Il ciclo pittorico
«Il Figliol prodigo
nella vita moderna»
di James Tissot
1. La partenza
Note estetico-spirituali di Maria Rattà
JACQUES JOSEPH “JAMES” TISSOT, L’ARTISTA "PRODIGO"
Jacques Joseph Tissot nasce a Nantes - città portuale - nel 1836. L’ambiente geografico e familiare lo segna profondamente. Si spiegano così il fascino per il mondo nautico, ricorrente scenario delle sue opere, e la cura estrema e raffinata dell’abbigliamento dei suoi personaggi (il padre dell’artista è un commerciante di stoffe, la madre una modista disegnatrice di cappelli). Anche l’attenzione per i soggetti biblici - che si manifesterà, in modo particolare e crescente, a partire dal 1862 - è espressione dell’educazione religiosa ricevuta: il padre di Jaques è un cattolico devoto, e farà studiare il figlio un collegio di Gesuiti. Seppure la fede di Tissot sarà per molti anni “burrascosa” (con scelte di vita in netta contrapposizione al suo credo), le sue radici non verranno mai meno, ed essa diverrà, infine, determinante non solo a livello personale, ma anche professionale, specie nell’ultima fase della sua carriera.
Allievo di Ingres, «Tissot è un pittore la cui arte è ancora oggi per alcuni aspetti un enigma, tra influenze impressioniste e istanze preraffaelite» [1]. inizialmente dedito alla pittura di soggetti storici e letterari, Jaques Joseph - che cambia il nome nel più “mondano” James - vira successivamente verso la ritrattistica e le scene di vita moderna e borghesi, adottando uno stile venato di una certa ironia, volta a deridere taluni aspetti della società contemporanea. Divenuto uno dei ritrattisti di maggior fama della sua epoca, i tumulti della guerra franco-prussiana (e i sospetti di comunismo che gravano su di lui) lo spingono, nel 1873, a trasferirsi a Londra. È nella capitale inglese che, oltre a consolidare il suo successo artistico, incontra quella che sarà per lui musa ispiratrice e grande amore della sua vita: Kathleen Newton, giovane donna irlandese dal passato piuttosto tumultuoso. La scelta di avviare con lei una relazione - scandalosa secondo i canoni dell’Inghilterra vittoriana - determina un cambiamento nella vita sociale e mondana del pittore, sebbene non ne faccia totalmente un “isolato”. Nel 1882, Kathleen, malata di tisi, muore suicida.
Il colpo segna profondamente Tissot, che fa ritorno a Parigi. Qui avviene un’ulteriore svolta decisiva nella sua produzione artistica, ma anche - e soprattutto - sul piano interiore. Il pittore vive un periodo di crisi, si riavvicina alla fede cattolica e, a seguito di una forte esperienza, che lui definisce “mistica”, si converte definitivamente al cattolicesimo, tanto da decidere di dedicarsi ai soggetti religiosi (dipingendo prima una serie di quadri sulla vita di Gesù, e una serie di opere sull’Antico Testamento, poi) e di effettuare un viaggio in Palestina. Proprio a cavallo tra il 1880 e il 1882 (anno della svolta) Tissot torna a realizzare un tema già trattato, quello del Figlio prodigo, parabola anche della sua stessa esperienza di artista rientrato nella sua Patria, e di credente che riabbraccia la fede.
Tissot Muore a Chenecey-Buillon, nel 1902.
IL CICLO DEL FIGLIO PRODIGO
Tissot dipinge il ciclo de «Il Figlio Prodigo nella vita moderna» («The Prodigal Son in Modern Life») nel 1880, riprendendo un tema ricorrente da ben vent’anni nella sua produzione pittorica. La diversità sta però nella chiave di lettura, con cui egli presenta, questa volta, il racconto evangelico. L’artista opta per un ciclo di quattro grandi tele [2], che “scansionano” - emozione dopo emozione, colpo di scena dopo colpo di scena - l’universo interiore dei protagonisti della parabola biblica attraverso le principali tappe della loro storia. La narrazione viene ambientata nell’Inghilterra dell’800 [3] e «mette al centro della scena l’eroe, un giovane inglese che, stanco delle comodità della casa paterna, va in giro per il mondo alla ricerca di distrazioni meno borghesi. Dopo mille disavventure (tra cui l’incontro con le danzatrici giapponesi ricordato Nel Paese straniero [4]) è costretto a fare ritorno» [5].
