Tutto il resto (dei giovani) /9
Manuela Agagliate
(NPG 2008-02-69)
È una domanda ricorrente e «normale» tra le generazioni più giovani, che ormai sta diventando un leit motiv anche per quelli un po’ più grandi. Esprime la libertà di inventarsi il proprio futuro, ma anche l’incertezza di stabilizzare la propria esistenza.
È caratteristica dei più giovani vivere alla giornata, sognare ad occhi aperti, aprirsi a continue sperimentazioni senza arrivare subito a scelte definitive. L’indagine «Tutto il resto» realizzata dalla GiOC conferma che, nella costruzione dell’identità, il consumo (come ci si veste, che cosa si acquista, come e dove si passa il tempo libero) ha un peso rilevante soprattutto nella fase adolescenziale dell’esistenza, anni delle contraddizioni, dell’incostanza, della trasgressione. In questa fase i giovani si identificano di volta in volta nelle esperienze che fanno, andando contro le convenzioni, sperimentando stili a volte anche molto diversi tra loro, nel tentativo di «fissare» con punti fermi alcuni tratti della propria identità in crescita e in cambiamento.
Successivamente, altri fattori incidono nella definizione della personalità di un giovane: man mano che si cresce i consumi diventano meno preponderanti, mentre il lavoro e altre esperienze diventano più significative. Se gli adolescenti sono più spensierati e incoscienti, al crescere dell’età i comportamenti e le aspettative si diversificano, diventano finalizzati ad un progetto. La sensazione tuttavia è che il virus della precarietà sia già entrato nelle esistenze dei più giovani e che ci troviamo di fronte ad una generazione di ragazzi che vola basso, che si accontenta, che non trova spazio per esprimere se stessa, liberare le potenzialità, avere fiducia in sé e nella possibilità di realizzarsi pienamente.
Nell’adolescenza tutte le opportunità sono (sembrano) aperte, la vita è spalancata davanti a sé. In realtà sappiamo che non è così: il capitale culturale della famiglia, la realtà geografica e economica in cui si nasce, le reti sociali in cui si è inseriti, fanno la differenza nelle opzioni e nei percorsi di vita. Crescere e realizzare una vita «buona» non è un percorso naturale, va orientato e accompagnato. I giovani hanno bisogno di adulti che indichino strade e diano regole (anche da contestare), che sostengano nelle scelte e propongano prospettive credibili.
Entrare nella vita adulta
Un problema nuovo si presenta invece per i più grandi, per la cosiddetta generazione dei «giovani adulti», i 25-30enni, caratterizzati da un rallentamento dei tempi di entrata nella vita adulta. Le tre tappe principali che sanciscono questo passaggio (conclusione del percorso formativo, inserimento lavorativo, uscita dalla famiglia d’origine) si presentano sempre più difficili, con uno slittamento complessivo dei corsi di vita. Tali giovani si trovano a metà tra il modello di vita respirato in casa dei genitori (costituito essenzialmente da un lavoro stabile che consentisse di accumulare una certa ricchezza da garantire una sicurezza economica ai figli e una vecchiaia serena) e strategie di sopravvivenza tutte da inventare e sperimentare per orientarsi e reggere nel nuovo contesto.
Essi sanno che verranno chiamati a cambiare più lavori nell’arco di una vita, che le relazioni affettive e famigliari saranno sottoposte a sollecitazioni che mettono in evidenza molte fragilità, che dovranno essere maggiormente disponibili ad essere flessibili e dinamici, ad inventare più volte la propria esistenza. Da una parte, quindi, bisogna che qualcuno sappia indicare loro e cogliere le opportunità di un contesto aperto, dinamico, che non «chiude» le prospettive in una vita tutta uguale e lineare, dall’altra occorre capire come sia possibile progettare serenamente un’esistenza in un contesto più mutevole e flessibile, dove stabilità e certezze sono provvisorie. In secondo luogo occorre porre le condizioni perchè vi siano reali e pari opportunità per tutti, anche per i giovani meno attrezzati (a livello culturale e professionale ma anche psicologico) per reggere nelle transizioni.
