Tensioni valoriali nel mondo dei giovani

Franco Dorofatti

(NPG 2009-03-47)


Anche se leggere personalmente ricerche sul mondo giovanile è un compito ineludibile per ogni operatore pastorale, per sollecitare il lettore offriamo una sintesi organizzata di alcune delle più recenti indagini sul mondo giovanile, con attenzione soprattutto a una lettura educativa, lasciando poi al successivo intervento di Tonelli il compito di una riflessione pastorale sugli aspetti più rilevanti dell’esperienza religiosa, come rilevata nella ricerca di cui diremo.[1]

I giovani secondo IARD 6

Anzitutto il Rapporto Giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, a cura di C. Buzzi, A. Cavalli e A. De Lillo, il Mulino, Bologna 2007. È la sesta rilevazione periodica dal 1983, fatta dall’Istituto IARD, che affronta il tema della condizione giovanile e cerca di intercettare i nuovi orientamenti che i giovani vanno sviluppando, all’interno di una società in continuo cambiamento. Condotta nel 2004 su un campione nazionale rappresentativo di circa 3000 giovani fra i 15 e i 34 anni, rappresenta un punto di riferimento, per quanti si trovano ad operare in favore dei giovani, per la conoscenza di atteggiamenti, usi e costumi e tendenze dei giovani d’oggi.
È da notare anzitutto che tale Rapporto smentisce gli stereotipi, i luoghi comuni secondo cui presso i giovani si registrano facilmente fenomeni di disagio, di devianza, di bullismo, di violenza, e offre uno spaccato di giovani «normali» che non fanno notizia, per i quali la famiglia e la scuola sono punti di riferimento, giovani molto incentrati su stessi e le proprie necessità, che riscoprono l’impegno e vogliono dare il meglio di sé.
La famiglia è il valore che «tiene», inossidabile da vent’anni. Nel 2004 per l’84% dei giovani la famiglia è «la cosa più importante della vita». La famiglia lunga è ancora un «habitus» per molti giovani, che continuano a non aver «fretta di crescere». Un po’ ovunque per l’Italia è presente il fenomeno di questa famiglia lunga. Ma per la prima volta si sta assistendo ad una limitata inversione di tendenza per i ragazzi tra i 21 e i 24 anni, che iniziano con maggior frequenza a lasciare la casa dei genitori sia da soli che attraverso il matrimonio o la convivenza, mentre si mantiene nei trentenni l’abitudine ad allontanare l’uscita dalla famiglia. Va notato che quello della socialità ristretta (famiglia, amici, affetti) è il modello prevalente tra i giovani.
La scuola, poi, non è allo sfascio. I giovani di questa indagine lo confermano, e di questa istituzione apprezzano più la cultura di base e le chance di socializzazione che offre che gli stimoli in termini di competenza. Si vuole dai giovani però una scuola che si raccordi meglio col mondo del lavoro e delle professioni.
Circa il tema del lavoro e della flessibilità si registrano alcuni elementi di positività: sono diminuiti i giovani disoccupati o in cerca di prima occupazione, anche per il diffondersi delle posizioni precarie, che riguardano circa un quarto di giovani attivi. Il lavoro temporaneo suscita pareri contrastanti. Da un lato il senso di insicurezza e precarietà è vissuto negativamente e spiega la lunga permanenza in famiglia, dall’altro, se non diventa una condizione irreversibile, il lavoro temporaneo viene percepito come opportunità di esperienza professionale e di sperimentazione in vista di trovare una collocazione soddisfacente. Quote minoritarie di giovani cominciano ad apprezzare la ricchezza di scelte più impegnative di vita che aprono loro orizzonti di realizzazione sin qui impensati.
Nell’universo giovanile si possono ravvisare due tipologie: i giovani moderni, che con difficoltà si muovono all’interno della complessità, e i giovani post-moderni, che vivono nella società complessa, utilizzandone le opportunità e cercando risposte del tutto personali alle situazioni, che diano soddisfazione per la vita.
