Giuseppe Morante
(NPG 2008-01-4)
Anzitutto, perché questo dossier? Una prima giustificazione nasce dal constatare la crisi di identità cristiana. Se oggi è in crisi l’identità della fede per molti cristiani adulti e tanti ragazzi e giovani, lo è anche perché è in crisi la stessa identità umana con la sua trama molteplice delle relazioni intra-personali ed inter-personali. Appare da diverse ricerche che i giovani di questa cultura frammentata e legata al momento presente si accontentano di vivere alla giornata, sotto la spinta delle emozioni forti, senza progettualità e senza profondità di relazioni umane significative.
Sembra perciò che uno degli aspetti della pastorale giovanile è quello di educare a formarsi e vivere delle buone relazioni, come prima base di una metodologia educativa d’intervento appropriata all’età. Infatti, adolescenti e giovani non sono ancora adulti con una struttura di personalità definita, perché in essi è ancora in atto il processo della crescita evolutiva; tale sviluppo dovrebbe configurarsi come un itinerario che abbia distinti (ma non separati) i caratteri biologici, psicologici e sociali; sono queste dimensioni dell’io che possono portare alla formazione e al consolidamento dell’identità personale, la cui fondamentale caratteristica è appunto la maturazione delle relazioni interpersonali.
Va messo in bilancio, in un itinerario educativo, che queste trasformazioni della personalità adolescenziale si sviluppano in un lasso di tempo abbastanza breve, ma possono determinare una reazione critica che risulta evidente, non solo nei normali cambiamenti somatici, ma anche in quelli, repentini, nel versante psicologico. Ciò comporta che le variabili somatiche e psicologiche devono essere comprese in un unico e generale quadro di riferimento, per un intervento che per sua natura è sempre di tipo pedagogico, che ne interpreta e ne orienta i significati.
Di conseguenza, la seconda giustificazione è più specificamente «educativa»: le variabili tipiche del processo di maturazione si sovrappongono a quelle di un disturbo dei loro comportamenti, che si manifesta con una certa disfunzionalità relazionale. Tuttavia, sia per limitare al massimo l’inevitabile direttività degli interventi degli educatori, sia per poter conoscere al meglio la persona alla quale si applicano, e sia per poter superare le resistenze al cambiamento, è necessario accompagnare l’intervento educativo con l’uso di adeguati accostamenti (teologici e psicologici), facendo sì che la guida all’itinerario non sia disgiunta da una comprensione dei problemi umani sottesi, orientandoli nella direzione dovuta, coinvolgendo sia le funzioni razionali che l’ampia gamma delle emozioni.
Si dovrà prestare, perciò, particolare attenzione agli elementi interattivi tra il razionale e l’emotivo, le cui variabili relazionali rappresentano un fattore centrale per il cuore del problema, e conseguentemente per favorire dei cambiamenti di rotta.
LA TRAMA DELLE RELAZIONI UMANE
Una delle caratteristiche antropologiche costituive dell’uomo viene rivelata nella descrizione di quelle fondamentali relazioni umane che rispondono a queste domande: dove vive l’uomo e quale rapporto ha con il mondo? Con chi vive l’uomo e quale relazione lo lega agli altri?
L’immagine relazionale è disegnata dalla gamma di quei rapporti in cui vengono posti in evidenza il peso dell’ambiente e il significato della presenza degli altri. L’uomo appare come un essere-in-relazione, l’essere del rapporto interpersonale. Lo strumento indispensabile di questo rapporto, insieme con il linguaggio e il cuore, è il corpo.
Le relazioni fondamentali sono descritte (nel testo biblico della creazione) con l’analogia dei significati di immagine di Dio, dominatore del creato, uomo-donna, fratelli-amici-nemici, padroni-servi, saggi-stolti, discepoli-maestri, singolo-comunità.
L’uomo, per realizzare la sua storia umana e la sua identità personale, è chiamato a vivere nel mondo, ad amare il prossimo, a dominare il creato, ad accettare la sua dipendenza da Dio.
Se l’uomo è «relativo» a queste coordinate, non può essere un «assoluto» per se stesso. Per cui, i tre poli della relazione da educare nella vita sono riferiti a Dio, all’altro (uomo/donna), al mondo esterno.
