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    Imparare la bellezza della vita


    Giovani: vocazione laici /1

    Paola Bignardi

    (NPG 2016-01-26)


    Tra i doni innumerevoli che il Concilio ci ha lasciato, vi è la valorizzazione della vocazione laicale. Parlare di vocazione significa chiamare in causa in primo luogo il mondo giovanile, che è nella condizione privilegiata di compiere scelte importanti, che danno un’impronta alla vita.
    Sì, anche quella dei laici è una vocazione!
    Già questo modo di esprimersi dice tutta la novità della prospettiva aperta dal magistero conciliare: anche quella dei laici costituisce una vocazione, non una casuale condizione di vita, frutto della mancanza di altre scelte. L’essere laici non costituisce più una condizione di minorità, espressione quasi di un cristianesimo minore, ma è a pieno titolo una chiamata di Dio, esperienza spirituale, ecclesiale e missionaria come ogni altra vocazione.
    Non solo: l’essere laici non è una categoria sociologica che riguarda un certo numero di persone, ma implica una sensibilità, una spiritualità, una cultura ecclesiale originale, che introduce nella vita della Chiesa un modo proprio di pensare la vita, la relazione con Dio e soprattutto il rapporto con il mondo e con le cose. Ad una visione della vita ispirata alla fuga dal mondo e al timore di venire contaminati dalle sue logiche, il Concilio sostituisce l’idea di una realtà secolare frutto dell’azione creatrice di Dio, che ha fatto il mondo buono e si è compiaciuto dell’opera delle proprie mani. Certo il mondo è anche contaminato dal peccato e segnato dal male, ma nella Pasqua di Cristo ogni cosa recupera la possibilità del ritorno all’originaria bellezza e armonia. Così, i cristiani sono chiamati a farsi santi non nonostante il loro vivere nelle ordinarie occupazioni della vita di tutti, ma dentro e attraverso di esse. Espressione di questa visione della vita cristiana sono alcuni passaggi della Lumen Gentium di insuperata bellezza, come il n. 31:

    Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità”. (Lumen Gentium 31)

    Per quanto questo testo sia tra i più noti del Concilio, tuttavia non è superfluo evidenziarne alcuni tra i passaggi più significativi, a cominciare da quello che definisce i laici come dei chiamati. La loro condizione è frutto di un’attenzione personale di Dio che li considera parte viva di quel popolo di cui fanno parte tutti i battezzati, capofila di un’umanità tutta incamminata verso Dio. Sottratti ad un anonimato senza volto, i laici hanno una dignità che è data loro dalla voce di Dio che li chiama ad essere presenze originali, con doni e responsabilità proprie.

    Il Regno di Dio può essere cercato anche “vivendo nel mondo e “trattando le cose temporali”, cioè dedicandosi alla famiglia, vivendo nella complessità della città con tutte le sue espressioni, facendo politica e dedicandosi ad una professione. Nessuna paura del mondo, ma piuttosto impegno e responsabilità per trasformarlo e ridargli l’aspetto armonioso e gratificante che aveva il primo giorno. Dentro le realtà ordinarie e quotidiane che rappresentano lo scorrere della vita di tutti, i laici cristiani parlano del Signore e del suo Vangelo attraverso la testimonianza della loro vita: il Concilio vuole così evidenziare che il primo modo con cui i laici contribuiscono alla missione della Chiesa non è quello della parola edell’insegnamento, ma del “far vedere”, far sentire il profumo del Vangelo che si sprigiona da un’umanità interpretata evangelicamente, con lo stile che Gesù ha fatto proprio.

    I laici e le comunità cristiane hanno accolto con grande soddisfazione il magistero conciliare sui laici; molti di loro, con la loro intuizione e la loro esperienza, avevano anche contribuito a prepararlo nel tessuto ordinarie delle parrocchia e delle associazioni laicali. Ma vi fu una parzialità determinante nel modo con cui negli anni successivi il messaggio del Concilio venne interpretato: fu sottaciuta la dimensione secolare della vita dei laici, che si impegnarono quasi esclusivamente nelle attività pastorali, dimenticarono che il Concilio assegna loro la responsabilità di stare dentro il mondo a trasformarlo secondo lo spirito del Vangelo. La secolarità venne quasi oscurata, e molti laici, generosi e disponibili, finirono con il chiudersi in sagrestia, limitando il loro orizzonte alle questioni intraecclesiali. Molti fattori – che qui ora non possono essere presi in esame - contribuirono a questo processo: il risultato fu che alle realtà secolari mancò la sapienza cristiana dei laici e le comunità si dimenticarono di essere mandate al mondo e per il mondo, con l’esito di un generale ripiegamento intraecclesiale che impoverì tutti, soprattutto gettò nell’oblio l’aspetto più originale e più nuovo del Concilio: il senso della bellezza della vita e della compatibilità dell’esperienza del mondo con un percorso di santità cristiana.

    Nel corso degli anni mi pare che si sia perso il senso del valore della vocazione laicale e i laici sono tornati a poco a poco a vivere nel clima un po’ piatto e remissivo degli anni precedenti l’evento conciliare: si è smesso di parlare di corresponsabilità e si è tornati a parlare di collaborazione, come se fossero sinonimi; i Consigli Pastorali sono diventati organismi senza idee e senza iniziativa; il rapporto preti - laici ha nuovamente conosciuto atteggiamenti di dipendenza e di passività… Molti laici, quelli che all’indomani del Concilio avevano sperato in un sostanziale cambiamento di spirito e di stile, si sono chiusi nella loro vita privata, non sentendosi interpretati da un clima ecclesiale lontano dalla realtà e poco partecipe del cammino della società.
    L’annuncio del Vangelo ha perso la sua carica di novità e di gioia, perché in esso si sono spente le parole che fanno vedere come il Vangelo trasfiguri l’esistenza quotidiana e sia alleato del desiderio di felicità e di vita che è nel cuore di ogni persona. Questo è il tradimento più grave dello spirito del Concilio: il non essere riusciti a trovare la strada per mostrare, attraverso la gioia della vita, che il Vangelo è la perla preziosa di ogni cristiano e di ogni comunità.