Volendo considerare, all’interno del campione (giovani 15-34 anni), la fascia dei giovani tra 15 e i 24 anni e istituire un confronto con gli anni precedenti, si nota una crescita, oltre che dei valori della famiglia e dell’amicizia, anche la crescita dei valori dell’impegno sociale e religioso, il ritorno di attenzione verso la cultura e persino il leggero aumento del valore dell’impegno politico. L’impegno sociale è cosa importante della vita per il 21,9% del 1983 e per il 25,2% del 2004; l’impegno culturale è importante per il 34,1% del 1983 e per il 39,8% del 2004; l’impegno politico è importante per il 4% del 1983 e per il 6,1% del 2004; e l’impegno religioso è importante 12,2% del 1983 e per il 19,1% del 2004.
Quale soggettività giovanile va emergendo? Come mostrato nell’articolo precedente, R. Inglehart teorizzava la rivoluzione silenziosa, provocata dai valori post-materialistici (La rivoluzione silenziosa, Rizzoli, Milano1983). Nella società, soddisfatti i bisogni materiali, primari, i bisogni della sopravvivenza, emergevano i bisogni post-materialistici, centrati sulla libertà di parola, la difesa della natura, la partecipazione politica. Nelle società «post-industriali» si poteva notare una crescente attenzione alla qualità della vita, al senso della comunità, all’ambiente da salvaguardare.
Questo trend valoriale che dagli anni ’80 era possibile osservare, ha subito delle variazioni. Da un decennio nel complesso i giovani paiono meno attenti ai valori post-materialistici e più attenti alla definizione della propria identità, al proprio intorno sociale amicale e familiare (si parla dell’«irresistibile ascesa della socialità ristretta» presso i giovani), a rivendicare i propri diritti. Sono meno preoccupati dei problemi della vita collettiva rispetto al passato, e curano di più i rapporti interpersonali, i rapporti primari e la vita affettiva.
A. Cavalli nell’Introduzione alla ricerca osserva: «C’è stato sicuramente nel corso degli anni un ripiegamento nel ‘privato’, con l’enfasi posta sui valori dell’amore, dell’amicizia, della comprensione reciproca nella sfera della dell’intimità, ma anche questo trend sembra essersi arrestato, e riprendono un certo slancio, sia pure in modo talvolta contraddittorio, i valori dell’impegno sociale e religioso e perfino dell’impegno politico».
A questo identikit del giovani oggi aggiungiamo ulteriori dati da un’indagine di F. Garelli-A.Palmonari-L.Sciolla, La socializzazione flessibile. Identità e trasmissione dei valori tra giovani, il Mulino, Bologna 2006. Il volume contiene una ricerca interdisciplinare, diretta da sociologi e psicologi, finanziata dal MIUR e condotta dall’Istituto Eurisko nel 2003, che si è riferito a un campione di 2000 casi, rappresentativo degli individui di età compresa tra i 16 e i 29 anni. La ricerca indaga i nuovi modi con cui famiglia, scuola, ambienti di lavoro, rapporti amicali ed esperienze di gruppo influenzano l’assunzione di valori, la formazione dell’identità e gli stili di vita dei giovani. Si parla di socializzazione «flessibile». In sostanza i giovani contemporanei mancano di conflittualità nei confronti dei padri, sono detti figli della tregua, piuttosto diplomatici; si identificano coi padri, allorquando questi sono coerenti coi valori trasmessi. Non sono conformisti: riflessivi, hanno una certa capacità di distacco nella valutazione e sono cauti nell’esprimere giudizi. La socializzazione giovanile viene definita anche «morbida», perché presenta aspetti interattivi, dialogici, e in famiglia e nella scuola prevale una sorta di modello negoziale rispetto a chi rappresenta l’autorità, che non scade in forme di permissività.

