Il terreno minato e il passo del cavallo


Educare le emozioni /1

Raffaele Mantegazza

(NPG 2009-01-66)


I professori non chiedevano mai
se eravamo felici
(Luca Carboni, Silvia lo sai)

È possibile parlare di emozioni? È possibile far entrare questa dimensione porosa, inquieta, proteiforme nei progetti educativi e nell’attività pratica con i ragazzi e le ragazze? O meglio: è mai possibile educare senza attraversare questo campo minato, è possibile una relazione educativa che scavalchi bellamente la dimensione emotiva? La risposta a queste domande sembra ovvia; forse non lo è del tutto. Quello che è certo è che troppi cosiddetti educatori lavorano sulle emozioni in modo poco cauto o addirittura ricattatorio: l’insegnante descritto dai Pink Floyd nella canzone The Happiest Days of Our Lives probabilmente ricorda a ciascuno di noi un suo collega che ha scavato nelle nostre debolezze emotive per scopi non certo educativi:

Well, when we grew up
and went to school,
There were certain teachers,
Who would hurt the children
in any way they could,
By pouring their derision,
Upon anything we did,
Exposing every weakness,
However carefully hidden by the kids.

Beh, quando crescemmo
e andammo a scuola
C’erano insegnanti che
Offendevano i ragazzi
in ogni modo possibile
Deridendoli per qualsiasi cosa facessimo
Esponendo al pubblico ogni debolezza
Per quanto attentamente nascosta
dai ragazzi

Nel mondo delle emozioni dei ragazzi e delle ragazze si deve invece entrare con il passo del cavallo, ovvero in modo obliquo e senza invasività; non come il professor Keating dell’Attimo fuggente, nonostante il fascino che questo personaggio purtroppo ancora esercita sugli educatori e sulle educatrici, nonostante la sua invasività e la sua grave responsabilità nel manipolare gli affetti dei giovani; del resto, le emozioni attraversano tutto il nostro vivere quotidiano ma non è detto che sempre siano al centro della nostra vita: è vero che c’è un’emozione o un groviglio di emozioni sotto ogni nostro gesto, ma il più delle volte è opportuno lasciare il groviglio lì dove si trova. Se acquisto una certa marca di formaggio perchè in qualche modo mi ricorda la figura paterna, posso continuare a vivere anche se questa dimensione affettiva rimane per sempre latente. Le emozioni devono essere risvegliate (o su di esse e con esse si deve lavorare) unicamente in presenza di un chiaro progetto pedagogico. La dimensione razionale eleva l’emozione al concetto e al ragionamento: certamente l’emozione continua a covare sotto la cenere della razionalità, ma molto spesso (per fortuna) il suo covare è silente e fisiologico e non necessita di alcun intervento terapeutico e nemmeno educativo.
Questo significa che può lavorare con le emozioni solo chi ne è capace: detto in altri termini, il lavoro educativo sulle emozioni richiede una competenza squisitamente pedagogica: e dunque non (solo) psicologica, non (solo) sociologica, non (solo – o forse non del tutto) analitica. L’educatore opera sulle emozioni da educatore, non da psicologo o terapeuta. E per noi questo significa che la pedagogia deve darsi una chiara identità epistemologica, deve chiarire qual è il suo specifico campo di azione; e comunque nel lavoro educativo quotidiano questo per noi significa che le emozioni richiedono molto tempo, come nella canzone di Ivano Fossati La costruzione di un amore

La costruzione di un amore
spezza le vene delle mani
mescola il sangue col sudore
se te ne rimane
La costruzione di un amore
non ripaga del dolore
è come un altare di sabbia
in riva al mare
La costruzione del mio amore
mi piace guardarla salire
come un grattacielo di cento piani
o come un girasole
e io ci metto l’esperienza
come su un albero di Natale
come un regalo ad una sposa
un qualcosa che sta lí e che non fa male
E ad ogni piano c’è un sorriso
per ogni inverno da passare
ad ogni piano un Paradiso da consumare
dietro una porta un po’ d’amore
per quando non ci sarà tempo
di fare l’amore
per quando vorrai buttare via
la mia sola fotografia.

