima del docente e lo fanno santo. È un vero e proprio ministero che la comunità cristiana (diocesi, parrocchia) deve riconoscere in pubblico con un vivo grazie e stima e sostenerne i bisogni;
– gli insegnanti di religione, che hanno ancora la grande maggioranza volontaria dei ragazzi, pressoché spariti dalle comunità parrocchiali, svolgono un ruolo primario nell’educare, in quanto suscitano domande di senso, accolgono problemi, presentano la visione cristiana della vita in maniera culturalmente valida ed insieme attenta a proporre l’umanesimo cristiano: quale Dio per l’uomo e quale uomo davanti a Dio, aiutano a riflettere sugli eventi di vita vicini e lontani, educano alla lettura critica degli avvenimenti, formano alla com-passione come atteggiamento spirituale di fondo e al dono di sé, aprono ai ragazzi le possibilità di accedere alla comunità cristiana e segnatamente alle diverse forme di associazionismo giovanile e al volontariato.
L’alleanza educativa
È un termine nuovo, ma indispensabile: fare insieme.
– Questo comporta iniziative di incontro fra adulti coinvolti: «È necessario attivare la conoscenza e la collaborazione tra catechisti, insegnanti – in particolare di religione cattolica – e animatori di oratori, associazioni e gruppi. La scuola e il territorio, con le sue molteplici esperienze e forme aggregative (palestre, scuole di calcio e di danza, sport in generale, laboratori musicali, associazioni di volontariato, ecc.), rappresentano luoghi decisivi per realizzare queste concrete modalità di alleanza educativa» (n. 54).
– Ma questo comporta una riflessione condivisa fra persone di buona volontà oltre il perimetro parrocchiale. Per questo si propone «lo sviluppo di un ampio dibattito e un proficuo confronto sulla questione educativa anche nella società civile, al fine di favorire convergenze e un rinnovato impegno da parte di tutte le istituzioni e i soggetti interessati».
Ad esempio proporre tavole rotonde tra competenti anche non credenti sull’educazione dei minori.
La formazione degli animatori
Si apre tale capitolo essenziale, a diversi livelli.
– In questo ambito catechistico va richiamata «la formazione permanente degli adulti e delle famiglie». È la catechesi degli adulti che deve prendere quota.[8] Le vie sono i gruppi, come quelli biblici, di spiritualità… ed altre forme di incontro specie a riguardo dei figli. Vi rientrano la preparazione al matrimonio e ai sacramenti dei figli. Grosso lavoro spetta ad associazioni e movimenti in comunione di intenti con la Chiesa locale.
– La promozione di nuove figure educative. Questo è un obiettivo diventato indispensabile. Ecco le parole dei Vescovi: «Occorre promuovere una diffusa responsabilità del laicato, perché germini una profonda sensibilità ad assumere compiti educativi nella Chiesa e nella società. In relazione ad ambiti pastorali specifici dovranno svilupparsi figure quali, ad esempio, laici missionari che portino il primo annuncio del Vangelo nelle case e tra gli immigrati; accompagnatori dei genitori che chiedono per i figli il battesimo o i sacramenti dell’iniziazione; catechisti per il catecumenato dei giovani e degli adulti; formatori degli educatori e dei docenti; evangelizzatori di strada, nel mondo della devianza, del carcere e delle varie forme di povertà» (n. 54).[9]
– Valorizzare luoghi specifici di formazione cristiana.
Vi è un detto in circolazione: capace di educare non si nasce, ma si diventa! «Per questi obiettivi, un particolare contributo è richiesto alle Facoltà teologiche, ai Seminari, agli Istituti superiori di scienze religiose, alle scuole di formazione teologica. Si potrà così contare su educatori e operatori pastorali qualificati per un’educazione attenta alle persone, rispondente alle domande poste alla fede dalla cultura e in grado di rendere ragione della speranza in Cristo nei diversi ambienti di vita. Il rilancio della vocazione educativa degli istituti religiosi, delle associazioni e dei movimenti ecclesiali e delle organizzazioni di volontariato. Si tratta di riproporre la tradizione educativa di queste realtà che hanno dato molto alla formazione di sacerdoti, di religiosi e di fedeli laici. Bisogna per questo che le parrocchie e le altre realtà ecclesiali sviluppino una pastorale integrata e missionaria, in particolare negli ambiti di frontiera dell’educazione» (nn. 54-55).