Nei riguardi di Dio, l’uomo è in relazione di dipendenza filiale. Il cristiano sa che, creato a immagine di Dio, è salvato (col battesimo) come figlio di Dio. La sua consistenza si esercita nel mantenersi continuamente faccia a faccia con Lui, nel riprodurne in sé l’effigie mediante un agire libero e religiosamente orientato al raggiungimento del suo fine ultimo (che è trascendente ed in cui è riposta la sua piena realizzazione). Ogni uomo o donna che nasce nel mondo, anche senza saperlo, è alla continua ricerca di felicità (e quindi di Dio), per realizzare una umanità più piena.
La relazione tra il modello (Dio) e l’immagine (uomo) è costitutiva del suo essere. Se tale relazione è interrotta in profondità, anche le altre due relazioni (con gli altri e col mondo) sono falsate e non gli permettono di raggiungere il suo fine ultimo.
Di fronte al proprio simile (uomo/ donna), si stabilisce una relazione di uguaglianza e di solidarietà, fondata sul rispetto e sulla complementarietà. La bibbia insegna che l’unica creatura che l’uomo non deve mai dominare, cercando di asservirla a sé, è il proprio simile...
Di fronte al mondo l’uomo ha una posizione di dominio. Egli è chiamato a esplorare e a umanizzare la terra. Egli può servirsene per crescere e per far sviluppare sempre più le risorse naturali, ma non per stravolgere il sistema creato, nella sua struttura ecologica.
Alla luce di questi principi si possono fare alcuni confronti con la sensibilità d’oggi:
- il messaggio biblico sull’uomo immagine-di-Dio trova conferma nella sensibilità attuale che afferma il valore oggettivo (almeno in teoria) della dignità umana personale (singoli) e comunitaria (popoli). Come, ad esempio, nella conquista dei diritti civili per tutti, maschi e femmine...;
- la teologia conferma che l’agire morale deve confrontarsi e conformarsi a tale dignità: è moralmente buono per l’uomo ciò che corrisponde al rispetto della dignità umana; è moralmente cattivo ciò che non la rispetta;
- la storia insegna che, quando non si riconosce l’uomo come immagine di Dio, si può perpretare ogni sorta di dominio che porta a schiacciare il proprio simile. Questo avviene perché ha perso di vista che il proprio simile è anch’egli immagine di Dio, anche se non lo sa. La dipendenza da Dio garantisce l’uguaglianza tra gli esseri umani, pur nella diversità di genere e di ruoli; e porta a riconoscere e a rispettare i diritti di tutti, senza differenze: il carattere di umanità appartiene a tutti, le differenze personali possono essere liberamente riconosciute come specifiche;
- quando l’uomo crede che il mondo è una sua conquista (e non dono di Dio), può essere facilmente portato a due eccessi letali: o lo sfrutterà indiscriminatamente fino a morire di autodistruzione (cf «la battaglia ecologica attuale»); oppure cadrà schiavo delle opere delle sue stesse mani. Adorando l’idolo della tecnica e della scienza, l’uomo divinizzerà la natura, rimanendone a sua volta assoggettato e non dominatore (come si evidenzia nella cultura tecnologica e scientifica attuale).
Si può quindi affermare che da questi confronti con la cultura moderna l’uomo biblico non solo non ha nulla da perdere, ma offre molto di più. Ne esce ancora una volta esaltato e se ne possono trarre alcune riflessioni, dense di riferimenti pedagogici.
«UNITÀ» E «POLIEDRICITÀ» DELL’UOMO
L’uomo biblico è un essere unitario per origine e costituzione, tuttavia è chiamato costantemente a costruire questa sua unità (personale e comunitaria), attraverso una concreta esperienza storica fatta di gesti, di rapporti, di scelte.
Cioè, l’uomo non nasce integralmente «uno» (per effetto del peccato di origine), ma deve tendere a diventarlo. Moralmente è chiamato a fare l’opzione fondamentale in ordine a questa unità e a fare tante scelte particolari tra di loro coerenti. La bibbia insegna che la fedeltà è il costitutivo dell’alleanza (= relazione di filiazione, amicizia, fraternità...).