Presentato in Francia (all’Esposizione Universale del 1889, che ebbe luogo a Parigi) e in Inghilterra, il ciclo riscuote grande successo, non solo grazie all'abilità pittorica di Tissot, ma anche al tema, generalmente amato dal pubblico [6]. L'intera serie viene poi lasciata in eredità al Museo del Lussemburgo di Parigi, dove rimane, a partire dal 1904, prima di approdare - nel 1914 - al Museo di Belle Arti di Nantes, città natale del pittore. Le tele sono pressapoco della stessa dimensione, a eccezione della terza, leggermente più grande. Se infatti «La partenza», «Nel Paese straniero» e «Il vitello grasso» si aggirano intorno agli 86 x116 cm, la terza tela, quella che rappresenta il momento clou della storia, ossia «Il ritorno», assume proporzioni maggiori (100 x130) [7]. Il ciclo dei quattro dipinti a olio viene affiancato da una serie di acquerelli e di acqueforti. Queste ultime sono precedute da un’ulteriore immagine, un «Frontespizio» in cui l'artista rappresenta una Bibbia aperta sulla pagina iniziale della parabola del Figlio Prodigo, narrata nel Vangelo di Luca.
Il tema della ricerca
L’idea di Tissot è quella di fornire «un sommario per le acqueforti che seguono» [8]. Tuttavia, questo sommario diventa un tassello importante anche per la lettura del ciclo a olio.
Si tratta di una semplice introduzione? O non è, piuttosto, un “indice ragionato”, lo strumento di “decifrazione” delle scene successive? L’artista pone lo spettatore davanti a una serie di “indizi” per una “caccia al tesoro”? Fornisce una “mappa” spirituale per l’uomo in cammino? Il libro viene presentato come se stesse offrendo dei suggerimenti «a un devoto lettore alla ricerca di risposte nelle Scritture» [9]. Questa idea è visivamente indicata dall’angolino - piegato - della pagina sinistra (quella d’inizio capitolo), dai segnapagine disseminati sui fogli che precedono la Parabola, dal laccetto appoggiato - in basso a destra - sulle uniche parole pronunciate dal padre in tutta la storia e, ancora, dall’idea generale di un volume già utilizzato, “vissuto” dal lettore [10]. Le pagine successive al capitolo 15 di Luca, non presentano, tuttavia, “promemoria”. È dunque tra le righe di quella parabola, che il lettore deve trovare un responso ai suoi quesiti?
Tissot sembra voler indicare questa soluzione. E lo fa in modo del tutto originale, attraverso la collocazione della vicenda del Prodigo in un contesto sociale e storico contemporaneo. La parabola che offre al credente il ritratto del Padre misericordioso, fornisce risposte confacenti anche al lettore-osservatore “moderno”. L’opzione ambientativa di Tissot diviene quasi una parabola nella parabola. Sbalzando la narrazione dai tempi di Gesù a duemila anni dopo, il pittore sembra voler invitare l’uomo di ogni epoca a specchiarsi nella tormentata - ma a lieto fine - vicenda del Prodigo, che attraverso le ribellioni e le autosufficienze, i successi apparenti e i fallimenti reali, i facili entusiasmi e le brucianti delusioni, l’orgoglio irrazionale e giovanile, le ammissioni di colpa e della propria miseria, comprende in cosa consista la vera ricchezza, e decide di fare ritorno nella sua vera “casa”. Ma il quadro pone anche una serie di interrogativi ulteriori, e si offre come un invito all’introspezione, attraverso la psicologia del figlio maggiore e della donna - unica “libertà pittorica” che l’artista si concede - e quella dell’anziano padre, tratteggiate attraverso gesti, sguardi, silenzi.
