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     «Maddalena penitente»

    di Antonio Canova

    (versione di Palazzo Bianco)
    Note estetico-spirituali di Maria Rattà

    Maddalena Canova sfondo3

     

    ANTONIO CANOVA, LO SCULTORE DEL BELLO

    Antonio Canova (Possagno, 1757 – Venezia, 1882) «è il maggior scultore europeo dell’età neoclassica [1] e l’ultimo artista italiano di risonanza internazionale. Sintetizza e conclude la grande tradizione scultorea italiana (veneziana, in modo particolare) ed interpreta, al più alto livello, le aspirazioni contemporanee al bello ideale e la rinascita dell’arte antica» [2]. Studia a Venezia dove, alla scuola di nudo dell’Accademia, impara a conoscere il corpo umano dal vero e si esercita nello studio delle opere conservate nella collezione di Filippo Farsetti, «abituandosi a trasfigurare il vero nelle forme classiche» [3]. Nel 1779 effettua un primo, breve viaggio a Roma (due anni dopo vi si trasferirà). Visita varie volte Villa Borghese e rimane particolarmente colpito dalle opere giovanili di Bernini ivi conservate, opere con le quali la maggior parte della critica riconosce l'esistenza un rapporto nella produzione canoviana [4]. Canova farà di Bernini «uno dei Canovaselfsuoi filtri per giungere all’antico, nelle diverse declinazioni della classicità». Entrambi sono accomunati dalla concezione della statuaria come «in grado di rappresentare la figura umana nella sua possanza, nella sua monumentalità, con assolutezza» [5]. Entrambi condividono poi l’idea della scultura non come un semplice “togliere” materia, per trarre dal marmo la figura (come era, per esempio, per Michelangelo), ma un produrre anche per aggiunte, in una commistione – nel caso di Canova – del marmo con altri elementi. Questo permette di dare calore, vitalità, sentimento alla scultura, che per il maestro veneto deve essere «”vera e bellissima carne” verità della natura, belle forme, palpito di vita [6]. La delicatezza del trattamento dei capelli e dei tessuti, il turgore delle carni, l’altezza sensuale ottenuta con la lavorazione» [7] sono le qualità che accomunano Canova e Bernini a dispetto delle teorie. I neoclassicisti "di stretta osservanza" riconoscono tale analogia, ma non l’accettano, in quanto denota il persistere di una tradizione precedente, e la etichettano come «mollezza e languore» [8]. «La sensibilità verso la materia, la modulazione della pelle del marmo, la delicatezza di lavorazione che crea passaggi coloristici tra le superfici sino a distinguere nella rappresentazione le varie materie» [9] rappresenta «un importante lascito della scultura barocca a Canova» [10]. Lo scultore inserisce nelle sue opere elementi in oro e bronzo, e ricopre il marmo di patine volte a dare un colore ambrato o rosato alle superfici marmoree delle carni. In realtà, per quanto tale “pittoricismo” venga criticato dai contemporanei, nella stessa scultura antica non mancavano tracce di policromia, che proprio in questo periodo vengono scoperte. Solo a partire da questi elementi è possibile comprendere un’opera come la «Maddalena penitente».


    UN’OPERA, DUE VERSIONI

    Canova realizza raramente opere a soggetto religioso. Tra queste spicca la «Maddalena penitente», di cui esistono due differenti versioni.

    Le due Maddalene

    La versione più famosa è quella conservata  a Genova, nel Museo di Palazzo Bianco.