Il lavoro educativo sulle emozioni richiede una serie di ancoraggi a una dimensione extraemotiva che sia razionale-argomentativa: se vuole trattare la mia paura, se vede che ho paura e vuole farne un oggetto di discorso [1] il mio educatore o la mia educatrice devono da un certo punto di vista mettersi «di traverso» rispetto alla paura e scartare l’approccio diretto alla mia paura presentando un ancoraggio concreto al progetto educativo; il che significa che il mio allenatore mi parlerà della paura di Lebron James o di Ronaldinho, il mio capo scout della paura di Messner, il mio professore di italiano della paura di Dante davanti a «Caron dimonio».
Spazi e tempi dell’educazione non sono mai neutri a livello affettivo ed emotivo: quanto gli spazi e i tempi del nostro oratorio vengono affettivizzati, e attraverso quali ritualizzazioni? E quante e quali relazioni interpersonali vengono maggiormente caricate a livello affettivo?
A scuola gli affetti devono essere in un certo senso canalizzati in direzione dell’apprendimento: non si ama la maestra come la mamma, e guai alla maestra che scoprisse di essere amata come la mamma! E come si ama il catechista, l’educatore, l’allenatore? Vi saranno allora manifestazioni di affetti che verranno sanzionate: occorrerà capire quanto, e come. Per quanto ci si sforzi di compiere una operazione illuministica, vi saranno comunque codici affettivi sotterranei all’interno della istituzione: è possibile analizzarli, in parte? E quanto è esteso l’universo dei tabù affettivi e quali dimensioni comporta?
Realizzare questa mappa delle emozioni dentro i servizi educativi è più importante che rincorrere sempre la vita emotiva dei ragazzi fuori da esse: ed è possibile a partire dalle domande di senso poste dai ragazzi stessi: quali sono gli spazi nei quali provo paura/vergogna/rabbia/gioia? Che cosa provo a livello profondo quando entro nello spogliatoio (e al mio posto nello spogliatoio), nelle docce, nel gabinetto, nell’atrio? Come posso amare o odiare l’educatore, i miei compagni, le altre figure che incontro? Quali sono le parole che non posso mai dire e che dunque cercherò di dire di nascosto? E le cose che non posso fare? E i sentimenti che non posso manifestare? Che cosa faccio se ho paura? Posso piangere? Posso ridere?
Partendo dall’analisi delle emozioni messe in campo qui e ora, sulla scena della formazione, è allora possibile lentamente, con cautela e con il passo del cavallo approcciare il mondo emotivo dei ragazzi; che per certi versi sarà possibile sottoporre a trattamento educativo, ma per certi altri, per fortuna sfuggirà sempre, tornando nelle brume dell’anima nella quale risiede, celato agli sguardi umani, come nella bella canzone di Bruce Springsteen Secret Garden:

She’ll let you in her house
If you come knockin’ late at night
She’ll let you in her mouth
If the words you say are right
If you pay the price
She’ll let you deep inside
But there’s a secret garden she hides

She’ll let you in her car
To go drivin’ ‘round
She’ll let you into the parts of herself
That’ll bring you down
She’ll let you in her heart
If you got a hammer and a vise
But into her secret garden,
don’t think twice

Ti lascerà entrare nella sua casa
se verrai a bussare a tarda notte
Ti lascerà entrare nella sua bocca
se le parole che dirai saranno giuste
Se pagherai il prezzo ti lascerà entrare molto a fondo
Ma c’è un giardino segreto che nasconde
Ti lascerà entrare nella sua auto
per andare a fare un giro
Ti lascerà entrare nelle parti di lei che ti deluderanno
Ti lascerà entrare nel suo cuore
se avrai un martello e una morsa
Ma nel suo giardino segreto,
non pensarci nemmeno.

NOTE

[1] Crediamo che in campo educativo siano i discorsi ad essere al centro dell’attenzione: l’educazione prende l’emozione e la innalza alla sfera del discorso, che è il vero campo dell’educazione e della pedagogia. Cfr Carmela Metelli di Lallo, Analisi del discorso pedagogico, La Nuova Italia, 1970; Franco Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, Clueb, 1975.

 

Scheda
FEELINGS
La mappa emotiva dell’educazione

È possibile chiedersi quali emozioni vivono i ragazzi e le ragazze dentro i nostri contesti e i nostri dispositivi educativi a partire dalla realizzazione della mappa emotiva della classe, della squadra di calcio, del gruppo di catechismo.
Una prima attività denominata «Feelings» può servire a far familiarizzare i ragazzi con la dimensione emotiva e soprattutto con la possibilità di esprimerla. Ogni ragazzo/a sceglie a caso (magari lanciando un dado) uno o più sentimenti tra quelli scritti su una nella tabella: Gioia, Allegria, Paura, Rabbia, Terrore, Orrore, Noia, Spavento, Speranza, Felicità, ecc.
Si chieda poi a ciascuno di
– associare all’emozione un volto, realizzando con una espressione del proprio viso o con del cartone la maschera della gioia, ecc.;
– associare all’emozione un colore e un segno grafico tracciandolo su un foglio;
– recitare l’espressione del sentimento scelto ambientandola in differenti contesti educativi e si confronti la propria recita con quelle degli altri.
Il gioco può anche essere utilmente abbinato a una narrazione intitolata «Quella volta che ho provato…» che porti a confrontare il sentimento espresso nella vita reale con quello recitato nei contesti educativi. Infine è possibile recitare l’espressione del sentimento da parte di un educando presente o passato.
Dopo questo riscaldamento, la mappa emotiva vera e propria della classe, del gruppo scout, dell’oratorio, ecc. prevede la realizzazione di una sorta di carta geografica degli spazi educativi che siano colorati a seconda delle emozioni che suscitano; a partire dall’associazione di un colore ad ogni emozione (il verde per la speranza, il rosso per la rabbia ecc.) di quale colore è il banco di scuola? E il gabinetto? E la tenda del campeggio? E la mia brandina nella tenda? E la brandina dell’amico con il quale ho appena litigato? Confrontando in gruppo le mappe colorate emerse da questa attività si ottiene una geografia collettiva delle emozioni che circolano nel gruppo di formazione, una mappa che potrebbe stupire prima di tutto gli stessi educatori.