Oggi come ieri, in sintesi, il ciclo di Tissot si presenta - oltre che come opera d’arte di pregevole valore - anche come l’espediente per un’articolata riflessione sulla misericordia umana e divina, sulla capacità dell’uomo di cambiare o meno (evidenziata dai diversi atteggiamenti dei due fratelli) e sull’immutabilità dell’amore vero, che si mantiene fedele nonostante i tradimenti, le incomprensioni, e le attese.
1. LA PARTENZA
«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre:
“Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”.
Ed egli divise tra loro le sue sostanze» (Lc 15, 11-12)
«La partenza» («The departure») immortala, più che il momento della dipartita del figlio minore, l’atto simbolico di ciò che rappresenta la decisione del giovane: la sua proclamazione di indipendenza e autosufficienza che segna già il suo essere “fuori di casa”; l’incomunicabilità tra i personaggi, al di là del linguaggio verbale e del gioco di sguardi; il dolore di un padre; la chiusura interiore del figlio maggiore; un dramma familiare, che si consuma dentro gli animi, più che tra le mura di una casa, ma anche il senso della vera paternità: la capacità di lasciare liberi.
Un dramma di incomunicabilità
Dove, quando
La scena si svolge all’interno del «salotto di un commerciante marittimo: una scrivania zeppa di libri contabili e fatture. Conchiglie e una barca a vela modello decorano i suoi ripiani superiori» [11]. L'attenzione riservata ai dettagli della natura morta (che spicca in primo piano, sul tavolo con il vaso, i fiori e le vettovaglie, ma anche al di sotto di esso, nella rappresentazione dei gattini neri [12]) richiama l'interesse di Tissot per la pittura fiamminga [13].
La casa si affaccia sulle rive del Tamigi e, probabilmente, l’episodio narrato ha luogo verso l’ora del thè, come si evince da tazze, bollitore e altri oggetti, disposti su un vassoio all’estrema sinistra del tavolo, e dalla fioca luce che ammanta il paesaggio all’esterno e la sala stessa [14]. Sulla sedia all'estrema destra spicca, nella penombra, un bagaglio già pronto. Nessuno sembra aver voglia di bere. La scena lascerebbe presuppore che il figlio minore abbia comunicato la propria decisione quasi come un fulmine a ciel sereno, interrompendo, proprio sul nascere, un momento ordinario della vita di tutti i giorni: del vapore fuoriesce dal bollitore, che probabilmente contiene ancora la bevanda calda, e si è fatto appena in tempo a disporre sul tavolo solo una tazzina, prima che le parole del giovane raggelassero l’atmosfera. Tissot riesce a calare completamente la scena nel contesto vittoriano, in quanto la scelta del giovane «è motivata dalle usanze inglesi: la legge della primogenitura [15] lasciava spesso i figli più giovani abbandonati alle loro sole forze, e l’opzione più frequente» [16], in questi casi, era che essi s’imbarcassero per l’India. Viene così perfettamente trasposta la vicenda della parabola, in cui, nell'ambiente ebraico originale, «il tipo di famiglia prospettato è quello patriarcale. Il padre rappresenta l'autorità assoluta; poi viene il figlio maggiore che un giorno si porterà via i due terzi dei beni liquidi (Dt 21,17) e probabilmente l'intero patrimonio immobiliare. Che possibilità avrà il figlio più giovane di essere indipendente, di crearsi una vita tutta sua, quando il padre morirà e a lui toccherà soltanto un terzo dei beni e rimarrà senza proprietà? Meglio pensarci subito, romperla con il proprio ambiente e andarsene lontano» [17].
