Intervista a Paolo Carlotti
(NPG 2009-04-16)
Domanda. Anzitutto una domanda socioculturale. C’è oggi un ritorno della questione etica o quasi una nuova «domanda» di etica. Per quale ragione? Come si esprime? Come si può interpretare?
Risposta. È da tempo che sento parlare di ritorno della questione etica e sempre – mi sembra – con crescente pertinenza. Se non fosse per il fatto che ci siamo abituati alle varie emergenze, quella etica meriterebbe oggi veramente questo nome.
Questo non è da intendere, moralisticamente, come se noi uomini del XXI secolo fossimo peggiori di altri, ma solo che, soprattutto nella nostra cultura occidentale, viviamo un passaggio in cui il discernimento personale e collettivo del bene e del male non è più patrimonio largamente condiviso. È indubbio che la condivisione culturale e sociale di un quadro valoriale favorisce enormemente la comprensione e la pratica morale degli individui, che, proprio nella nostra epoca, lamentano il silenzio neutrale della società e di conseguenza la solitudine in cui essi versano, di fronte al compito di progettare la propria vita, compito che sempre più viene risolto evadendolo e quindi lasciandosi vivere.
L’insufficienza delle risposte
Ora una delle ragioni per cui si ripresenta l’etica come questione è, probabilmente, l’insufficienza della risposta che essa ha, perlopiù, finora ricevuto. Il soggetto moderno, giustamente, non vuole costruire la propria identità come un destino – direbbe Ch. Taylor – ma come una scelta e, altrettanto giustamente, vuole aver diritto di parola sulla realtà della propria autorealizzazione. Tutto ciò ha portato a risolvere la questione della verità in quella dell’autenticità, per cui non è più opportuno parlare di verità, ma di mia, tua verità, una verità che vale solo per chi la elegge, e solo per il fatto che il singolo la elegge, non per una sua corrispondenza alla realtà. In quest’ottica, il rischio di scambiare il bene per male e il male per bene è a portata di mano. Il discorso sarebbe lungo e qualcuno direbbe che il soggetto moderno è moderno perché connotato da un dato molto rilevante, che si è andato costruendo e imponendo progressivamente: lo svolgimento della conoscenza dell’oggetto nella coscienza del soggetto: la ulteriore deriva soggettivista, con queste premesse, è alquanto scontata.
Ora si vede meglio che, anche se accettassimo la rigida distinzione tra pubblico e privato – per cui in privato ognuno agisce insindacabilmente come meglio desidera, mentre in pubblico regola la propria condotta secondo lo schema dei diritti individuali – l’etica, soprattutto se sociale, non può essere solo mia o tua, ma deve essere per tutti. Non sarebbe possibile alcuna convivenza civile se arrivassimo a decidere, per ipotesi, che solo chi crede che rubare sia male non ruba, e mentre chi non lo crede può astenersene. Inoltre, ci siamo progressivamente accorti che l’imprescindibile etico, comune a tutti, non può consistere in un ridottissimo minimo, ma deve comportare qualcosa di più, se si vuol assicurare la qualità umana del nostro stare insieme. Ed infine ci si è accorti che, anche a livello strettamente privato, la decisione di stabilire arbitrariamente il bene e il male ricade penosamente sulla persona. Per esempio, si può – anche sinceramente – arrivare a pensare che l’uso della droga sia un bene, ma non per questo non crea una tossico-dipendenza, penosa da vivere, per il drogato e per gli altri.
Un cenno merita la condizione multiculturale delle nostre società, che ha creato una «prossimità straniera» di diversi modi di intendere e di essere, di stili di vita, che se in passato avevano creato un certo spaesamento, ora sembrano innescare un bisogno perlomeno di consapevolezza, se non di coscientizzazione, circa i propri modi e stili, talora dati per scontati, se non semplicemente subiti. Esemplificando in modo spicciolo, la fedeltà alla preghiera dei mussulmani ha fatto sorgere nuovi interrogativi e nuove disposizioni circa la partecipazione domenicale alla santa Messa da parte di più di un cattolico.
Tuttavia è necessaria anche qualche accorta considerazione nel valutare questo ritorno all’etica. Infatti questo stesso appello all’etica, oggi così diffuso e familiare, che sembrerebbe doversi accreditare come passaggio senz’altro promettente, non di rado, dopo un’analisi prima facie, mostra la sua equivocità, soprattutto quando, nell’immagine dell’etica invocata, l’etica stenta a riconoscersi, mentre facilmente vi rinviene le sue riduzioni ad altro, talora al totalmente altro da sé.
D’altra parte, pur continuando a segnalare un persistente stato di emergenza, la sua positività consiste in una nuova e migliore consapevolezza della necessità di una verità morale comune ad ogni uomo, e del fatto che la verità morale è nostra alleata, più che nostra nemica, tutto sommando, anche le convenienze. Certo fare il bene conviene, anche se non si può fare il bene solo o prima di tutto per semplice convenienza.
