La solitudine nei giovani e l’importanza delle reti relazionali

Emanuela Converso

(NPG 2008-01-68)


La solitudine dei giovani

Mi chiamo Giada, ho 20 anni, vivo a Rossano (CS), purtroppo, con mia madre, mia sorella e mio fratello.
Ho iniziato a lavorare quando avevo 11 anni, fino a 18 anni ho fatto la badante ad una signora anziana per aiutare la mia famiglia, poi dai 18 fino ad adesso ho lavorato in un’azienda agricola. Questi lavori, però, non sono stati uno spazio in cui ho imparato delle cose sui soldi o sui consumi.
Faccio fatica a risparmiare perché anche se compro cose che costano meno, poi spendo molti soldi per il telefonino. So anche però che se guadagnassi di più, spenderei sempre di più.
La mia famiglia non mi dice come spendere i soldi, mi lasciano libera di gestirli. Però non mi piace che diano soldi ai miei fratelli che li usano in modo sbagliato, e a me no.

Storie di vita come quelle di Giada ci portano a pensare ai numerosi volti dei tanti giovani incontrati negli anni, e con i quali si è condiviso un pezzo di strada insieme.
Sono anche questi, i giovani conosciuti e ascoltati attraverso l’inchiesta nazionale della GiOC «Tutto il resto», un’inchiesta che ci permette di partire dalle nostre esperienze quotidiane, per porre al centro delle riflessioni le diverse condizioni di vita dei giovani, in particolare del mondo del lavoro, le fatiche quotidiane, i sogni, le delusioni, le speranze: scoprire tutto il resto che c’è, attraverso la lente dei consumi.
Pensando a Giada e ai tanti giovani come lei, la prima immagine che emerge è quella di un giovane solo, con pochi luoghi di incontro, di elaborazione e di crescita, sia sul posto di lavoro che in famiglia. Fa pensare molto, infatti, come un buon 88% dei giovani intervistati trascorra il tempo libero guardando la TV.
Un altro dato interessante riguarda l’educazione al risparmio. Dall’inchiesta emerge che i giovani sono orientati in questa direzione – infatti solo l’11% in totale non risparmia – ma sarebbe importante riflettere su chi oggi accompagna i giovani in questo e non solo al risparmio, ma chi educa soprattutto ad un consumo critico.
Ciò che risulta prioritario è capire quali sono i luoghi in cui, oggi, i giovani possano maturare le proprie idee, conoscere e scegliere gli strumenti adatti da utilizzare per porre le basi al proprio progetto di vita. La frammentazione e la solitudine dei giovani lavoratori, infatti, possono portare a credere che tutto ciò che si vive capiti solo a loro o che sia la normalità; ad accettare con disincanto, passività e rassegnazione la realtà, senza grandi alternative. Così facendo, senza un’elaborazione comune e costruttiva, i giovani rischiano di accettare qualunque compromesso pur di lavorare, come il lavoro nero o l’emigrazione verso altri paesi; credere che l’unica alternativa sia farsi giustizia da sé; trovare soluzioni personalizzate a problemi che in realtà riguardano molti.

La famiglia al primo posto

Dall’indagine, ancora, emerge che il luogo educativo per eccellenza è la famiglia dove, peraltro, si viene introdotti ed educati all’uso del denaro. Infatti un buon 91% si rivolge alla famiglia nel momento di bisogno, a fronte di un 0,2% che si rivolge alle Parrocchie e ai servizi per il Comune, e un 0,4% ai gruppi e associazioni.
Le generazioni attuali sono molto dipendenti economicamente dalla famiglia: vige la tendenza a non calibrare le uscite perché alle spalle ci sono i genitori. Soprattutto da studenti si fatica ad attribuire un valore al denaro e sembra affermarsi la logica del «tutto è dovuto».
Aver posto la domanda in termini un po’ estremi (bisogno economico, di soldi) ha portato ad evidenziare ancora di più quali sono i veri legami delle persone: al centro la famiglia e i parenti, più distanti gli amici, praticamente assenti tutti gli altri soggetti. Emerge un quadro di relazioni ristrette, e l’assenza totale di attori sociali (stato, politiche pubbliche, comune) presenti sul territorio.
Pensando ancora alla famiglia, luogo educativo privilegiato, non sempre però essa rappresenta un esempio positivo, rischiando spesso di sbilanciarsi sull’educazione al risparmio, piuttosto che al consumo critico, o in altre situazioni ancora, come quella di Giada, essere totalmente assente. Allora, come offrire percorsi educativi e strumenti formativi a tutti, in particolare a chi non ha la fortuna di farne esperienza?
Queste riflessioni ci portano a dire che c’è bisogno di luoghi sempre più qualificati, perché non tutti sono positivi, per definizione: la differenza sta nelle persone che vi si incontrano e nel modello che trasmettono. Tale situazione mette in luce il ruolo delle associazioni, che lavorano e operano con i giovani: è importante, infatti, tenere alta l’attenzione affinché i luoghi educativi siano occasioni di crescita e confronto tra le diverse generazioni su queste tematiche.