    La questione della stima della laicità e della valorizzazione dei laici passa principalmente attraverso i processi formativi e culturali attivati nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti. Per questo occorre riprendere la questione formativa, sia aggiornandola rispetto alle caratteristiche culturali del nostro tempo, soprattutto delle nuove generazioni in esso, sia rivedendo obiettivi e contenuti della formazione. Non si può pensare ad una generica formazione cristiana, soprattutto per i giovani e gli adulti, la cui sfida è quella di interpretare la loro esistenza quotidiana da cristiani e quella di cimentarsi con temi nuovi, quali sono quelli economici, dello sviluppo del mondo, del progresso delle tecnologie e delle scienze… Come cogliere e vivere la bellezza creaturale della realtà in cui si vive, per farne sprigionare tutta la bellezza? Come mostrare che il vivere in esse secondo lo spirito del Vangelo è fonte di gioia e permette di vivere in pienezza la propria avventura umana?
    Questo è il cuore della questione formativa, perché il messaggio cristiano possa tornare ad essere attrattivo. Non solo: perché oggi possa tornare ad essere percepito come esperienza di salvezza, di libertà, di responsabilità per un mondo diverso.

    Lo scopo di questa rubrica è quello di riproporre il senso della vocazione laicale, in un tempo in cui la fatica della pastorale ad interpretare la complessità del tempo presente sembra aver fatto perdere attenzione alla laicità. Non solo: non si tratta semplicemente di tornare a parlare dei laici, dei loro compiti nella Chiesa e nel mondo, ma di far brillare la bellezza di una condizione spirituale ed ecclesiale, esistenziale e missionaria che sembra essersi appannata a causa dell’attivismo e dell’affanno con cui oggi vivono coloro – preti, religiosi e laici – che nella comunità cristiana hanno qualche compito di responsabilità. A poco vale parlare di laici se lo si fa solo per sollecitare la loro disponibilità a impegnarsi nelle strutture pastorali: oggi giovani e meno giovani devono essere raggiunti da una proposta che mostri loro come il loro rapporto con Dio passa attraverso la relazione con le cose, con il mondo, con le responsabilità, con le persone, con le situazioni di cui è intessuta l’esistenza quotidiana, che non è banale o insignificante ai fini del cammino di fede personale. Solo in questo modo, interiore e profondo, sarà possibile intraprendere il cammino che ritesse la frattura tra fede e vita, tra spiritualità e cultura, che caratterizza il nostro tempo.
    Dalla valorizzazione dei laici in pratica dipende non tanto il futuro della pastorale delle comunità, quanto piuttosto il futuro della fede.
    La questione, oltre che avere grandi implicazioni teologiche e pastorali, ne ha moltissime sul piano educativo. I giovani, e ancor prima gli adulti, hanno bisogno di percorsi formativi che li accompagnino a scoprire e vivere lo spessore spirituale del loro quotidiano, ad accostarsi alla vita come ad una Parola che Dio continua a pronunciare nel tempo, a intravedere, sotto la coltre superficiale della banalità, la grandezza e la bellezza dell’esistenza di ogni donna e di ogni uomo e ad avvertire la responsabilità di farla sbocciare come lode a Dio e preghiera dentro le cose.
    Non si tratta dunque di rifare i discorsi del Concilio sui laici: è già stato fatto molte volte e per questa strada la riflessione può fare scarsi progressi: oggi occorre vivere e insegnare a vivere la sostanza della laicità cristiana, declinando in chiave educativa le parole della Evangelii Nuntiandi: compito dei laici “è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e operanti nelle realtà del mondo” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, n 70).

    Noi lo faremo attraverso un percorso che ci porterà a parlare di creazione, di storia, di dimensione pasquale della vita quotidiana; di famiglia, di professione, di società; di virtù cercate per affinare la propria umanità che racchiude il progetto di Dio e per rendere nuovo e veramente umano il contesto di cui siamo parte. Qualcuno potrà chiedersi che cosa c’entra tutto questo con la comunità cristiana, ma vorrebbe dire non aver compreso il cuore del messaggio conciliare: la comunità cristiana, Chiesa concreta e viva qui e ora, non è chiamata a vivere per se stessa e per le proprie attività, ma è mandata al mondo per far intravedere a tutti la bellezza del disegno secondo cui esso è uscito dalle mani di Dio.
    Parlando ai partecipanti al convegno ecclesiale di Firenze Papa Francesco ha fatto un appello ai giovani, chiedendo loro di “essere modelli nel parlare e nell’agire”, di “essere costruttori dell’Italia, di mettersi al lavoro per un’Italia migliore”. E poi, invitandoli a non guardare dal balcone la vita”, chiede loro di impegnarsi e di immergersi nell’ampio dialogo sociale e politico. Il Papa ha delineato così per i giovani la missione della testimonianza nel mondo; ma questo non sarà possibile senza un’educazione che insegni loro a comprendere il valore spirituale del mondo in cui vivono e a capire che in esso realizzano la loro vocazione di cristiani e di cittadini.

    Dunque la prospettiva di una laicità credente è l’ideale da far intravedere ad ogni giovane perché' sia affascinato dal modo di interpretare la vita che il Vangelo propone e scommetta su di esso nel suo giorno per giorno.


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