Il vasto mondo giovanile
Lasciamo alla fine quello che nel cuore noi tutti portiamo per primo, proprio per ricordarcelo meglio: l’educazione nel vasto mondo giovanile.
Le tantissime ricerche, tra cui la recente ricerca Iard (2010), offrono una valanga di dati. Di esito per lo più allarmato. Senza contare le esternazioni dei media, in forme talora sconcertanti e scoraggianti, come se non ci fosse più nulla da fare, o quasi!
Come impostare un rapporto educativo con questo pianeta così reale e così sfuggente (almeno è avvertito da molti così)?
Partiamo dalla esperienza plurisecolare cristiana. Emergono dati di fatto che hanno valore di postulati, quasi degli a priori dell’educazione giovanile:
– ogni giovane può essere educato e va educato per una vita umana migliore, giacché Dio ama ogni giovane perché c’è (l’ha fatto Lui) ed ancor di più perché giovane, un minore, un ‘povero’;
– l’educatore deve acquisire una mentalità che rifiuta ogni tipo di pessimismo catastrofista. Mentre non si chiudono gli occhi sul malessere giovanile, li si tiene ancora più aperti sul fatto che i giovani sono capaci di pensieri ed opere generose; essi hanno certamente una disponibilità migliore di quello che appare. Solo sulla base di una solida, stabile, non ingenua, fiducia in essi si può educare, aiutarli a crescere in modo giusto;
– gli elementi negativi non sono in radice causa loro, ma del mondo degli adulti, a partire dai genitori. Chiaramente ciò vale anche per gli aspetti positivi;
– non si dimenticheranno i fattori influenti: educazione familiare, presenza o assenza di lavoro, disagio sociale…. Né sfuggiranno quegli elementi che determinano condotte scorrette fino al crimine: la droga nelle varie forme e tipi, l’esplosione emotiva in funzione narcisistica e auto-assicurativa, la solitudine di un presente senza progetto, l’eccessività, nell’uso del sesso, come dei media l’abbandono di ogni esperienza religiosa.[10]
Un tratto oggi ampiamente sottolineato come fattore di rischio è la rottura e l’incomunicabilità tra le generazioni (genitori e figli).
Nell’educare diventa necessario oggi distinguere tra bambini, fanciulli, ragazzi, adolescenti, giovani (dai 15 ai 34 anni!). Gli adolescenti (14/15anni fino a 19/20) paiono essere i più ‘difficili’.
La risposta più adeguata viene oggi chiamata ‘relazione’, che ha delle specifiche qualità:
* è relazione tra educatore adulto e giovane in un’ottica generativa, tramite un delicato, ma reale esercizio di paternità/maternità;
* questo comporta il superamento di ogni finalità e invece il riconoscimento di un’alterità: il ragazzo esiste, è una persona come me, con la sua dignità, con diritti e doveri, con i suoi desideri, ansie, attese, debolezze;
* ogni valore umano e cristiano che l’educatore intende proporre loro, non giunge a destinazione per il fatto che lo dica l’educatore, ma perché, supposto in sé vero, viene sentito come vero, genuino, positivo, tramite un processo che non è puramente razionale, come due più due fa quattro, ma è globale e progressivo, in cui la verità – dovrebbe dire il ragazzo – mi appare credibile perché anzitutto è tale per te che me la dici (sei un testimone!), appare esistenzialmente significativa per me che l’ascolto, vedo che tu me la rinnovi anche quando la dimentico, mi fa sorridere, mi rende lieto, il sorriso del tuo volto, la tua inesauribile cordialità e pazienza;
* ciò porta alla personalizzazione del rapporto (io e tu, tu ed io, tu, io, noi) in uno stile contemporaneamente capace di proporre cose serie, valori anche alti e difficili (Gesù Cristo, lo stile di fraternità, l’esperienza del perdono, la preghiera, l’azione di volontariato, la cura degli emarginati…) ma carichi di senso (cordialità non vuol dire smanceria, lasciar correre, leggerezze, diventare un amicone), quindi rispettoso della libertà e incitando alla responsabilità, alla riflessione, alla maturazione;
* la personalizzazione della relazione vive di segni quali l’accoglienza, il lasciasi trovare ad ogni ora del giorno e della notte se fosse necessario, la partecipazione ad eventi lieti e soprattutto tristi della vita (lutto, ospedale, prigione). Lettera, SMS, telefono… con invito a vedersi anche fuori dalla canonica! Come si diceva sopra, si è come investiti di una paternità/maternità delicate, proponendosi come direttore spirituale.