La comunità come luogo di rete e responsabilità

Oggi è importante creare reti relazionali per permettere ai giovani di sentirsi parte di un progetto comune, di non vivere in solitudine le scelte da fare, di poter usufruire degli strumenti adatti per porsi in modo critico di fronte agli avvenimenti e leggervi dentro la propria vocazione.
Le agenzie educative, le associazioni da sole non bastano. Spesso le informazioni esistenti (bandi di gara, microcredito, incentivi per l’imprenditoria giovanile) non raggiungono tutti i giovani, manca infatti una informazione-formazione adeguata, per permettere a chi non ha l’opportunità di incrociare queste realtà, di non rimanere sempre più isolato e sempre più lontano da qualsiasi proposta non solo educativa, ma anche di evangelizzazione. C’è bisogno, allora, di creare reti sul territorio, tra le realtà che operano attivamente nel contesto e porsi in un’ottica di progettazione comune, per sentirsi parte di una comunità solidale, e per vivere da protagonisti il proprio futuro.
Una realtà particolarmente significativa, presente e operante nel Sud Italia, da più di 10 anni, è l’esperienza del «Progetto Policoro»: un progetto della Chiesa Italiana che tenta una risposta al problema della disoccupazione giovanile e dei cattivi lavori al Sud. Esso, promosso dalla Pastorale Sociale e del Lavoro, dalla Pastorale Giovanile e dalla Caritas Nazionale, che prende il nome dalla città – Policoro (MT) – in cui si tenne il primo incontro nel 1995, dopo il Convegno ecclesiale di Palermo, si pone gli obiettivi di offrire percorsi formativi e di evangelizzazione ai giovani lavoratori e disoccupati, creando una nuova cultura del lavoro al Sud, attraverso l’Imprenditoria giovanile e la Cooperazione.
Il Progetto si sviluppa attraverso: la Filiera dell’Evangelizzazione (insieme di associazioni presenti sul territorio) volta ad accompagnare i giovani nel cammino della Fede per incarnarla nella vita; la Filiera della Formazione (insieme di organizzazioni – consorzi di cooperative…) volta ad orientare e formare il giovane nel mondo del lavoro; i Gesti Concreti che rappresentano tutte le idee imprenditoriali dei giovani realizzate attraverso il Progetto Policoro; i rapporti di reciprocità che consentono al giovane del Sud il confronto e la condivisione del proprio cammino con le realtà imprenditoriali del Nord, per un reciproco arricchimento.
Questo progetto rappresenta un prezioso cammino, caratterizzato da un forte lavoro di rete e di collaborazione, dove la persona, il giovane, viene messo al centro di ogni riflessione e proposta.
Il problema dell’educazione passa principalmente dentro la dimensione comunitaria, intesa come rapporto di condivisione, progettazione comune tra i diversi attori sociali. Pensare di poter educare al di fuori di questa non avrebbe alcun senso, proprio perché la relazione comunitaria rappresenta il 90% delle reti sociali.
Senza comunità difficilmente si potrebbe costruire una rete di solidarietà. Si costruirebbero reti di consumo, si potrebbe fungere da intermediari economici; ma per la solidarietà, per l’accoglienza, per la dimensione del cambiamento e della responsabilità degli altri, la rete comunitaria è fondamentale: senza questa si metterebbero in piedi delle reti commerciali, sicuramente efficientissime, ma con una finalità ben diversa e lontana da quella posta prima.
Tutti abbiamo la responsabilità personale di fronte alla realtà, ma esiste anche un’altra responsabilità, che è quella sociale, di integrazione, che necessita di un supporto e di un contesto tale da permettere alle persone, in particolare a quelle più sole e più deboli, di essere accompagnate e sostenute, per non rimanere tagliate fuori.
Oggi la comunità può vivere solo se vive in una dimensione di rete, di incroci, di esperienze che s’incontrano. Un progetto educativo, attraverso le reti relazionali, deve farsi carico della persona, offrire elementi e strumenti a tutti per affrontare le situazione, avere la possibilità di riscattarsi socialmente e culturalmente.
Il progetto educativo, però, va costruito attraverso la responsabilità di tutti, sulla base dei bisogni, dei luoghi in cui si opera, attraverso spazi di riflessione che partano da una inculturazione. «Nessuno libera nessuno» – diceva il pedagogista brasiliano Paulo Freire – proprio per dire che non esiste nessuno che abbia in mano la risposta esatta, che venga da fuori a liberare ed educare l’altro come un eroe, ma al mondo si ci si libera insieme, insieme si traccia la strada da percorrere, nella libertà, nel rispetto e nel sostegno reciproco.
Oggi più di ieri c’è bisogno di creare spazi di confronto, di elaborazione sempre più condivise, sempre più comuni, per offrire a tutti, a partire da chi fa più fatica e da chi è più lontano, la possibilità di scoprire la propria dignità di uomo-donna lavoratore, studente.
«Le nuove generazioni hanno in mano la possibilità di percorrere strade inedite e inesplorate, se trovano chi sa indicare loro il senso pieno dell’affetto e dell’amore nell’uscire da sé, nel farsi dono, nella gratuità» (D. Mario Operti).