È un segno dei tempi che la questione etica riemerga contro tutte le sue contraffazioni e riduzioni. È una pacifica e disarmata protesta che interpella la coscienza di ogni uomo e dell’umanità, circa la risposta data al senso della vita. Ogni azione è un’autointerpretazione di sé, oltre la contingenza della vita.
Mi si chiede una ricognizione delle sue espressioni, che sono molteplici. Cresce l’interesse spicciolo della gente comune, che anche se non sempre disposta immediatamente a mutare opinione o comportamento, tuttavia è interessata a verificare le proprie conoscenze e le proprie condotte pratiche. Cresce l’esposizione pubblica delle questioni etiche, non solo in ambito bioetico o ecologico, ma anche in quello economico e finanziario come pure nelle relazioni internazionali, purtroppo ancora segnate da guerre e terrorismi. Crescono i codici deontologici che presiedono alla regolazione di relazioni interpersonali e/o sociali, come pure grandi operatori aziendali che si fanno carico della promozione di iniziative di solidarietà e della istituzioni di fondazioni dedite allo studio del rapporto etica ed economia, riscattato dal limbo di una secolare reciproca indifferenza, diffusamente giustificata. A livello ecclesiale sono cresciuti gli interventi del Magistero in campo morale, basti solo pensare alle due encicliche di Giovanni Paolo II, Veritatis splendor ed Evangelium vitae, pur prescindendo da quelle sociali, da lui considerate a fondamentale risvolto teologico-morale.
Modelli di etica
D. Quali modelli di etica si propongono oggi nella società? Esiste un criterio per la loro valutazione e accoglimento come orizzonte per l’agire dell’uomo?
R. Nell’ethos della nostra società vige il criterio del soggetto morale moderno, che determina liberamente e insindacabilmente le proprie scelte private e contratta o pattuisce, tramite diritti, quelle pubbliche. È un criterio minimale e di ascendenza liberale, che nasce dalla conflittualità delle visioni etiche globali esistenti, conflittualità che si ritiene insuperabile. In realtà, mi sembra che sia possibile valutare la portata – il raggio di spiegazione – la tenuta – la coerenza esplicativa – e la plausibilità razionale delle diverse etiche che rivendicano uno statuto veritativo, con l’esercizio della ragione, elemento specifico e comune ad ogni uomo. Come è possibile in matematica indicare come false alcune soluzioni – per esempio che 2 + 2 sia uguale a 5 – così è possibile fare altrettanto in etica. Del resto se così non fosse, perché aver tanto lottato per una dichiarazione dei diritti dell’uomo, se con essi non fosse stato possibile indicare prassi e condotte precise, universalmente valide e vincolanti? Solo una flessione positivista nella determinazione dell’oggettività potrebbe far pensare che solo le scienze esatte la possano rivendicare, mentre le scienze dello spirito debbano accontentarsi di percorsi singolari di pensiero, non universalmente riconoscibili da chiunque altro. Sulle capacità della ragione di mostrare i fondamenti e i vincoli della razionalità pratica è molto opportunamente ritornato ancora Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio.
Per esempio, lo stesso scetticismo e lo stesso relativismo, molto presenti oggi in campo morale, possono essere scettici e relativi su tutto, eccetto che sul fatto, rispettivamente, che non ci sia o non sia conoscibile una verità morale o che ognuno abbia la propria verità. In altre parole queste correnti di pensiero sono in contraddizione con se stesse, perché non possono darsi scetticismo o relativismo assoluti: un dato non può essere soggetto a scetticismo o relativismo, rispettivamente l’esistenza dello scetticismo e del relativismo. Si dirà che questo ragionamento è un giochetto per bambini, che però segnala, in prima battuta almeno, una certa incoerenza, che dovrà certamente essere poi meglio esplicitata, ma che già fin d’ora permette qualche riserva sull’adozione di simili approcci etici.
La stessa presenza di etiche effetto-orientate o fine-orientate, detto altrimenti del consequenzialismo o del deontologismo, può essere non solo registrata, perfino nella prevalenza delle prime sulle seconde, ma anche valutata, verificando, senza precomprensioni ideologiche – come quelle inerenti al dibattito tra laici e cattolici -, la loro forza e coerenza esplicativa, secondo una ratio comparativa prima e dialettica poi. Rimando a numeri precedenti di Note di Pastorale Giovanile 2008, se qualcuno fosse ancora interessato alla confutazione razionale delle etiche effetto-orientate.
Immagino, tuttavia, che tra i lettori ci possa essere più di uno, interessato anche al discorso cristiano dell’etica e alla correlativa domanda della compatibilità cristiana e teologica di un’etica a fondo soggettivista o relativista o anche solo effetto-orientata. Certo, se è il soggetto che ridefinisce e ultimamente stabilisce il valore morale, il suo essere «uditore della parola», per usare un’espressione di un grande teologo come Karl Rahner, risulta vanificato in quanto è in ascolto di se stesso non della Parola di Dio che è Gesù Cristo. Se poi conta il risultato e non l’intenzione del cuore, come chiaramente Gesù richiede per parlare autenticamente di conversione o di riconciliazione, allora la stessa proposta di salvezza di Gesù risulta essa stessa ridotta e alterata. Non ogni paradigma etico circolante oggi nel «mercato» delle idee è compatibile con la Rivelazione cristiana e quindi con la sua scientifica riflessione, cioè la teologia.