Questo stile di «santità ospitale» (Ch. Theobald) sull’esempio di Gesù, ancora di più si realizza all’interno del gruppo giovani, offrendo esperienze spirituali significative ben preparate (Santiago, Lourdes, campo estivo…);
* è questa complessità di fattori razionali ed emotivi insieme, prevedibili e imprevisti, che compenetrano l’educatore di un’affettività leale, chiara ed intensa che fece dire a Don Bosco che «l’educazione è cosa di cuore, e Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna se Dio non ce ne insegna l’arte e non ce mette in mano la chiave» (n. 34). Dice ancora Don Bosco: «Non basta amare il giovane, importa che egli si senta amato». E come dimenticare il suo sistema preventivo incentrato sul trinomio di ragione, religione e amorevolezza?[11]
Termino portando la testimonianza di Giovanni Paolo II, amato dai giovani perché li amava veramente, non citando un suo insegnamento su di loro, ma dal modo di parlare a loro.
Mi riferisco alla grande veglia del GMG 2000 a Roma, in quella raccolta infinita di giovani di tutto il mondo. Con tono profetico il grande Vecchio disse:
«Questa sera vi consegnerò il Vangelo. È il dono che il Papa vi lascia in questa veglia indimenticabile. La parola contenuta in esso è la parola di Gesù. Se l’ascolterete nel silenzio, nella preghiera, facendovi aiutare a comprenderla per la vostra vita dal consiglio saggio dei vostri sacerdoti ed educatori, allora incontrerete Cristo e lo seguirete, impegnando giorno dopo giorno la vita per Lui! In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna.
Carissimi giovani, in questi nobili compiti non siete soli. Con voi ci sono le vostre famiglie, ci sono le vostre comunità, ci sono i vostri sacerdoti ed educatori, ci sono tanti di voi che nel nascondimento non si stancano di amare Cristo e di credere in Lui. Nella lotta contro il peccato non siete soli: tanti come voi lottano e con la grazia del Signore vincono!
Cari amici, vedo in voi le ‘sentinelle del mattino’ (cf Is 21,11-12) in quest’alba del terzo millennio. Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni. Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti. Cari giovani del secolo che inizia, dicendo ‘sì’ a Cristo, voi dite ‘sì’ ad ogni vostro più nobile ideale. Io prego perché Egli regni nei vostri cuori e nell’umanità del nuovo secolo e millennio. Non abbiate paura di affidarvi a Lui. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione. Maria Santissima, la Vergine che ha detto ‘sì’ a Dio durante tutta la sua vita, i Santi Apostoli Pietro e Paolo e tutti i Santi e le Sante che hanno segnato attraverso i secoli il cammino della Chiesa, vi conservino sempre in questo santo proposito!».
NOTE
[1] Si può rimanere attoniti che mentre l’ispirazione biblica è ampia e bene svolta, l’incontro diretto con la Bibbia è stato taciuto e non valorizzato esplicitamente il suo potenziale educativo, avendo proprio come fondamento legittimo quanto si dice nel c. 2.
[2] Mi sarei aspettato che si parlasse di più di conoscere e valorizzare le scienze dell’uomo e segnatamente dell’educazione e formazione (psicologia, pedagogia…).
[3] Ecco il testo del documento (1997) Evangelizzare educando ed educare evangelizzando: «Ispirandosi in continuità alla pedagogia della fede, il catechista configura il suo servizio come qualificato cammino educativo, ossia da una parte aiuta la persona ad aprirsi alla dimensione religiosa della vita e dall’altra propone a essa il Vangelo, in maniera tale che penetri e trasformi i processi di intelligenza, di coscienza, di libertà, di azione, così da fare dell’esistenza un dono di sé sull’esempio di Gesù Cristo. A questo scopo, il catechista conosce e si avvale del contributo delle scienze dell’educazione cristianamente intese» (n. 147).
[4] Espressivo di questa umanità pensata autosufficiente è il libro recente di G. Giorello, Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo, Longanesi, Milano 2010. V. la riflessione contraria di G. Lohfink, Dio non esiste! Gli argomenti del nuovo ateismo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010.