L’ASPETTO RELIGIOSO

Tornando alla ricerca IARD, al campione complessivo dei giovani (15-34 anni), alla domanda: quanto considera importante per la sua vita la religione, il 21,7% risponde: molto importante; il 37,2% risponde: abbastanza importante; il 41,1% risponde: per niente o poco importante. Il rapporto tra giovani e religione e, più in generale, tra giovani e sacro sembra positivo per tanti giovani, inoltre sembra passare in misura importante attraverso la tradizione cristiano- cattolica dei propri genitori, secondo un processo di trasmissione della fede che segue i canali socializzativi primari e vede le agenzie religiose rafforzare tale orientamento religioso già radicato.
Alla domanda più diretta sulla posizione rispetto al credo religioso professato, la netta maggioranza degli intervistati (69%) si definisce cristiana cattolica, mentre l’11,3% non crede in alcuna religione tradizionale. La religione, oltre che essere un importante strumento di definizione dell’identità, svolge un ruolo di grande importanza come fonte di valori morali, anche se nei comportamenti di tutti i giorni la forza di persuasione delle norme religiose si è affievolita.
Mentre però c’è un interesse positivo dei giovani verso il mondo sacro e religioso e c’è un certo influsso della religione sui comportamenti morali, risulta che la partecipazione attiva ad un percorso religioso appare fortemente in crisi. Così per quanto la maggioranza di giovani si dichiari ancora cristiano-cattolica, solo in pochi casi si può parlare di una appartenenza stabile e coerente alla Chiesa.
Tre appaiono le strade percorse dagli intervistati. Una quota di giovani (attorno al 24%) rifiuta qualsiasi forma di identificazione religiosa. C’è poi una quota appena più modesta per la quale la religione non solo rappresenta uno strumento importante per la costruzione della propria identità, ma comporta anche precise scelte di comportamento circa la scelta delle attività del tempo libero, circa l’appartenenza ad una comunità di riferimento e circa la vita familiare. Nel mezzo tra i due estremi c’è un variegato mondo di soggetti per i quali la religione funge essenzialmente da stampella ad un’identità sociale debole. Si definiscono cristiano-cattolici, perché sono stati battezzati e hanno fatto un cammino di catechismo, tuttavia si tratta di un’identificazione che non porta a precise scelte di appartenenza. Il vero riferimento per le scelte quotidiane è il sé, secondo un principio individualistico che piega anche le regole e le norme di comportamento religiose. È un dato che chi ha un’identità forte, questa fa sentire i suoi effetti a livello di scelte morali, ma anche tra i giovani credenti e i praticanti sembra prevalere il principio secondo il quale, quando non si lede la volontà altrui, le scelte individuali non devono sottostare ad altre norme che non siano il libero arbitrio.
Il panorama complessivo che si ricava dall’indagine appare composito. Oggi in Italia sembrano convivere molteplici modalità di adesione alla religione, che denotano una diffusa domanda di senso, aperta anche alla dimensione trascendentale. Sembra che l’offerta religiosa faccia fatica ad intercettare questa domanda, che problematizza le questioni religiose, che non accetta quell’insieme di strutture organizzative tradizionali che concedono poco spazio alla libertà individuale e che mette a dura prova gli educatori.
Circa la socializzazione religiosa, poi (e qui ci riferiamo alla ricerca di cui sopra, La socializzazione flessibile), è assai diffusa, in una società pluralista che privilegia la ricerca religiosa secondo tratti personali, e attecchisce soprattutto dove il patrimonio religioso familiare è vissuto non solo come tradizione, ma come convinzione, specie se è il padre il più convinto religiosamente.
I dati più interessanti della ricerca, a livello religioso, figurano tre.
Oltre l’80% dei giovani intervistati dichiara di aver frequentato gli ambienti religiosi almeno nell’età della preadolescenza, o in quelli immediatamente successivi; la metà di loro dice di aver incontrato una o più figure religiose particolarmente significative, punto di riferimento nella loro vita futura; il 30% tra questi dichiara di essere coinvolto in una esperienza associativa; e se, per il 20% di loro si tratta di un’esperienza conclusa, il 10% dichiara che anche da giovane adulto porta avanti l’esperienza. Secondo gli autori, da questo quadro delineato risulta che la rete delle parrocchie è ancora molto attiva, che offre forme di associazionismo gradite ai giovani e in cui il percorso di socializzazione ha incidenza sul singolo. Anche se l’esperienza di associazionismo per molti va a concludersi nel tempo, lascia effetti positivi per quanto riguarda la scelta dell’orientamento religioso.