È possibile una «verità» circa l’etica?
D. Si può accedere a una «verità» circa l’etica, o – data la complessità sociale, il pluralismo delle visioni di vita e dei riferimenti religiosi, l’auspicata tolleranza, la riduzione di tante questioni a fatti puramente personali («di coscienza») – la ricerca della «verità» (soprattutto quando ritenuta «rivelata») è pura utopia quando non antidemocrazia e «violenza», integralismo? E se è una verità a cui si accede per via di fede, perché dovrebbe valere o essere «imposta» a tutti?
R. È indubbio che ogni verità di fede cristiana esige la fede per essere accolta. La fede cristiana non può essere imposta a nessuno, tantomeno a tutti, meno ancora tramite uno strumento legislativo. La fede non può non essere accolta così come viene da Dio offerta, nella piena libertà, nella consapevolezza e nella responsabilità personale. Prescindendo dal puntuale rispetto di queste dimensioni, non si ha affatto alcuna evangelizzazione, ma solo un proselitismo indottrinato e ammaestrato: a questo nessun cattolico italiano può essere interessato.
Tuttavia vi sono verità morali che, appartenendo al patrimonio dell’umanità, sono anche cristiane, come per esempio la positività dell’onestà e della solidarietà oppure la negatività del furto, dell’omicidio, della menzogna. Il cristiano rifiutando l’omicidio e il furto non impone la sua fede a nessuno, ma fa opera di qualificazione umana e sociale, come qualsiasi altro soggetto sociale operante nel contesto delle democrazie deliberative occidentali. È tuttavia onestamente da riconoscere che ci può essere il rischio, in alcune questioni etiche, di imporre una visione confessionale, soprattutto quando è difficile capire se alcune esigenze procedano direttamente dalla fede o siano semplicemente implicanze pratiche della comune umanità.
La ricerca ideologica della verità – è questa espressione un vero e proprio ossimoro, cioè una contraddizione in termini, come quando si parla di dolcezza amara o di acqua asciutta – proprio perché tende ad acquisire conoscenze funzionali o strumentali ad un quadro previamente precostituito, essendo contro l’uomo, che è degno della verità e non delle sue contraffazioni, è violenta e quindi antidemocratica. Anche il cristiano, pur dotato della Rivelazione, ricerca continuamente la verità, senza fisse precomprensioni: possiede una certezza da svolgersi biograficamente e storicamente. È altresì ovvio che nessuna verità, per quanto tale sia, può essere imposta alla persona umana, tanto meno in modo subdolo o addirittura ricattatorio. La verità, soprattutto se cristiana, esige il libero riconoscimento e la libera adesione. Questa libertà non è mai data se non concomitante a processi intellettuali e culturali omologanti e condizionati, da cui occorre sottrarsi con intelligenza e forza interiore, creando anche comunità di esperienza morale qualificata.
Tuttavia ciò che è a tema oggi è il progetto di un’etica senza verità: tutto ciò vanifica l’etica stessa, che è discriminante tra azioni e condotte diverse, che non sono appunto tra loro indifferenti. Si vuole che ognuno viva secondo ciò a cui crede, senza ricorre ad alcun criterio valutativo, se non quello minimale, strettamente richiesto da un perseguimento dell’interesse proprio, che ha da essere ragionevole. La condizione di spaesamento se non di confusione sembra essere molto funzionale proprio a questo progetto.
Questioni urgenti
D. Quali sono le questioni etiche che si pongono oggi con particolare evidenza e urgenza?
R. Oltre alla questione fondamentale, di cui abbiamo finora parlato, riconducibile alla dimensione oggettiva dell’esperienza morale, a livello settoriale non si dà praticamente alcun campo morale che non sia questionato, cioè che non sia interessato da interrogativi rilevanti.
L’esemplificazione è purtroppo assai facile e assai facilmente risulterà incompleta.
Lo è il campo bioetico con le questioni di inizio e di fine della vita, con la connessa custodia e promozione della dignità della persona, del senso della generazione e del morire umano.
Lo è il campo della sessualità umana, dove la sua norma eterosessuale, da secoli in vigore, è scossa da modelli relazionali, generazionali e familiari nuovi e perlomeno inusitati.
Lo è il campo dell’ecologia, con l’incalzare delle ricadute ambientali dell’attività tecnologica dell’uomo, soprattutto nei paesi industrializzati.
Lo è il campo dell’economia e della finanza, che continuano a generare pesanti diseconomie e produrre sacche, sempre più estese, di povertà, anche in occidente.
Lo è il campo dei media comunication, quando ci si interroga sul senso del comunicare umano in un contesto a prevalente connotazione pubblicitaria.
Lo è il campo delle relazioni internazionali tristemente segnate dal ricorrente riproporsi della guerra e ora anche del terrorismo.