[5] Afferma F.G Brambilla, relatore al Convegno di Verona: «Saper mostrare la qualità antropologica dei gesti della chiesa è oggi un’urgenza non solo dettata dal momento culturale moderno e post, ma è un’istanza imprescindibile per dire che il Vangelo è per l’uomo e per la pienezza della vita personale»: Partire da Verona. La Chiesa italiana dopo il Convegno, in La rivista del clero, novembre 2006, 735-736.
[6] Diceva recentemente Mons. Crociata, segretario generale della CEI: «La Chiesa oggi in Italia si avventura con convinzione ed entusiasmo nella verifica e nel rilancio della missione educativa cristiana, consapevole di riaprire strade di vera umanizzazione, fermenti di umanità ritrovata, nuclei di società più giusta e fraterna. Lo smarrimento educativo non è effetto di carenze pedagogiche, di disorganizzazione sociale, di corruzione morale; è semplicemente il risultato della perdita di se stessi, del senso dell’essere personale umano, dell’essere parte di una comunità. Ciò è reso più acuto dalla complessità sociale e delle profonde trasformazioni culturali che si sono determinate (M. Crociata, OR, 12 settembre 2010, 6).
[7] «L’iniziazione cristiana mette in luce la forza formatrice dei sacramenti per la vita cristiana, realizza l’unità e l’integrazione fra annuncio, celebrazione e carità e favorisce alleanze educative. Occorre confrontare le esperienze di iniziazione cristiana di bambini e adulti nelle Chiese locali, al fine di promuovere la responsabilità primaria della comunità cristiana, le forme del primo annuncio, gli itinerari di preparazione al battesimo e la conseguente mistagogia per i fanciulli, i ragazzi e i giovani, il coinvolgimento della famiglia, la centralità del giorno del Signore e dell’Eucaristia, l’attenzione alle persone disabili, la catechesi degli adulti quale impegno di formazione permanente» (n. 54). Il testo è accompagnato da tutti i documenti CEI pertinenti.
[8] «Questa scelta qualificante, già presente negli orientamenti pastorali dei decenni passati, merita ulteriore sviluppo, accoglienza e diffusione nelle parrocchie e comunità ecclesiali. Un’attenzione particolare andrà riservata alla prima fase dell’età adulta, quando si assumono nuove responsabilità nel campo del lavoro, della famiglia e della società» (n. 55).
[9] Benedetto XVI parlando ai vescovi inglesi ha stabilito queste qualità essenziali per l’annuncio: cortesia, sensibilità verso i successi e i fallimenti di chi ascolta, apertura di cuore, disponibilità a dire cose difficili con chiarezza e con ragione, capacità di non sopravvalutare le esigenze della fede (V. Nichols, in OR, venerdì 24 IX 2010).
[10] Ancora più dettagliata e sofferta è l’analisi di Benedetto XVI un anno dopo la Lettera sull’emergenza educativa, parlando all’autorità civili di Roma e del Lazio: «Come non pensare specialmente ai ragazzi e ai giovani, che sono il nostro avvenire? Ogni volta che la cronaca riferisce episodi di violenza giovanile, ogni volta che la stampa riporta incidenti stradali dove muoiono tanti giovani, mi torna alla mente l’argomento dell’emergenza educativa, che richiede oggi la più ampia collaborazione possibile. Si affievoliscono, specie tra le giovani generazioni, i valori naturali e cristiani, che danno significato al vivere quotidiano e formano ad una visione della vita aperta alla speranza; emergono invece desideri effimeri e attese non durature, che alla fine generano noia e fallimenti. Tutto ciò ha come esito nefasto l’affermarsi di tendenze a banalizzare il valore della stessa vita per rifugiarsi nella trasgressione, nella droga, nell’alcool, diventati per taluni rito del fine settimana. Persino l’amore rischia di ridursi ad una semplice cosa che si può comprare e vendere e anzi ’l’uomo stesso diventa merce’ (Deus caritas est, 5) «(12 II 2009), in La Traccia 30 (2009) 41.
[11] V. Braido P., L’esperienza pedagogica di don Bosco, LAS, Roma 1988.
INTRODUZIONE
Come si è giunti alla scelta di questo tema?
Perché il problema e la ricerca di una soluzione ragionata e stabile sono urgenti, come fatto di società, prima ancora che di Chiesa. Di qui una scelta a cui si è dato lo spazio di un decennio.