    La «Maddalena penitente» di Genova: dalla Francia all’Italia

    La «Maddalena Penitente» di Genova viene realizzata da Canova tra il 1794 e il 1796, nonostante lo scultore vi apponga, sul retro, la scritta «Canova Roma 1790».
    Piede MaddalenaCommissionata da Mons. Giuseppe Priuli, presbitero veneziano [11], la statua viene poi acquistata - per la somma di 1.000 zecchini - da Juliot, rappresentante a Roma della Repubblica Cisalpina, e diventa la prima opera canoviana "esportata" nella capitale francese. Ceduta a Giovanni Battista Sommariva [12], questi - nel 1808 - la espone al Salon nel Museo Napoleonico (l’attuale Louvre) di Parigi, dove riscuote grandissimo successo.
    Il fascino che l’opera suscita e «che rasenta la mania» [13] facilmente si spiega anche a causa del clima politico e religioso da cui la Francia è permeata. La Rivoluzione aveva sostanzialmente scristianizzato lo Stato, con confische dei beni ecclesiastici e la distruzione delle immagini religiose, la soppressione di molti ordini religiosi e la spaccatura del clero tra refrattari e costituzionali (i primi rifiutarono di giurare fedeltà alla Costituzione, a differenza dei secondi). Nel 1801, Napoleone - all’epoca Primo Console - aveva siglato, con Pio VII, un Concordato che riconosceva la religione cattolica come il Credo della maggioranza dei francesi (seppure non più come religione di stato) e ripristinava alcuni diritti civili di cui la Chiesa Cattolica era stata privata nel 1970. La presenza di una scultura contemporanea a tema religioso all’interno del Salon, voluta per di più dallo stesso Stato, diventa un «richiamo visivo del nuovo ruolo della religione negli affari pubblici» [14]. A questo va aggiunto che la Maddalena, afflitta dal dolore per la perdita di Cristo, appare come l’icona della sofferenza in cui molte famiglie francesi avevano vissuto gli anni della Rivoluzione, che era costata la vita a milioni di persone. Le allegorie neoclassiche come quelle di Canova contribuiscono a rivestire di una patina di gentilezza e consolazione il dramma che il popolo di Francia aveva vissuto sulla propria pelle [15].
    Nel 1839, la scultura approda a Milano, dove Sommariva la cede al marchese Aguado. Nuovamente rientrata in Francia, poco tempo dopo, alla morte del marchese la scultura viene acquistata - per 59.000 franchi - da Raffaele de Ferrari, Duca di Galliera, che la colloca nel suo palazzo parigino. Sarà grazie alla moglie di quest’ultimo proprietario a ritornare in Italia: Maria Brignole-Sale de Ferrari, nativa di Genova, con legato la lascia alla città ligure, nel 1889.

    Una scultura discussa dalla critica

    Sebbene l’opera sia apprezzatissima dal pubblico, le scelte esecutive - che la sottraggono alle teorie del Neoclassicismo puro - scatenano un forte dibattito tra i critici. Traspaiono i punti di contatto tra Canova e Bernini, soprattutto nella tecnica di lavorazione del marmo: levigatissimo e patinato nella pelle; appena sbozzato e ancora grezzo nel terreno su cui la figura poggia, come nell’«Apollo e Dafne» di Bernini; i capelli sono trattati con cera mista a zolfo, per colorare leggermente la materia. L’intera scultura, in verità, ha una tenue colorazione e contraddice, in tal senso, la ricerca della perfezione formale che i neoclassici perseguivano anche attraverso l’uso del bianco assoluto. La Maddalena, poi, «nella posa e nei capelli scomposti conserva un patetismo che ha nel Seicento il suo ascendente diretto» [16]. A questo si aggiunge l’elemento “estraneo” della croce in bronzo dorato, che la santa tiene tra le mani, e lo straordinario realismo della lacrime, che avvicinano Canova, ancora una volta, a Bernini, in modo particolare al suo «Ratto di Proserpina».

    Duetto Canova-Bernini

    Lo scultore veneto imprime il senso di «bella e viva natura e di naturalezza nella intensa sensualità delle candide superfici delle statue, che fa vibrare con palpiti di vita e di affettività» [17]. Tale carattere, presente anche nella «Maddalena pentita», gli vale, da un lato, le critiche dei neoclassici, ma lo renderà particolarmente amato dalla successiva corrente del Romanticismo [18].

    UN VORTICE DI SENTIMENTI

    La «Maddalena penitente», alta novanta centimetri, presenta una struttura piramidale, che culmina nel capo reclinato - lateralmente e in avanti - della santa. Nel suo volto viene raggiunto l’apice dei sentimenti che la animano.
    Il corpo della donna inginocchiata è inclinato all’indietro e in direzione della croce, quasi “abbandonato” per esprimerne lo stato interiore di penitenza e di afflizione, ma anche, simbolicamente, il peso dei peccati passati che la schiacciano a terra, spingendola alla penitenza. La scelta compositiva conferisce morbidezza alla scultura, una morbidezza implementata dall’arco concavo tracciato dalle braccia, che terminano nelle mani dai palmi aperti, rivolti verso l’alto, nell'atto di sorreggere la croce.