La personalità matura richiede l’esigenza nella persona di un centro unificatore, semplificatore e integratore: l’io è olistico. Dare coscienza a questa unità (integrando nella formazione della coscienza personale le facoltà spirituali e corporee, come ad esempio la razionalità e le emozioni) costituisce un problema pedagogico di primaria importanza, se non si vuole che si formi un uomo disperso, disintegrato. Pericolo questo sempre latente anche nell’esperienza educativa!
A titolo di conferma di questa esigenza ci si può confrontare con la bibbia che offre dei nuclei d’integrazione dell’unità interiore dell’io (Mt 5, 2.8; 6, 19-24; Gv 17, 20-21), la potenza unificante dell’Io-Sono (Es 3, 1-15; 6, 2-8), e il valore liberante dell’anti-idolatria.
La capacità umana di accogliere Dio (= entrare in relazione con Lui)
L’uomo appare, tra gli esseri creati, l’unico capace di accogliere Dio. La rivelazione conferma che Dio ha colmato per suo dono questo desiderio, comunicando il suo piano, che viene indicato dal magistero ecclesiale con questa espressione, che sa di bisogno di relazione: «Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, manifestare il mistero della sua volontà... parlando agli uomini come ad amici» (DV n. 2).
Tale comunicazione relazionale si realizzerà nella visione dell’alleanza. In attesa della pienezza di vita, l’uomo appare come colui che è interamente riferito a Dio, fonte della vita, e che si costruisce in questo costante riferimento al «Tu» divino.
Egli è perciò interlocutore di Dio, suo partner, in quanto chiamato da lui. È fissata in questi termini la duplice dimensione di dipendenza da Dio (= da lui chiamato) e di relazione personale (= partner) con Dio, perché sua immagine.
L’affermazione di queste verità deve portare l’educatore a purificare da eventuali pseudo-immagini la riflessione su Dio e sull’uomo. L’episodio dell’incontro di Mosè con Jahvé è emblematico al riguardo.
I concetti come persona, come padre, riferiti a Dio, hanno bisogno di una particolare interpretazione. Oggi si parla di società senza padre perché è in crisi l’autorità... Il personalismo come filosofia dell’uomo sembra andare in crisi di fronte ai problemi dell’esistenza, che sono del resto più consoni al linguaggio biblico.
La Sacra Scrittura rivela simultaneamente l’assoluta trascendenza di Dio rispetto all’uomo e al mondo. Il parlare di Dio, in maniera adeguata, suppone evitare il rischio di farne un oggetto accanto ad altri. È necessario recuperare il senso autentico dell’Altro, come assoluto. Per cui l’uomo non si comprende nella sua vera identità se non in rapporto a Dio. Ma Dio e l’uomo sono i due misteri che si rimandano a vicenda. Sembra necessaria una via dal basso per mettere significativamente davanti a questa verità. La ricerca religiosa sembra perciò la via più consona.
Una riflessione fatta in profondità porta ad avvertire come la rottura del rapporto con Dio implichi necessariamente la comunione infranta con gli altri e con il cosmo. Al contrario la difesa della relazione con Dio favorisca le altre relazioni dell’uomo.
La libertà umana
La libertà, che è caratteristica inalienabile dell’uomo, appare originaria (per volontà di Dio l’uomo ne è dotato fin dal principio), perciò nativa e deve diventare cosciente col cammino verso la maturità; ma nello stesso tempo essa appare limitata e condizionata. Ognuno può essere vero creatore di storia, ma non dispone di tutta la storia né di se stesso in modo assoluto.
Nella bibbia le due dimensioni della libertà emergono:
- la prima, dal fatto che Dio consegna all’uomo il cosmo e la legge dell’alleanza, perché sappia autogestirsi, per cogliersi vero responsabile, non semplice esecutore del progetto della creazione messo nelle sue mani;
- la seconda, dal fatto che l’uomo ha di fronte la legge stessa, il modello originario da cui proviene, la stessa creaturalità del mondo (che appare limitato nella sua finitudine).