Gli spazi della solitudine interiore
La tensione emotiva che permea la scena viene resa visibilmente palpabile attraverso una serie di elementi, in modo particolare da quelli prospettici. In primo luogo, la ripartizione degli spazi e la posizione dei personaggi. Le finestre formano una serie di angoli convessi e concavi che danno l’idea di due grandi blocchi spaziali: quello in cui si collocano il figlio maggiore e la donna accanto a lui (che ha le fattezze della compagna di Tissot e che taluni, nel quadro, identificano come la moglie del figlio maggiore) e quello in cui viene inserito il figlio minore.
Il padre si pone quasi integralmente al di fuori di questi blocchi spaziali, come se fosse il personaggio più equilibrato della storia. Tuttavia, le sue mani tese verso il figlio minore simboleggiano la sua “paternità” che si mette in gioco, e il suo entrare, senza invaderlo, negli spazi dei figli. È un padre che lascia libertà, e che ama, nonostante il dramma di non essere compreso e, dunque, riamato. Il gioco di angoli spigolosi delle finestre sembra trascrivere le spigolosità interiori e caratteriali dei due fratelli, la cui distanza l’uno dall’altro è anche sottolineata dalla loro posizione all’interno del dipinto. Il figlio minore volge le spalle al fratello e alla donna. Non è interessato a dare loro alcuna comunicazione. Si rivolge (apparentemente) solo al padre. La lontananza tra i due fratelli è spaziale e interiore. L’uno si porta nell’angolo estremo della stanza, l’altro lascia (o non ha mai occupato) la sua sedia, per sedersi sul tavolo. La scena è permeata da una luce soffusa, ma calda. È come un riflesso del calore paterno, contrapposto all'indifferenza e alle tortuosità psicologiche ed emotive dei figli. Forse proprio questo calore farà riemergere nel giovane la nostalgia di casa, quando si troverà «Nel Paese straniero» e «nel bisogno» (Lc 15,14).
L’occhio, specchio dell’anima
Nessuno dei due fratelli guarda nella stessa direzione, ma entrambi portano lo sguardo “oltre”, fuori dalla casa, ossia là dove si “sentono” di essere o di voler andare. Il figlio maggiore sembra non curarsi di quanto sta accadendo, e osserva, sporto alla finestra aperta, quanto avviene in lontananza, sul fiume. In realtà, il suo volto esprime sentimenti di insoddisfazione, malinconia e una punta di irritazione per quel padre che asseconda il capriccio del figlio minore, ma non le sue richieste. È un anticipo di quell’indignazione che manifesterà espressamente alla fine del racconto lucano (Lc 15, 28). Tissot ha una visione d’insieme della parabola, e traccia un quadro netto della caratterialità di questo figlio più grande che si dimostra “immutabile” (in senso negativo) nel corso di tutta la storia, animato (e dominato) da un senso di indifferenza emotiva verso gli altri, preso da un senso del “dovere” che diviene per lui costrittivo e oppressivo, e che lo rende incapace di comprendere tanto il fratello, quanto suo padre. Questo elemento tornerà anche nei dipinti successivi del ciclo. La finestra aperta e lo sguardo sul mare, sembrano sottolineare con forza il suo desiderio di evasione che, tuttavia, non riesce a comunicare, a differenza di quanto sta facendo suo fratello.
Il figlio minore, in posizione “predominante” - in alto, sul tavolo - ha idealmente preso il posto di comando. Quello della sua vita, ma, in un certo senso - almeno secondo l’idea originale della parabola - anche quello all’interno delle regole familiari. Crede di avere un potere superiore a quello di tutti gli altri personaggi, di poter dettare lui le "condizioni". È colto in un atteggiamento difensivo e arrogante: mentre tiene saldamente il portafogli nella mano destra, arretra leggermente il braccio, rimanendo con lo sguardo fisso sul suo capitale, sulla “parte che gli spetta”, quasi per impedire al padre di riprendere quel denaro e di trattenerlo in casa. Il giovane non comprende che il gesto dell’anziano genitore non è espressione di avidità o di possesso egoistico. I due figli - ciascuno a modo suo - si sentono intrappolati, e i loro occhi riflettono ciò su cui fissano desideri, rinfacci e rivendicazioni.