    Penitente per cosa, penitente verso chi

    Canova ritrae la Maddalena in accordo alla tradizione che la vuole, dopo la morte di Cristo, penitente per trent’anni in un deserto della Laterale 4Provenza. Elemento, questo, leggendario, che spiega anche la grande diffusione in Francia della venerazione verso la santa.
    La donna - ancora avvenente - viene presentata in foggia eremitica, con i classici simboli del vestito di panno ruvido stretto in vita dal cingolo, e della roccia. La bellezza quieta - ma anche sensuale della Maddalena -contribuisce a sottolinearne il passato, così come a questo tende la resa plastica e morbida delle carni, avvolte da una veste che lascia scoperto gran parte del corpo, come meglio visibile nella parte posteriore della scultura. Maddalena non rappresenta l’«eroe» (tanto caro ai neoclassici) nudo perché rivestito della virtù, ma il suo percorso di conversione e di penitenza ne fa un essere parzialmente rivestito, quasi a simboleggiare che, seppur il passato rimanga per sempre parte della storia personale, la misericordia divina è capace di rinnovare la creatura. La croce il teschio contribuiscono a completare questa chiave di lettura dell’opera.

    Il teschio: «Memento mori» - «Ricordati che devi morire»

    La croce che Maddalena tiene tra le mani poggia sul teschio, elemento caratteristico della rappresentazione di molti santi eremiti, soprattutto perché correlato con il senso della vanità delle cose («vanitas») e con la mortalità dell’uomo («memento mori»). L’eremita è colui che, forse meglio di chiunque altro, riesce a comprendere come «passa la figura di questo mondo» (1 Cor 7,31), tanto da arrivare ad attuare una scelta di vita totalmente anticonformista, antimondana e perciò spesso incompresa, ma che, tuttavia, non lo isola dagli altri, ma anzi, lo ricongiunge maggiormente - nella preghiera e nella solitudine - a Cristo e, dunque, ai propri simili per i quali intercede e “patisce”.
    L’allegoria del «memento mori» (attraverso il teschio [19], ma non solo attraverso di esso, nell’arte figurativa), deriva da un’antica usanza romana, che coinvolgeva i generali dell’Urbe di rientro dopo una grande vittoria militare. La tradizione voleva che percorressero le strade sfilando su un carro, mentre il corteo detto “Trionfo” tributava loro grandi onori; per evitare il rischio che la superbia si impossessasse di quegli uomini vittoriosi, uno schiavo - "simbolo" di umiltà - pronunciava al loro orecchio le parole «Memento mori», «ricordati che devi morire» [20]. La locuzione suonava come un invito a tener presente che tutto è transitorio, che le glorie umane sono passeggere dinanzi alla morte. A questo aspetto metafisico si aggiungeva quello morale: la caducità della vita e, meglio ancora, la sua “incertezza” a confronto con la “certezza” della morte, avrebbe dovuto fungere da deterrente a un comportamento scorretto e prevaricatore nei confronti del prossimo, cosa che avrebbe trasformato l'eroe in un potenziale nemico della Patria [21].

    «Memento homo quia pulvis es, et in pulverem reverteris»

    «Ricordati, uomo, che sei polvere, e in polvere ritornerai». Sono le parole con cui i fedeli vengono "segnati" sulla fronte, il mercoledì delle ceneri. Rammentano al cristiano lo stesso messaggio del «Memento mori», connotandolo anche e soprattutto sul piano spirituale. «Teschi e scheletri appartengono all’immaginario di tutte le società: dalla preistoria fino all’epoca moderna l’uomo ha familiarizzato con questi soggetti (che continueranno a incrociare i nostri destini ancora a lungo). Il teschio, infatti, non è una scheggia strappata al passato, bensì una scheggia conficcata nell’eterno presente; ogni “testa di morto” racchiude un presagio sulla fatuità della vita e sulla futilità di ogni conoscenza, obbligandoci a riflettere sul senso della vita, che da sempre è il topos più frequentato dall’uomo» [22].
    La vanità della passeggera esistenza terrena, posta a confronto con la morte che ridurrà in polvere tutti gli uomini, è foriera di un monito religioso, quello ad agire secondo verità e virtù, portando frutto di opere buone, in maniera degna della vocazione ricevuta (cfr. Col Ef 4,1). Così, la «Maddalena penitente» di Canova pone l’osservatore davanti alla necessità continua della conversione e della penitenza, perché ogni uomo, dinanzi a Dio, non è altro che un peccatore.