Distinguiamo fattori intrinseci e fattori estrinseci e quindi quale atteggiamento assumere in partenza (pre-comprensione).
Fattori intrinseci
– La percezione diffusa che la normalità o tradizione dell’agire educativo si è rotta, non funziona più come dovrebbe. Vi è un reale malessere.
– Si avverte il progressivo affermarsi di una vera e propria crisi nel rapporto fra generazioni a tre livelli: poca o quasi nulla sintonia tra mondo degli adulti (genitori, docenti, sacerdoti, responsabili civili…) e mondo dei minori (ragazzi, adolescenti, giovani); tra adulti stessi (padre-madre, gestori vari di educazione nel sociale); tra agenzie educative (un’alleanza rotta tra famiglia, chiesa, scuola, mondo dello sport, tempo libero). È una crisi che ci spiazza. Papa Benedetto l’ha denominata «emergenza educativa».
– In ciò siamo sollecitati, e talora sconvolti, da dati di fatto cattivi, negativi, che oscurano l’orizzonte futuro, prossimo ed anche lontano, effetti amplificati dai mezzi di comunicazione, che portano insensibilmente all’equazione mondo dei giovani = mondo pericoloso, infido, dimenticando gli aspetti positivi che tale mondo porta con sé.
– Producendo in conclusione una sorta di ansia, di disagio, di inquietudine, di non saper mettere mano, cosa fare con sicurezza, un senso di inutilità e impossibilità. «Educare si deve, ma si può?».
Fattori estrinseci
Il dato, diventando coscienza condivisa, ha portato i responsabili sociali a prendere posizione.
– Nella Chiesa italiana hanno avuto particolare impatto per gli Orientamenti Pastorali (OP) la lettera sull’emergenza educativa di Benedetto XVI alla chiesa e città di Roma il 21 gennaio 2008, e ancora di più il successivo discorso del Papa all’assemblea CEI del maggio 2010 (allegato al documento CEI). Più ampiamente l’orizzonte è decisamente occupato dal Vaticano II (GS).
– Si può bene dire che la Chiesa non è stata affatto trainata dalla società civile, anzi l’ha preceduta e la sta stimolando per un cammino insieme. Ma è vero che anche nel Paese si avverte una preoccupazione diffusa, ancora frammentaria, nei tre posti classici della famiglia, della scuola, del tempo libero così segnato dai nuovi media, e globalmente dalla publicizzazione così intensa dei mezzi di informazione.
Quale precomprensione
Ci sta arrivando addosso un irreparabile tsunami? Quale atteggiamento interiore assumere?
– Si può dire che nella chiesa e nel corpo sociale generale vi sono operatori desti e all’opera; vi sono però anche non pochi dormienti che non avvertono la pesantezza della situazione; vi è soprattutto un risveglio da parte di tanti che intendono fare educazione ed operare da educatori cristiani.
– Ciò comporta una coscienza che si apre su cinque punti:
* percezione di una questione che è grave e ci coinvolge tutti
* una riflessione approfondita e condivisa per un’«alleanza educativa»
* una riflessione su cosa sia educare in senso cristiano, per fare educazione cristiana
* un atteggiamento che giudica non in bianco e nero, ma che fa discernimento, tra luce e buio, o ancora meglio sollecita il potenziale luminoso presente nel buio
* una solida certezza di fede: Dio è in questa storia, Gesù continua la sua evangelizzazione: per quanto il lago sia in burrasca, Gesù è sulla barca della Chiesa e dell’umanità.
– Senza sonno e senza panico, avvertendo che si tratta di un bisogno da avvertire, di un impegno da assumere, di un cammino da fare.
Sarebbe meglio pensare e parlare in termini di cambio, cioè di uno spostamento migliorativo tra un prima e un dopo piuttosto che di crisi, se ciò indica come una buca aperta che ci paralizza.
Di qui, fin dall’Introduzione una parola bene azzeccata dei Vescovi: «Invitiamo specialmente i presbiteri e quanti collaborano con loro ad accogliere con cuore aperto questi OP; non aggiungono cosa a cosa ma ci stimolano ad esplicitare le potenzialità educative già presenti» (Intr. 6).
Due sono le parti di questo intervento: che cosa propongono gli OP (dapprima in una breve momento analitico e poi in uno sguardo di sintesi) e alcune applicazioni operative.