Il padre, al contrario, porta lo sguardo sul figlio: non gli interessano i soldi, ma la persona. Anche i suoi gesti lo dimostrano: con la mano sinistra, infatti, sembra quasi accarezzare la mano del figlio in fuga, mentre con la destra, pare quasi tracciare una benedizione, accompagnandola con il suo sguardo mite. Con una mano vorrebbe invitare alla riflessione quel ragazzo irruento e irresponsabile, con l’altra lo lascia libero. Il suo cuore sta vivendo il dramma del vero amore che concede libertà.
La complessa costruzione prospettica, con vari punti di fuga, accentua visivamente tutte queste caratteristiche, in un sapiente connubio tra tecnica ed espressività.
INTERPELLATI DAL QUADRO
Tissot opta per un taglio prospettico che dà allo spettatore la percezione di essere dentro la scena, ma con una certa discrezione. L’osservatore è posto dinanzi all’opera come se osservasse il tutto ponendosi oltre l’angolo esterno del tavolo che sporge nella sua direzione. Chi osserva è idealmente seduto a quel tavolo. È una scelta tecnica ricorrente nelle opere del pittore, ma che in questo caso assume una valenza narrativa più pregnante, viste le finalità che egli si propone con l’intero ciclo, e che vengono evidenziate anche nella resa del «Frontespizio» ad acquaforte.
Il quadro - ciò che esso rappresenta - interroga lo spettatore. Qual è l’atteggiamento di chi assiste a questo dramma familiare? Lo si guarda come fa la donna seduta a sinistra, quasi con avidità morbosa, sollevando gli occhi mentre si è intenti a fare qualcos’altro? Lo spigolo del tavolo è come una freccia simbolicamente puntata verso il fruitore dell’opera, e lo spinge a “entrare” nella scena, e lasciarsi coinvolgere.
Un uomo aveva due figli
«La parabola inizia con il ricordo di un uomo che aveva due figli. Il numero due indica il principio della diversità, perché in due non si è più da soli. Ma nel caso specifico del racconto di Gesù i due figli hanno un elemento comune che li unisce, almeno dovrebbe, nella loro diversità: il padre. Nel sentirsi suoi figli si dovrebbero riconoscere fratelli tra di loro. Per cui quel rapporto di diversità dovrebbe diventare, nell’unione col padre, una relazione di armonia nel riconoscersi fratelli. Così la parabola mette subito in chiaro quali siano i termini di riferimento, gli elementi essenziali: prima di tutto riconoscere Dio come padre, fondamento che determina il nostro rapporto di fratellanza. Infatti, ci si scopre fratelli gli uni degli altri quando si ha la capacità di riscoprirsi figli e, se non riconosciamo in Dio l’unico padre, difficilmente riusciremo a vedere nell’altro un nostro fratello» [18].
Un padre che vede
«Dio è Occhio, Dio è Vista» - scriveva J. Ratzinger. «Qui si cela anche una sensazione originaria dell’uomo, quella del sentirsi conosciuto. Egli sa che una segretezza assoluta non esiste, che la sua vita è sempre esposta allo sguardo di Qualcuno, che il suo vivere è un esser-visto. Questa sensazione di esser-visti può suscitare nell’uomo due reazioni opposte. Questo essere-esposto può turbarlo, farlo sentire in pericolo, un essere limitato nel suo stesso ambito vitale. Sensazione che può tramutarsi in irritazione e intensificarsi fino al punto da ingaggiare una lotta appassionata contro il testimone invidioso della sua libertà, della capacità illimitata del suo volere e agire» [19]. La storia del Prodigo - e dunque anche il quadro - pone la sottile domanda, a ogni osservatore: “Ti lasci guardare da Dio Padre, o fuggi, per scappare da lui?”.
