Educare alla Costituzione /3
Raffaele Mantegazza
(NPG 2011-03-67)
I diritti sono individuali, come abbiamo detto nello scorso numero. Ma la Costituzione, come del resto la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, non concepisce l’individuo come separato dalla società, ma lo intende come dialetticamente legato ad essa. Questa concezione presenta vantaggi e svantaggi: certamente esiste il rischio di intendere la società come una sorta di megamacchina che cancella la soggettività dell’individuo; cambiando scala, è il medesimo rischio che si corre in educazione quando una eccessiva enfasi sul concetto di classe, gruppo, ecc. rischia di livellare i soggetti e di non far emergere le differenze individuali. Gli Stati che nel Novecento hanno praticato il cosiddetto «socialismo reale» rappresentano bene questa possibilità negativa. Ma altrettanto grave – e anzi oggi molto più rischioso – è intendere l’individuo come monade, separato dal contesto sociale e ad esso indifferente se non del tutto opposto. Nata forse con Max Stirner, questa posizione, cara a certa teoria liberalista, era da Marx definita «robinsonata» perché isolava artificialmente l’individuo, rendendolo così una creazione del tutto artificiale, come un novello Robinson Crusoe. Del resto l’evoluzione dell’idea di diritto in Occidente si è caratterizzata per un progressivo allargamento dell’idea di «diritti» che dal singolo sono poi passati ad abbracciare la collettività e l’intera umanità. Si parla allora di tre generazioni di diritti, i primi due esplicitamente presenti nella nostra Costituzione, i terzi comunque presenti sottotraccia nella sua logica (e questo fatto ne fa un documento straordinariamente all’avanguardia e in anticipo sui tempi):
- diritti di Prima Generazione: sono i diritti civili e politici, sostanzialmente individuali, nati nella lotta contro l’aristocrazia e l’alto clero nella Rivoluzione Francese; fanno parte di questo gruppo il diritto alla vita e all’integrità fisica (ricalcato sull’habeas corpus presente gia nella Magna Charta, principio secondo il quale il corpo del reo è intangibile e dunque la tortura è esclusa), i diritti alla libertà di pensiero, di religione, di espressione, di associazione, alla partecipazione politica, all’elettorato attivo e passivo. Abbiamo già trattato di questi diritti nel numero precedente; resta però da sottolineare che anche questi diritti hanno una radice sociale: non esiste diritto alla libertà di pensiero senza una comunità di pensanti alla quale fare riferimento (è assai utile in questo senso presentare l’attività educativa e soprattutto scolastica non come una sorta di supermercato delle idee ma come una libera circolazione delle medesime, non come una competizione per chi possiede una idea ma una cooperazione perché le idee vengano prodotte dalla collettività); non esiste partecipazione politica senza una società civile e una società politica (e occorre allora sottolineare come il voto di scambio esplicito o implicito – ti voto perché tu faccia i miei interessi – sia un tradimento dell’idea comunitaria e collettiva che giace dietro l’esercizio del diritto di voto), ecc.;
- diritti di Seconda Generazione: sono i diritti economici, sociali e culturali (il diritto all’istruzione, al lavoro, alla casa, alla salute, ecc.), nati nella lotta contro le dittature del Novecento e riassunti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948; questi diritti presuppongono una serie di livelli di cooperazione e di associazione degli individui e dunque prevedono come loro destinatari non più i singoli ma i gruppi: si parla dei diritti degli studenti, dei docenti, dei non docenti, degli studenti lavoratori, degli studenti stranieri; si prevedono diritti per i lavoratori, per gli edili, per i metalmeccanici, per le lavoratrici; si discute dei diritti dei disoccupati, dei senza fissa dimora, dei pazienti, ecc. Ognuno di noi gode di questi diritti individualmente ma può farlo solamente se si colloca concretamente all’interno di un gruppo umano. Il diritto all’istruzione è universale, per cui vale per ogni soggetto, ma ha una sua declinazione specifica se inteso come diritto degli studenti (e procedendo per cerchi concentrici: come studenti liceali, come studenti di una data scuola, come studenti della V B ecc.). Il gruppo non modifica affatto il diritto del singolo ma al contrario lo aiuta a renderlo effettivo; il mio diritto alla salute non solo non viene intaccato dalla presenza delle associazioni dei pazienti, ma trova in questo gruppo lo strumento per potersi meglio imporre. Se ci si fermasse a questo punto, però, si sarebbe superato l’egoismo robinsoniano per passare all’egoismo dei gruppi (una triste verità spesso nell’Italia di oggi, quando ad esempio si assiste alla guerra tra i poveri: si pensi alla contesa tra lavoratori italiani e lavoratori immigrati, nella quale sembra che i diritti degli uni escludano i diritti degli altri); si passerebbe così dalla guerra di tutti contro tutti (il bellum omnium contra omnes di Hobbes) alla guerra dei gruppi contro i gruppi;
- diritti di Terza Generazione, nati dalla lotta dei popoli, nella seconda metà del Novecento, contro gli imperialismi e per l’autodeterminazione: questi diritti sono pensati per ovviare alla possibilità di «egoismo di gruppo» di cui dicevamo sopra: sono dunque i diritti realmente universali, noti anche come diritti di solidarietà: i destinatari sono ma non i singoli o gruppi ma i popoli, ma potremmo anche dire che destinataria è l’intera Umanità. Parliamo allora del diritto all’autodeterminazione dei popoli, alla pace, allo sviluppo, all’equilibrio ecologico, al controllo delle risorse nazionali, alla difesa ambientale.