    La croce: morte e vita

    «Il Figlio di Dio s’è reso vulnerabile, prendendo la condizione di servo, obbedendo fino alla morte e alla morte di croce (cfr Fil 2,8). È per la sua Croce che siamo salvati. Lo strumento di supplizio che, il Venerdì Santo, aveva manifestato il giudizio di Dio sul mondo, è divenuto sorgente di vita, di perdono, di misericordia, segno di riconciliazione e di pace. “Per essere guariti dal peccato, guardiamo il Cristo crocifisso!” diceva sant’Agostino (Tract. in Johan.,XII,11). Sollevando gli occhi verso il Crocifisso, adoriamo Colui che è venuto per prendere su di sé il peccato del mondo e donarci la vita eterna» (Benedetto XVI, Omelia, 14 settembre 2008). La croce che la Maddalena tiene tra le mani non è semplicemente un rimando alla sofferenza e alla morte che accomunano tutti gli esseri umani, ma rappresenta anche - e soprattutto -  lo strumento della redenzione dal peccato e, per tal motivo, la "vita".
    Contemplando la croce, Maddalena sembra voler ricordare a se stessa che, sebbene la sua stessa esistenza dissoluta sia stata causa della morte atroce di Cristo, l’amore di Dio - amore più forte del peccato umano - l’ha salvata per mezzo dello stesso legno su Egli è stato innalzato.

    Ovale

    Nel volto della donna viene manifestato - come in un vertice ideale - il nucleo più profondo dei suoi sentimenti e della sua spiritualità: il capo è come "proiettato" verso la croce; gli occhi, da cui sgorgano delle lacrime, fissano quel legno su cui Cristo ha dato la vita per lei; la bocca si schiude in una preghiera o in un sospiro, o, ancora nel gemito del pianto.
    Così, il peccatore pentito, è chiamato a guardare al Crocifisso come se stesse ascoltando - ancora una volta - un «memento mori»: “ricordati che sei destinato a morire. Convertiti e credi al Vangelo! (Cfr. Mt 1,15). Porta frutti degni della conversione! (Cfr. Lc 3,7)” [23].
    La conversione è un percorso continuo, da portare avanti «con la perseveranza. Convertirsi non è questione di un momento o di un periodo dell’anno, è impegno che dura tutta la vita» (Francesco, Discorso, 28 marzo 2014). Convertirsi e produrre i frutti delle opere buone - frutti di carità e di misericordia - è addossarsi la croce quotidiana di cui parla il Vangelo (cfr. Mt 10,38). Questa croce è metaforicamente caricata sulla carne dell’uomo, sull'uomo vivente, ma destinato a morire, proprio così come nella scultura di Canova è caricata nelle mani della Maddalena che l’accolgono, e sul teschio su cui essa poggia. La Maddalena ha “abbracciato” la croce, ne ha fatto il pilastro, la base della sua vita: è finalmente lieta di sopportare delle sofferenze, non soltanto quale penitenza per la sua vita precedente, ma anche per completare, nella sua carne, ciò che manca «ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa» (cfr. Col 1,24).