Dinanzi alla misericordia
La scena iniziale del ciclo del Prodigo interpella il fruitore anche da un altro punto di vista. Venendo “immesso” nella scena, è come se lo si invitasse a scegliere con che occhio guardare il “dramma della misericordia” che si sta svolgendo dinanzi a lui.
Si prova pietà per il padre? Dispiacere per quel figlio minore scapestrato che vuole fare di testa sua? Irritazione per la “debolezza” dell’anziano? Compassione per il maggiore o per il minore? Disinteresse totale? La partenza del Prodigo è la scena metaforica di ogni dramma in cui si “scontrano” libertà dell’uomo e amore di Dio; la metafora di ogni luogo e tempo in cui la rottura del peccato innesca quel percorso che può portare alla redenzione o alla caduta definitiva; la parabola di ogni situazione in cui l’amore viene confuso con la debolezza, e l’arroganza con la libertà. Il quadro diventa un invito all’introspezione per chi lo guarda. La scelta di questo padre anziano, che decide di accondiscendere alla richiesta del figlio, è già in sé un atto di misericordia, di un amore che non vuole trattenere con la forza.
Con chi si indentifica lo spettatore? Con il figlio maggiore, simbolo di chi si sente figlio di Dio solo per uno strano senso del dovere, per il rispetto delle “regole”, per il timore di perdere quello che ha (seppure gli sembri poco)? Con il minore, che si sente figlio al solo scopo di ottenere l’eredità, ma non per dare e ricevere amore? Con la donna - l’unico elemento estraneo alla parabola lucana - che sembra incarnare l’etichetta, la coscienza sociale, le regole mondane, l’opinione critica “del pubblico”? O con il padre, il solo capace di un gesto di vera libertà del cuore? O, ancora, si identifica in quella figura a cui Gesù punta, intessendo la storia del prodigo, ossia il figlio - fratello tra fratelli - di un unico Padre?
NOTE
[1] James Tissot, Sito Internet del Chiostro del Bramante, https://chiostrodelbramante.it/info/james_tissot/
[2] L'idea di un ciclo, anziché di una singola rappresentazione artistica della parabola, non è nuova, ma essa aveva normalmente preso corpo nelle grandi vetrate delle cattedrali cattoliche. In Francia, per esempio, il XIII secolo si caratterizza per la realizzazione di opere complesse, tra cui quelle della Cattedrale di Sens, in cui la parabola viene presentata in una vetrata suddivisa in dodici sezioni, e quelle della Cattedrale di Chartres, nella quale il racconto lucano è offerto in una serie di ben trenta scene. Cfr. Vitrail de la Cathédrale de Sens. XIIIème siècle. "La Parabole des deux fils" Luc 15, 1-32, Sito Internet delle Sorelle del Cenacolo e dei Gesuiti, Notre Dame du Web, https://www.ndweb.org/art/sens/index.html e Sito Internet della Cattedrale di Chartres, https://www.cathedrale-chartres.org/vitraux-cathedrale-chartres.php?id=2
[3] A partire dagli anni 80 dell'800 - e fino agli anni 40 del secolo successivo - la parabola assume una connotazione «più moderna e laica» e si pone maggiormente l'accento sulle «abitudini moderne, la psicologia, la percezione del tempo, e l'individualità». Dopo Tissot, un altro pittore opterà per la trasposizione "seriale" della parabola. Si tratta di Max Slevogt, il quale, tuttavia, anziché ricorrere a tele differenti, creerà un quadro suddiviso in sezioni. Cfr. David S. Berger, Modern Paintings of the Prodigal Son: Depictions by James Tissot, Max Slevogt, Giorgio de Chirico, Aaron Douglas, and Max Beckmann, 1882-1949, Sito Internet del Dipartimento di Istruzione Superiore dell'Ohio, https://etd.ohiolink.edu/rws_etd/document/get/ucin1336741954/inline
[4] La scelta della “location” della scena è sintomatica della passione per l’arte e il mondo giapponese, che divampa in Occidente proprio nella seconda metà del XIX secolo.