Sganciarsi da questa legge è stata la tentazione umana di sempre, fin dalle origini: si pensi (nella cultura greca) alla rivolta mitologica di Prometeo contro Giove; e (nella cultura moderna) all’aspirazione a riporre la sicurezza in qualcosa di proprio, a padroneggiare tutto con la chiave della scienza, a considerare l’uomo come campo di scontro tra istinti e forze diverse, a radicalizzare la libertà del singolo come assoluta indipendenza da ogni legame...
La riscoperta di questa antropologia più autentica può facilitare la comprensione del problema della libertà facendone scoprire, nel confronto con i diversi progetti-uomo, i suoi due aspetti complementari:
- la relazione interpersonale. L’uomo è essenzialmente destinato alla intercomunicazione in un rapporto interpersonale. Il progetto biblico su questo punto è chiarissimo: l’uomo è per gli altri, si realizza con gli altri. Dal che si deduce che esiste un rapporto inscindibile tra persona e comunità e sue mediazioni: famiglia, gruppo, associazioni, popolo, chiesa... Creare comunità vive, vere amicizie è la conseguenza di questo principio; perché è soprattutto nell’incontro autentico con gli altri (con il tu dell’amico, del fidanzato, del coniuge, del genitore, con il noi delle comunità ecclesiali e sociali) che può scaturire una esperienza del Tu di Dio, e una chiarificazione dell’io, liberato dalle dipendenze nevrotiche e angosciose;
- la sua storicità e trascendenza. L’uomo è aperto al futuro assoluto di Dio, verso cui è incamminato, mediante la progettazione della propria vita all’interno della storia e delle realtà del mondo. Nel suo cammino l’uomo incontra il Padre di Gesù e Gesù stesso come compagno di viaggio (Emmanuele); insieme tale incontro costituisce, oltre che cammino di salvezza personale nella storia, anche un invito a collaborare responsabilmente alla costruzione della città terrena. Da questo profilo l’uomo progetta il futuro e insieme lo aspetta come dono (= il Regno) nella speranza. La vita richiede perciò un impegno storico nel mondo, senza evasioni e fughe dalla realtà, con lo sguardo al futuro sbocco delle verità ultime, che si verificheranno alla fine della storia.
L’EQUILIBRIO DELL’IO NEL RAPPORTO «MENTE-CUORE-CORPO»
La persona, per stare bene con gli altri e stabilire relazioni efficaci, deve imparare a stare bene con se stessa ed entrare nell’ottica del progetto di Dio sopra esplicitato. Deve perciò stabilire relazioni intrapersonali e interpersonali costruttive come una necessità.
Entrare nel tema specifico delle relazioni significa prima di tutto mettere in luce il modo di manifestarsi di ognuno nel rapporto con gli altri. Le relazioni costituiscono infatti una sua specifica espressione centrale che afferma contemporaneamente ciò che la persona è in se stessa nella sua identità; e come essa funziona dentro e fuori di sé.
Promuovere la qualità delle relazioni tra persone è favorire la qualità della comunione fraterna che si traduce attraverso queste e in queste. È nelle relazioni infatti che si manifesta il cuore di ogni persona.
Ogni persona è costitutivamente una realtà di relazioni. Realizzare nella vita una comunicazione adeguata e costruttiva fa parte delle necessità di un gruppo giovanile, di una comunità viva. Infatti queste relazioni non sono qualcosa di facoltativo, di aggiunto, di esterno all’essere persona, ma qualcosa di molto centrale, di necessario, di indispensabile all’integrità della persona.
Essere una comunità viva comporta come frutto uno scambio reciproco dei doni di ciascuno, quali la stima reciproca, le abilità e le competenze nei vari settori, l’aiuto nel lavoro, l’educazione ai valori in cui si crede, la condivisione della comune missione. Questo in vista della comune crescita.
Una comunicazione adeguata dei beni tra persone segnala una situazione di buona salute, umana e spirituale di un gruppo, di una comunità.
Manifesta esteriormente un indicatore che consente l’attuazione della missione comune, la crescita reciproca e il travaso dei doni da una zona all’altra della stessa persona, da un’età all’altra, da una persona all’altra. Consente cioè una vita di comunità più feconda e viva.
Il perché è presto detto: ogni relazione è costituita da un flusso di energie psichiche (desideri, sensazioni, affetti, immagini, bisogni, impulsi, idee, concetti, motivazioni...), di una corrente energetica che va dall’interessato ai destinatari, e viceversa.