Un’analisi più approfondita

Per approfondire l’aspetto religioso, prendiamo in considerazione la più recente ricerca totalmente dedicata alla religiosità giovanile:[2] Giovani, religione e vita quotidiana (a cura di Riccardo Grassi, il Mulino, Bologna 2006). Essa nasce dalla richiesta del Centro di Orientamento Pastorale di un’analisi degli stili della religiosità giovanile all’inizio del 2000 e delle conseguenze che ha l’appartenenza religiosa rispetto alla vita quotidiana giovanile attuale.
Ne risulta una religiosità frammentata, espressione di una pluralità di stili che, se da un canto manifesta la tendenza verso la costruzione di una religione «bricolage» di azioni, riti e suggestioni ad uso e consumo personale, senza magari curarsi dell’appartenenza alla Chiesa, dall’altro canto manifesta la difficoltà che incontrano le forme tradizionali di trasmissione della fede a rispondere alle sfide di un mondo che cambia. È da notare che, nonostante la secolarizzazione tenda a ridurre gli spazi religiosi, l’appartenenza religiosa è ancora in grado di spiegare certe differenze di comportamento e di atteggiamento, soprattutto nei contesti etici e nelle relazioni umane.
Per comprendere più nel dettaglio il rapporto tra i giovani e la religione, val la pena di riportare alcuni dati. In Italia, come si sa, la religione è professata dalla maggioranza della popolazione e anche i giovani non fanno eccezione. Infatti la rilevazione, compiuta nel 2004, mostra che il 70% degli intervistati (giovani dai 15-34 anni) dichiara di credere alla religione cristiana cattolica; un altro 5% si identifica nella religione cristiana, ma senza appartenere a una chiesa. Questo dato può essere sintomo di una tendenza a una religione privata, a uso e consumo del singolo e slegata da una appartenenza ecclesiale. Considerando, poi, anche le fedi non cristiane e le altre forme di credenza, l’82% dei giovani esprime una religiosità di fondo a fronte di un 11% che si dichiara ateo e di un 6% che ritiene che sulla fede non ci si possa esprimere.
Quanto all’importanza della religione nel quotidiano, si analizza se i giovani ritengono ancora che la religione abbia un’influenza nella propria vita quotidiana o la relegano in uno spazio marginale. Il dato indica che poco meno del 30% attribuisce un’importanza elevata alla dimensione religiosa, un terzo la ritiene trascurabile o la nega, e un 37% si pone in una posizione intermedia un po’ d’incertezza.
Guardando poi alla pratica di culto, si osserva che, mentre il 70% dei giovani si dichiara cattolico e il 30% ritiene la religione molto importante, solo il 17% partecipa assiduamente alle funzioni religiose. La maggioranza dei giovani, anche quando si dichiara espressamente cattolica o quando afferma che la religione rappresenta un aspetto importante della propria esistenza, sembra abbastanza lontana da una pratica religiosa tradizionale. C’è sì un interesse verso la dimensione religiosa, ma pare che tale interesse si esprima sempre meno nelle forme tradizionali di culto e di appartenenza ecclesiale, indirizzandosi verso percorsi più complessi e frastagliati, così che il giovane tende ad attuare, dentro il pluralismo religioso, una pratica religiosa sempre più a misura del singolo o del piccolo gruppo di riferimento, con venature anche di sincretismo religioso.
Comunque sembra di poter osservare, nella maggior parte dei giovani intervistati, una fede che non è spenta, ma che è alla ricerca di nuovi spazi e nuovi riconoscimenti. Non a caso più del 40% degli intervistati valuta la propria fede come alta o molto alta, e il 20% ritiene che negli ultimi anni sia cresciuta, anche se la partecipazione ai riti, a iniziative e gruppi di tipo religioso è bassa nella maggior parte dei giovani. Emerge qui un’indicazione di interesse per gli educatori delle nuove generazioni: esiste una tensione giovanile verso la spiritualità, ma non riesce a trovare una risposta attraverso le forme tradizionali di partecipazione religiosa. C’è bisogno di liberare i bisogni dell’anima giovanile e di proporre valori autentici, incarnati nel mondo attuale, facendo leva sul buon margine di fiducia che ancora la Chiesa riscuote presso i giovani.
