Incontri /3
Roberto Seregni – Lucia Scalco
(NPG 2011-03-2)
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
(Marco 1,40-45)
Dopo l’incontro con Pietro e quello con le due sorelle di Betania, proviamo a fermare la nostra attenzione sull’incontro di Gesù con un innominato lebbroso.
Basta leggere il testo per rendersi conto che si tratta di un incontro che sfocia in un miracolo di guarigione operato dal Rabbì. Un miracolo che, pur riprendendo uno schema abbastanza consueto nei racconti evangelici di guarigione, è operato da Gesù su un uomo «intoccabile».
Nel Levitico troviamo scritto: «Il lebbroso porti le vesti sdrucide, il capo scoperto, si veli il labbro superiore e vada gridando: impuro, impuro! Sia dichiarato impuro per tutto il tempo che avrà nel corpo tale piaga. Egli è impuro: viva dunque segregato, e la sua dimora sia fuori dal campo.» (Lv 13,45-46).
Il lebbroso è un impuro, è uno da tenere alla larga, è l’emarginato per eccellenza del mondo giudaico. E in aggiunta – come se non bastasse – è pure colpevole della propria ripugnanza: la lebbra, infatti, è un castigo di Dio per i propri peccati.
Il lebbroso è per tutti un intoccabile. Sì, per tutti. Tranne che per Gesù.
Il Rabbì di Nazareth non vede un immondo o uno scarto della società, ma un uomo e un fratello. C’è qualcosa di davvero magnifico in questo incontro, in questo toccare di Gesù che fa ricordare al lebbroso di essere vivo, di essere una persona.
Il gesto folle del maestro strappa il malato dalla sua solitudine, prima ancora che dalla sua patologia. Prima di ritrovarsi cucita addosso una pelle lucente e fresca, il lebbroso si riscopre vivo, si riscopre persona.
Gesù lo tocca, supera la distanza, permette che quell’uomo riscopra la sua identità, sperimenti ancora il suo sé, capace di relazione e di incontro. È come se quest’esperienza di tatto, assai rara probabilmente nella biografia più recente del lebbroso, risvegli un con-tatto con l’immagine divina, originaria, impressa nella sua persona.
Molto interessante è anche la richiesta del lebbroso, perché è coraggiosa e timida allo stesso tempo: «Se vuoi, puoi guarirmi!». Egli supera la barriera sociale che gli era rigidamente imposta perché si vuole mettere in relazione con Gesù.
Dentro di sé ha un desiderio e vuole portarlo davanti a Lui. Allo stesso tempo, però, sembra quasi che non voglia disturbarlo. La sua richiesta è in punta di piedi: «Se vuoi…».
Forse il lebbroso pensa che incontrare Gesù sia un privilegio dei puri, che solo quelli che se lo meritano possono accedere alla sua presenza e fare esperienza delle opere straordinarie di Dio.
Quante persone ho incontrato in questi anni che ragionano proprio così, come il lebbroso…
«Io che ho deluso tutti, che non riesco a combinarne una giusta, come posso ancora pregare?».
«Io che non vivo più con mio marito, come posso impegnarmi nel volontariato e pretendere di dare una mano in comunità?».
«Io che non riesco mai a mantenere gli impegni che mi prendo nella confessione, è giusto che continui ad annoiarlo con le mie preghiere?».
… E così via.
Dobbiamo davvero convincerci che il Vangelo è diverso, che il nostro Dio è differente!
Non sono i meriti accumulati o le perfezioni religiose che danno libero accesso a Dio. Se Lui fosse così, sarebbe la nostra fotocopia, sarebbe un Dio a nostra immagine e somiglianza.
Per fortuna, invece, il Dio che ci ha rivelato Gesù è capace di stupirci, di spiazzarci.
La condizione per fare esperienza di Lui, del Suo amore, non è la mia perfezione o il mio merito, ma la disponibilità a lasciarmi raggiungere e il desiderio di incontrarlo riconoscendomi bisognoso.
La mia povertà, la mia miseria, il mio peccato non sono ostacoli all’incontro con Lui, ma anzi possono essere la porta d’accesso al suo amore e alla forza trasformante della grazia. Se io lo lascio entrare, se accetto di perdere il controllo, se so riconoscermi a mani vuote, se riesco a dare un nome al bisogno che mi abita, posso fare l’esperienza della novità rivoluzionaria di Dio.
Mi piace anche sottolineare che Gesù, dopo aver guarito il lebbroso, lo invita al silenzio. Bellissimo! Il Rabbì di Nazareth non vuole passare per un maghetto o per un santone guaritore.
Certo: i miracoli dicono che Gesù è il messia, che in Lui si incarna la potenza di Dio; ma solo sotto la Croce si potrà comprendere fino in fondo qual è questa potenza, qual è il vero volto di Dio che Gesù è venuto a rivelare.
Amico lebbroso,
mostraci la tua pelle
lucente, fresca, come di bambino.
Mostraci le tue mani
che ora possono accarezzare,
lavorare, stringere ed essere strette.
Mostraci la tua vita
rinata da quel tocco,
ripartorita da quell’incontro.
Mostraci il tuo cuore
e insegnaci a metterci davanti a Gesù
con il tuo coraggio e la tua semplicità.
Riconosceremo anche noi
la lebbra del nostro peccato,
della nostra mediocrità,
e sulle nostre labbra
risuoneranno le tue parole:
«Se vuoi, Signore, puoi guarirmi».