I giovani vivono effettivamente condizioni di oggettiva difficoltà: l’incremento delle assunzioni a termine con percorsi di stabilizzazione lavorativa lunghi e tortuosi, l’incertezza della stabilità del posto di lavoro anche per chi un lavoro ce l’ha, gli elevati costi per l’affitto o l’acquisto di un’abitazione che fanno sì che anche chi vorrebbe andare a vivere da solo non abbia i mezzi per farlo, la crescita delle disuguaglianze nei redditi e l’aumento di giovani che si stanno indebitando, anche solo col pagamento a rate o con la carta di credito.
In questa situazione la famiglia d’origine svolge un ruolo essenziale di ammortizzatore sociale, di contenimento dei conflitti, di re-distribuzione del reddito, di accompagnamento e facilitazione alla vita quotidiana. Essa è un comodo rifugio solo in parte per i «mammoni»: spesso è un luogo di sosta rispetto ad un contesto esterno che si caratterizza in senso negativo, in cui non si è continuamente messi alla prova e non si ha bisogno di ricercare continuamente la legittimazione.
Vivere la discontinuità
Altra esperienza quotidiana che vivono i giovani è la dimensione della discontinuità del corso della vita: instabilità e precarietà sembrano caratterizzare non solo il lavoro ma tutte le esperienze, le relazioni con gli altri, le appartenenze, i luoghi di costruzione dell’identità. Questa situazione ha delle conseguenze sulla percezione del proprio futuro e degli sforzi per realizzarlo. Come detto prima, i più giovani sono maggiormente propensi a godere del momento, cercando di divertirsi senza farsi troppi pensieri: la sensazione che sia inutile progettare con dovizia il proprio futuro è dovuta al fatto che si percepisce che i condizionamenti esterni sono tali e tanti da vanificare gli sforzi del singolo. Quando invece si procede verso la vita adulta (almeno anagraficamente) emergono altri bisogni e riflessioni. L’impressione è che l’atteggiamento nei confronti del proprio futuro tenda ad assumere una connotazione sempre più razionale nella misura in cui cresce l’età. La consapevolezza della necessità di programmare per tempo le proprie scelte e perseguirle con coerenza procede di pari passo con la maturazione della persona e mano a mano che ci si confronta con scelte importanti, quali la creazione di una propria famiglia, la nascita di un figlio o la possibilità di cogliere nuove opportunità professionali. Tuttavia crescono anche le paure, ad esempio la preoccupazione di non poter disporre di quanto necessario per sostenere se stessi e la famiglia, di non poter acquistare una casa o non garantire ai figli un’istruzione adeguata e il pragmatismo diventa talvolta disincanto, che si traduce nel voler compiere scelte molto meditate e ponderate.
L’ampio ventaglio di possibilità che si apre ai giovani, così come la sensazione che dovranno ricominciare più volte daccapo, ha inevitabilmente delle conseguenze: produce l’affermazione di identità deboli e plurali e rende difficili scelte definitive e a lungo termine, inducendo i giovani a investire le proprie risorse per raggiungere le condizioni minime di dignità e stabilità solamente nel breve termine. L’incertezza può creare una condizione di scoraggiamento rispetto a tutte le dimensioni della vita, insinua l’esigenza di rimanere con i piedi ben poggiati per terra e mantenersi radicati nel presente, con un po’ di paura a sognare, ad aspirare ad altro.
Tuttavia, nonostante le paure e lo scetticismo, i giovani non rinunciano ai progetti di lungo periodo e aspirano ad una vita «normale». Essi sono consapevoli che il futuro sta nelle loro mani e nella loro capacità di osare e di lavorare sodo: la questione è se riusciranno a tradurre le aspettative in progetti e azioni positive o se si ripiegheranno nell’attesa, nel breve termine o, peggio, nella fortuna e nel caso.
Le sfide più attuali
Le sfide relative all’accesso al lavoro, al significato dell’istruzione e della cultura, all’accesso alla casa e al credito sono sfide sociali e politiche alle quali non ci si può sottrarre, per fare della giovinezza un’esperienza piena e felice e sbloccare il passaggio dei giovani alla vita adulta.
In tal senso, forte è il richiamo a politiche sociali e del lavoro lungimiranti, che invece scontano e riflettono una scarsa attenzione: questa è una società che non ama i giovani, non li vede abbastanza come risorsa. Le politiche sociali, anch’esse improntate sul breve termine, sono cartina al tornasole della dimenticanza e della trascuratezza subite da parte degli adulti e della classe dirigente.