È da notare, poi, che l’importanza attribuita soggettivamente alla religione è legata a una serie di elementi culturali che si intrecciano con il processo di socializzazione e che fanno emergere la centralità dell’intorno familiare (e della madre in particolare) rispetto allo sviluppo del sentimento religioso.
Si intravede anche un modo di vivere la religiosità profondamente emotivo, che fatica ad inserirsi all’interno di percorsi strutturati e stabili di appartenenza, ma che viene vissuto a livello individuale, con slanci di partecipazione alternati a periodi di latenza. Il trend, che si evidenzia per il prossimo futuro, potrebbe esprimersi in una divaricazione sempre più forte tra alti livelli di partecipazione giovanile a momenti emotivamente molto coinvolgenti, fragili agli effetti della consistenza e persistenza, e una bassa partecipazione alla vita comunitaria della Chiesa locale, impegnativa, ordinaria, ma costruttiva.
Certo è che i giovani secondo cui la dimensione religiosa costituisce di fatto un elemento fondamentale rispetto alla costruzione della propria identità e del proprio sistema di significati sono una netta minoranza. Va notato che anche tra i giovani religiosi avanza la tendenza a fare riferimento, nelle situazioni concrete della vita quotidiana, ai modelli pragmatici dello stile di vita laico.
Si può osservare anche che la difficoltà di una precisa e coerente scelta religiosa, oggi, ha molto a che fare, tra l’altro, con un diffuso stile di vita che fatica a fare affidamento su un unico sistema di riferimento morale e valoriale.
A conclusione della ricerca si tenta di disegnare l’identità del giovane religioso.
Ci sono i cattolici non praticanti, che si dichiarano cristiani, ma non partecipano al culto, mostrano fiducia verso le istituzioni, ma disdegnano l’impegno sociale. Sembrano ragazzi che hanno acquisito le nozioni di catechismo, senza una più compiuta riflessione circa i temi della la fede. A questi si contrappone il gruppo dei non religiosi che esprime una posizione, che a volte è il frutto di una riflessione sulla religione, accantonata in nome di altri riferimenti alla propria azione. Il gruppo non religioso mostra un livello di partecipazione e di impegno sociale maggiore rispetto a quello dei cattolici non praticanti. I cattolici praticanti, infine, sono coloro per i quali la definizione di cristiano non è semplicemente un’etichetta, ma comporta anche precise scelte di vita. La richiesta che sembra emergere dai giovani contemporanei nei confronti della Chiesa è dunque quella di una maggior chiarezza del messaggio evangelico, ma anche di una maggior capacità di comprendere le fragilità della condizione giovanile contemporanea. La richiesta dei giovani «pare essere quella di una Chiesa familiare, in grado di essere padre che dà regole certe, indica la strada da seguire e si pone come esempio di coerenza; madre, sempre pronta ad accogliere nonostante gli errori; fratello disposto a camminare insieme nelle situazioni di ogni giorno. I testimoni richiesti dai giovani sono innanzitutto compagni di viaggio che partecipano delle difficoltà della vita di ogni giorno, che sono capaci di ascoltare tanto quanto siano capaci di indicare il cammino» (p.189).

NOTE

[1] Manca all’appello l’analisi del 9° Rapporto Nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza (novembre 2008), centrata – per gli adolescenti – sull’analisi della figura del «tecnoager», alla ricerca di in equilibrio tra nuove possibilità e la «rumorosa» solitudine della rete.

[2] Ricordiamo che la precedente è stata: Mario Pollo, L’esperienza religiosa dei giovani, Elledici 1995-96, in cinque volumi, dedicati agli adolescenti, ai giovani, e agli approfondimenti (a cura di M. Midali-R. Tonelli).