    UN MESSAGGIO SUL VALORE DI OGNI UOMO

    «Il messaggio della divina misericordia è, implicitamente, anche un messaggio sul valore di ogni uomo. Ogni persona è preziosa agli occhi di Dio, per ciascuno Cristo ha dato la sua vita, a tutti il Padre fa dono del suo Spirito e offre l’accesso alla sua intimità. Questo messaggio consolante si rivolge soprattutto a chi, afflitto da una prova particolarmente dura o schiacciato dal peso dei peccati commessi, ha smarrito ogni fiducia nella vita ed è tentato di cedere alla disperazione. A lui si presenta il volto dolce di Cristo, su di lui arrivano quei raggi che partono dal suo cuore e illuminano, riscaldano, indicano il cammino e infondono speranza». (Giovanni Paolo II, Omelia, 30 aprile 2000)
    Così è stato per la Maddalena, quella Maddalena descritta da Canova come una donna che «riunisce in sé l'amore, la sensualità, il peccato, rivelando una doppia natura, terrena e ascetica, materiale e spirituale» [24], che «incarna la donna amante, sorella e sposa» [25]. In lei si fa visibile allo spettatore la dicotomia tra caduta e redenzione, tra debolezza e forza, tra falso amore e vero amore; una dicotomia superabile in Cristo, che si fa forza del debole, salvatore del peccatore, amore fedele e misericordioso anche per i non amati della terra.


    NOTE

    [1] Il Neoclassicismo, come già dice la stessa parola, è un “nuovo classicismo”, sviluppatosi tra la metà del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento (fino alla fine dell’Impero Napoleonico), e volto a recuperare i principi estetici dell’arte classica, quali «armonia, equilibrio, compostezza, proporzione, serenità, che erano presenti nell’arte degli antichi greci e degli antichi romani» (Francesco Morante, docente di Storia dell’Arte, Sito Internet https://www.francescomorante.it/pag_3/301.htm). Nella sua corsa verso la rigorosa perfezione formale (espressa anche nella purezza della linea), il Neoclassicismo si pone in antitesi agli «eccessi, alle stravaganze, alle complicazioni prospettiche del barocco», trovando «giustificazione storica nel razionalismo illuminista, che cerca quella chiarezza, quella oggettività che sembra di poter riconoscere solo nella cultura classica» (Piero Adorno, L’arte italiana, Volume terzo, tomo primo, Casa Editrice G. D’Anna, 1994, p.159). «Immagine del potere imperiale di Napoleone che ai segni della romanità affidava la consacrazione dei suoi successi politico-militari, e vasto movimento di gusto» (Francesco Morante, Ult. cit.) che si ripercuote anche sugli oggetti d’uso e d’arredamento, il Neoclassicismo trova formulazione teorica soprattutto nel pensiero e negli scritti di Johann Joachim Winckelmann. Egli «ritiene che l’opera d’arte sia espressione del bello ideale, raggiungibile non imitando la natura, ma emendandola dai suoi difetti, o, meglio, scegliendo da essa le parti più belle e fondendole insieme. È una vecchia teoria che risale ai romani e che, dal rinascimento in poi, è stata costantemente ripresa» (Piero Adorno, Ult. cit., pp. 159-160).

    [2] Piero Adorno, Ult. cit, p.191.

    [3] Ibidem.

    [4] Cfr. Anna Coliva, Canova, Bernini e la Villa Borghese, p. 47, Sito Internet di Mondo Mostre, partner di varie istituzioni nazionali e internazionali, nella realizzazione di mostre, https://www.mondomostre.it/public/mostre/113/testo-coliva-ita-canova.pdf

    [5] Ibidem, p. 55.

    [6] Ibidem, p. 62.

    [7] Ibidem.

    [8] Ibidem, p. 63.

    [9] Ibidem, p. 64.

    [10] Gaia Lucrezia Zaffarano,Memento Mori, “Vanitas vanitatum, et omnia vanitas" Ecclesiaste, Sito Internet del Magazine OltrePeriodico di informazione dell’imprenditoria funeraria e cimiteriale, https://www.oltremagazine.com/site/index.html?id_articolo=1791

    [11] Priuli era un presbitero veneziano, che nel 1798 fu costretto a lasciare Roma al seguito di Pio VI. Cfr. Christopher M. S. Johns, Antonio Canova and the Politics of Patronage in Revolutionary and Napoleonic Europe, University of California Press, 1998, p. 23; Benn Pollitt, Canova, Repentat Magdalen, Sito Internet della Khan Academy, https://www.khanacademy.org/humanities/monarchy-enlightenment/neo-classicism/a/canova-repentent-magdalene

    [12] Sommariva era un uomo politico, molto vicino a Napoleone. Dopo l'acquisto della statua, a essa destinò un’apposita sala della sua casa parigina, trasformandola in una via di mezzo tra una cappella e un salottino, con decori viola e illuminata attraverso una lampada appesa al soffitto. Cfr. Benn Pollitt, Ult. cit.