A proposito di questi ultimi diritti vi sono altri documenti che occorre presentare ai ragazzi, per completare il discorso sulla Costituzione:
- la Carta della Terra redatta dal 2000 al 2005 da differenti organizzazioni tra le quali l’Unesco, una vera e propria Costituzione planetaria, che afferma tra l’altro: il principio della biodiversità, del rispetto delle diversità delle specie come ricchezza per l’equilibrio della vita sul pianeta; il principio della cura dovuta alla comunità vivente, una cura da attuarsi con comprensione, compassione e amore; il principio della costruzione di società democratiche che siano giuste, partecipative, sostenibili e pacifiche; il principio della tutela dei doni e della bellezza della Terra per le generazioni presenti e future; il principio della prevenzione dei danni come misura più efficace di protezione ambientale, e della cautela nell’azione quando le conoscenze sono limitate: il principio dell’adozione di sistemi di produzione, consumo e riproduzione che salvaguardino la capacità rigenerativa della Terra, i diritti umani e il benessere delle comunità; il principio dell’eliminazione della povertà come imperativo etico, sociale e ambientale; il principio del rispetto e della considerazione dovuti a ogni essere vivente; il principio della promozione una cultura della tolleranza, della non violenza e della pace;
- Agenda 21: un documento che sottolinea l’importanza di uno sviluppo sostenibile, cioè di un modo di vivere e di lavorare che garantisca a tutti e a tutte gli elementi positivi del progresso ma che al contempo non causi a lungo andare danni irreversibili all’ambiente. Il numero 21 si riferisce al XXI secolo, che stiamo attraversando. Si tratta dunque di calcolare il peso del proprio passo nell’ambiente, quante risorse spendiamo per poter mantenere il nostro tenore di vita: si parla anche di impronta ecologica per calcolare la quantità di risorse (aria, acqua, combustibili ecc.) che distruggiamo per un anno della nostra vita. Esiste anche una Agenda 21 locale (forse attivato anche nel tuo Comune, Provincia o Regione) che permette ad ogni realtà locale di scegliere quali passi fare per la salvaguardia delle risorse, a seconda appunto delle particolarità del luogo e del contesto;
- i Protocolli di Kyoto: un trattato che prevede l’obbligo da parte paesi industrializzati di ridurre l’emissione di sostanze inquinanti (i cosiddetti «gas serra» ovvero i gas che hanno causato l’«effetto serra»); la riduzione deve avvenire entro il 2021 e deve essere di almeno il 5% rispetto ai dati del 1990;
- gli obiettivi del Millennio per lo sviluppo fissati dalle Nazioni Unite nell’anno 2000 al volgere del millennio. L’ONU ritiene priorità assolute i seguenti obiettivi:
– eliminare la povertà estrema e la fame, piaga assoluta e urgente che rende oggi inattuata l’universalità dei diritti; occorre mostrare però come la povertà non sia una caratteristica strutturale di certi paesi o popoli («L’Africa è povera»); ma sia conseguenza di un modello di sviluppo e di determinate politiche internazionali («l’Africa sarebbe ricchissima se non le avessimo sottratto le risorse»);
– assicurare istruzione elementare universale, in una situazione attuale nella quale 123 milioni di bambini (in maggioranza femmine) non hanno mai frequentato la scuola;
– promuovere la parità tra i sessi e conferire maggior potere alle donne, vedendo nel maschilismo e nella violenza di genere la radice transculturale di molti mali e di molte violenze;
– diminuire la mortalità infantile in una situazione nella quale 11 milioni di minori muoiono ogni anno, prima di avere compiuto i 5 anni, per malattie o problemi che potrebbero essere facilmente eliminati: malattie intestinali, polmoniti, e malattie prevenibili con le vaccinazioni come morbillo, pertosse, tetano, difterite, tubercolosi, e circa 150 milioni di bambini soffrono di malnutrizione;
– migliorare la salute materna (ogni anno 350.000 donne muoiono di parto o per complicazioni legate alla gravidanza);
– combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie;
– assicurare la sostenibilità ambientale, in un mondo sempre più devastato dall’inquinamento endemico legato alle grandi speculazioni internazionali;
– sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo.
Questi diritti collettivi costituiscono il diritto dell’umanità al futuro: un diritto che i Padri Costituenti avevano ben in mente (basti pensare all’art. 11 «L’Italia ripudia la guerra») quando, pensando a una carta di identità per un Paese, uscirono fin da subito dalle sue frontiere per proiettarsi su una dimensiona planetaria; l’unica a partire dalla quale un discorso sui diritti oggi ha un senso e un significato.