Essa è costituita da tre componenti, come un cavo coassiale a tre elementi interagenti:
- la componente intellettiva, la «mente» (= intus leggere): ciò che di se stesso uno capisce in profondità, formulato in termini di idea, concetto, giudizio, parere, rappresentazioni, immagini...;
- la componente affettiva, il «cuore» (= rapporti interpersonali): cioè i desideri, gli affetti, le emozioni, i sentimenti, gli stati umorali, le attrattive, le repulsioni che si provano nei confronti dell’altro;
- la componente operativa, il «corpo» (= l’esperienza storicizzata): cioè la volontà, la capacità di tradurre in atti concreti ciò che si desidera e si capisce, si intuisce come un bene da acquisire o un male da evitare per sé e per gli altri.
In fondo, ogni persona, più o meno coscientemente, aspira a esistere come è (doni e limiti, aspirazioni e bisogni); se questa aspirazione viene frustrata, sorgono seri problemi relazionali, perché viene a mancare la collaborazione leale per uno scopo comune e la condivisione effettiva di un bene, di una missione.
Questa comunione è frutto di una serie di operazioni attuate dalle relazioni che ogni persona va stabilendo nella comunità di cui fa parte. Queste possono essere relazioni occasionali o permanenti, impegnative o di distensione, prevalentemente costruttive o non.
Le relazioni costruttive sono richieste da un doppio versante (che verifica la relazione dal senso stesso della vita, cioè realizzare la fraternità, segno e anticipo della felicità):
- il versante personale: ogni persona normalmente aspira a espandersi attraverso le varie relazioni. Tende a svilupparsi e a stabilire rapporti adeguati alla sua realtà così da realizzare la sua identità e missione. Tuttavia essa porta dentro anche freni e intoppi che rallentano tale espansione, talora la possono pure depistare;
- il versante della comunità: ogni comunità è frutto sia dei valori su cui si fonda, del carisma proprio, sia dell’interazione che si viene stabilendo tra i vari componenti. Le relazioni costruttive sono a un tempo sia l’espressione della qualità della comunità sia il suo alimento.
La facilità nella relazione verso se stessi e verso gli altri è una delle note caratteristiche dell’adulto aperto, perché svolgono una funzione vitale. Tra le varie relazioni che una persona è chiamata a vivere, ce ne sono alcune che sono costitutive e strutturanti la sua identità e missione, pena un impoverimento incisivo di sé. Lo schema che segue, nei sei nuclei tematici, delinea una buona panoramica delle «relazioni costituive della persona»:
- con il corpo. Avere la coscienza del proprio corpo significa conoscere attitudini, capacità, doti personali, tratti personali più emergenti e caratteristici; l’educazione deve portare ad acquisirne la conoscenza e a svilupparne le abilità e competenze in base all’età, all’autonomia e alla libertà interiore nel prendere posizione nei confonti della vita...;
- con gli altri/le altre. Il rapporto va considerato alla pari come collaborazione e amicizia; con l’autorità e come autorità nel rispetto dei ruoli diversi ma della dignità comune come persona; di età e di ruolo diverso, di sesso diverso, in comunità e in famiglia;
- con la natura. Sono le cose, il cosmo, gli animali che impattano la persona. L’equilibrio e il rispetto della gerachia di valori e delle conseguenze degli atteggiamenti nelle scelte della vita vanno messe in un ordine di importanza di valori da rispettare;
- con la professione. Costituisce il rispetto delle persone e dello specifico dell’ambiente in cui ciascuno è chiamato a realizzare il suo impegno, per collaborare (cioè mettere insieme le forze e le energie) alla costruzione di un mondo più umano;
- con Dio e i valori significativi. Si tratta di tutto ciò che va oltre le apparenze e si riflette in una visione trascendente della vita, senza la cui visione l’uomo può essere strumentalizzato e deprezzato in tante forme diverse (cf le varie forme di schiavitù attuale perpetrate specie sui bambini e i deboli);
- con la propria vocazione e missione. Ogni uomo o donna deve vivere nel mondo una presenza, con l’impegno specifico che va individuato, assecondato e realizzato, in una vocazione umana, personalmente identificata e realizzata.