    [13] Ibidem.

    [14] Ibidem.

    [15] Cfr. Ibidem.

    [16] Anna Coliva, Ult. cit., p. 66.

    [17] Ibidem., p. 65.

    [18] Stendhal consacrerà definitivamente l’amore dei romantici per Canova, scrivendo della Maddalena penitente in un suo libro sul Salon, nel 1824. Egli definirà l’opera canoviana come la migliore dei tempi moderni. Cfr. Sito Internet Ufficiale della mostra Canova e la Venere Vincitrice realizzata a Villa Borghese dal 18 ottobre 2007 al 10 febbraio 2008, https://canova.diecigrandimostre.it/sale/pag_schede/V-3.htm ; Benn Pollitt, Ult. cit.

    [19] Il teschio quale allegoria della vanità del mondo e della caducità della vita, raggiunge il suo culmine iconografico nel periodo che va dal tardo Medioevo al Barocco.

    [20] Il motto latino fu in seguito adottato anche dai Trappisti (ordine religioso di clausura fondato nel 1140): i monaci, per regola delle loro Costituzioni, dovevano ripeterselo continuamente, per rammentare a loro stessi, e costantemente, l’idea della morte. D’altronde, qualcosa di simile avveniva un po’ tutte le culture e Paesi: «gli Egiziani nei loro banchetti facevano portare attorno una bara; agli zar delle Russie era in antico uso di presentare nel giorno della loro coronazione diversi campioni di marmi, fra i quali dovevano scegliere quello destinato alla loro tomba» (Giuseppe Fumagalli (a cura), Chi l’ha detto? Tesoro di citazioni italiane e straniere, di origine letteraria e storica, Hoepli, 1995, p. 257).

    [21] Gaia Lucrezia Zaffarano, Ult. cit.

    [22] Francesca Caputo, Fenomenologia della Vanitas. Il teschio nelle arti visive. Un dialogo con Alberto Zanchetti, Sito Internet di Arskey, Magazine d’arte moderna e contemporanea, https://www.teknemedia.net/magazine_detail.html?mId=9316

    [23] La prima citazione si riferisce a una frase pronunciata da Gesù durante la sua predicazione, la seconda a una di Giovanni Battista.

    [24] Franca Pellegrini, L’ideale di bellezza femminile nella Maddalena di Canova, Sito Internet de Il Mattino, https://ricerca.gelocal.it/mattinopadova/archivio/mattinodipadova/2009/03/08/VT3PO_VT303.html

    [25] Ibidem.


    BIBLIOGRAFIA DEGLI ALTRI TESTI CONSULTATI

    Anuska Pambianchi, Il mito del bianco in architettura dall’antico al contemporaneo. Giornate di studio (Roma e Urbino) il 15 e 16 maggio. Intervista a Grazia Maria Fachechi, tra gli organizzatori, Sito Internet del Magazine Online dell’Università di Urbino Carlo Bohttps://post.uniurb.it/?p=5467

    Canova e la Venere Vincitrice, Sito Internet Ufficiale della mostra realizzata a Villa Borghese dal 18 ottobre 2007 al 10 febbraio 2008, https://canova.diecigrandimostre.it/sale/salaV-VI.htm

    Concordato del 1801, in Dizionario di storia moderna e contemporanea, Sito Internet La Storia - Paravia Bruno Mondandorihttps://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/c/c243.htm

    Concordato del 1801, in Enciclopedia Telematica Cathopediahttps://it.cathopedia.org/wiki/Concordato_del_1801

    Dario Mastromattei, Maddalena penitente di Antonio Canova: analisi completa della sculturahttps://www.arteworld.it/maddalena-penitente-antonio-canova-analisi/

    Maddalena penitente, Sito Intenet dei Musei di Genova, https://www.museidigenova.it/it/content/maddalena-penitente-1794-1796

    Mattia Ferrari, Gli anni bui della Rivoluzione francese: crimini e genocidi, Sito Internet dell’Unione Cristiani Cattolici Razionalihttps://www.uccronline.it/2012/11/15/gli-anni-bui-della-rivoluzione-francese-crimini-e-genocidi/


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