[5] Anna De Fazio Siciliano, Tissot, un dandy con pennello, https://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=47159&IDCategoria=52
[6] Master impressions: James Tissot, “L’Enfant Prodigue” (“The Prodigal Son”), Sito Internet del Museum of Art – University of Arizona, https://www.artmuseum.arizona.edu/events/event/master-impressions-james-tissot-lenfant-prodigue-the-prodigal-son
[7] Le informazioni dimensionali sulle singole tele sono consultabili accedendo alla scheda delle opere di Tissot, presente sul Sito Internet del Museo delle Belle Arti di Nantes, https://www.collection.museedesbeauxarts.nantes.fr/Navigart/index.php?db=internet&qs=1
[8] Olga V. Solovieva, The Pitfalls of Meritocracy: James J. Tissot's "Prodigal Son" Etchings at the Smart Museum, Sito internet dell’Università di Chicago “Divinity School”, https://divinity.uchicago.edu/sightings/pitfalls-meritocracy-james-j-tissots-prodigal-son-etchings-smart-museum#sthash.51yiyjVv.dpuf
[9] Ibidem.
[10] Sul Sito Internet del Center for the Study of Material and Visual Cultures of Religion, dell'Università di Yale, è possibile visualizzare uno zoom interattivo sull'acqueforte «Frontespizio», https://mavcor.yale.edu/material-objects/parable-prodigal-son-frontispiece
[11] Ibidem.
[12] La presenza dei gatti neri, oltre che richiamare l'attenzione di Tissot per la pittura fiamminga, potrebbe rappresentare un piccolo enigma, o diventare, all'interno del dipinto, un elemento dal doppio significato. Se, infatti, nella pittura religiosa questo animale è normalmente associato «all'immagine del diavolo e dell'oscurità, in realtà al gatto sono state attribuite anche simbologie positive. Secondo alcuni, in quanto abile cacciatore, può essere paragonato a Gesù cacciatore di anime» (Voce Gatto in Lucia Impelluso, La natura e i suoi simboli. Piante, fiori e animali, Electa, 2004, p. 223). Inoltre, a differenza di quanto accade in altri Paesi, in Inghilterra il gatto nero non è considerato come simbolo di sventura, ma viene ritenuto un portafortuna. In tal modo, la comparsa dei due micetti neri che giocano sotto al tavolo, potrebbe diventare tanto la metafora del peccato che il prodigo sta commettendo - ma di cui si renderà conto solo quando ritornerà in sé - così come pure del lieto fine della storia, quando il giovane ritroverà l'armonia con il Padre celeste e con quello terreno.
[13] Cfr. Scheda sulle opere di Tissot, Sito Internet del Museo delle Belle Arti di Nantes, https://www.collection.museedesbeauxarts.nantes.fr/Navigart/index.php?db=internet&qs=1
[14] «La pennellata è simile a quella di Monet per la resa della luce sull’acqua», mentre il colore mordoré (bruno-dorato) della luce, rimanda, ancora una volta, alla pittura Fiamminga. Cfr. Ibidem.
[15] In base alla legge della primogenitura, l’eredità spettava al primogenito. Cfr. Zouheir Jamoussi, Primogeniture and Entail in England. A Survey of Their History and Representation in Literature, Cambridge Scholars Publishing, 2011, https://www.cambridgescholars.com/download/sample/60075
[16] Cfr. Ibidem.
[17] Mario Galizzi, Vangelo secondo Luca. Commento esegetico-spirituale, Elledici, 1994, p. 326.
[18] Gabriele Maria Corini, Contro la sciatica del cuore. Spunti biblici sulla divina misericordia, San Paolo, 2015, pp. 100-101.
[19] Benedetto XVI – J. Ratzinger, Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, 2011, pp.11-12.