Gianni Gallo
(NPG 2007-01-77)
Il 2006 è stato un anno eccezionale per lo sport italiano: iniziato con le Olimpiadi invernali di Torino e con grandi risultati azzurri, ha visto la vittoria della nazionale ai mondiali di calcio e altri bellissimi risultati nel nuoto e addirittura nella ginnastica artistica!
Ma è anche l’anno di calciopoli, avventura triste e vergognosa che ha messo in crisi una delle realtà più care a molti italiani: il calcio.
A questo proposito scriveva Emanuela Audisio, scrittrice e giornalista di Repubblica:
«Il calcio è tutto inquinato? Lo sport è marcio? Vale la pena credere ancora a un sogno? È bello giocare, se ci sono regole uguali per tutti. Altrimenti non è più un gioco, ma una truffa. Lo sport deve garantire una stessa linea di partenza, se non lo fa non è più sport, ma prevaricazione. La forza di un sogno è dato dalla sua pulizia, dalla sua onesta capacità di aggregazione, dal fatto che è credibile nella più lontana capanna africana come nel vicino palazzo di Roma. Lo sport dà a ognuno secondo i suoi meriti, chi bara viene cancellato, non promosso. Questa stagione calcistica ha dimostrato che non è così, che lo sport è stato traviato e falsificato. Società, arbitri, designatori, presidenti, guardialinee, dirigenti. Vinceva chi corrompeva, non chi giocava meglio. Il vero gioco non era rischiare di perdere, ma fare di tutto per garantirsi la vittoria. Ha colpito soprattutto il senso di impunità, la volgarità con la quale molto personaggi parlavano del calcio, come se fosse roba loro, e non proprietà di tutti. Adesso ci si chiede: è giusto credere ancora nel pallone? Dedicargli una vita? È morale tifare ancora per l’Italia, mantenere sul piedistallo calciatori che continuano a fare finta di niente, preoccupati solo della loro immagine personale?
Possibile che nessuno trovi il coraggio di chiedere scusa a nome della categoria? E che nessuno si renda conto che tanti ragazzi e ragazze cominciano a tirare calci su un prato per il gusto di stare insieme e di competere, senza avere il gol garantito? Una volta si diceva: voglio giocare come Platini. Adesso invece si dichiara: voglio guadagnare come Del Piero. In queste due frasi c’è tutta la differenza di un’epoca, la nuova dimensione dello sport, fatta anche di materialismo.
Questo però non significa che la spinta a fare sport sia irrimediabilmente inquinata. Anzi bisogna approfittare di questo momento per tornare a volare con ali forti. Capita che gli uomini e le cose si rovinino, per avidità e potere. Gli esempi negativi servono a rafforzare la nostra fede in un’etica diversa. Rubare è brutto. Si può vivere senza farlo. Pazienza se non si diventerà ricchi. L’onestà è un ottima compagna di vita, non ci fa mai vergognare di noi stessi. Non bisogna prendere come paragone le miserie degli altri per giustificare le proprie debolezze. Si può sbagliare un gol, e avere lo stesso l’abbraccio dei compagni. Ma non si può inciampare sull’etica, e volere l’approvazione degli altri. Quindi non bisogna abbattersi: via, fuori dal gioco, chi bara, e dentro gli onesti, chi ci mette la passione. Lo sport è anche questo: scegliere con chi giocare» (Juvenilia n. 4 – 2006).
Per questo crediamo che valga la pena entrare nello sport, confrontarsi con questo mondo, prenderlo sul serio. Per questo ha senso una rubrica dal titolo «Pastorale e sport». Per questo la Chiesa non può non rapportarsi con lo sport. La nota Sport e vita cristiana della CEI, pubblicata nel 1995, è più che mai attuale e merita di essere riletta e soprattutto «messa in pratica».
In particolare due citazioni di Paolo VI e di Giovanni Paolo II dicono l’atteggiamento con cui si può affrontare il tema.
«La Chiesa, che ha la missione di accogliere ed elevare tutto ciò che nella natura umana vi è di bello, armonioso, equilibrato e forte, non può che approvare lo sport, tanto più se l’impegno delle forze fisiche si accompagna all’impiego delle energie morali, che possono fare di esso una magnifica forza spirituale...» (Paolo VI).[1]
«La Chiesa stima e rispetta lo sport che è realmente degno della persona umana. Esso è tale quando favorisce lo sviluppo ordinato e armonioso del corpo al servizio dello spirito, quando costituisce una competizione intelligente e formativa che stimoli l’interesse e l’entusiasmo, e quando resta sorgente di piacevole distensione» (Giovanni Paolo II).[2]
La pastorale giovanile non può ignorare lo sport, per i valori che lo sport può veicolare, per l’esperienza importante che lo sport rappresenta nella vita delle giovani generazioni, e perché lo sport è molto di più che esercizio fisico e competizione agonistica.
Il Cardinal Tettamanzi, al Natale degli sportivi del 2004 diceva tra l’altro:
«Sono convinto che voi sportivi potete essere e forse già siete i primi a volere realizzare una società costruita su questi valori.
Sì perché:
- lo sport, ad ogni livello, è anche amicizia;
- lo sport è anche riconoscersi per davvero, compagni dello stesso stile di vita;
- lo sport è anche uguaglianza, fratellanza universale (pensiamo alle Olimpiadi…) e cultura della dignità di ogni persona, che può mettersi in gioco con le proprie capacità, senza discriminazioni;
- lo sport è anche aiuto vicendevole, solidarietà: si vince e si perde sempre insieme, mai da soli;
- lo sport è anche, e soprattutto, sviluppo del valore di ogni persona in ogni sua dimensione (non basta il corpo, non basta l’intelligenza, non basta la capacità relazionale, non basta la volontà: per fare un vero sportivo ci vogliono tutte insieme queste e altre dimensioni).
In altre parole: carissimi sportivi, volete migliorare la vita di questo nostro mondo con l’impegno di tutta la vostra umanità? Io credo di sì perché voi – allenati alle passioni autentiche che si esprimono anche in un sano agonismo – sapete lottare per ciò che vale. Se lotterete per essere sempre più «uomini veri», farete più autentica la società in cui viviamo, attraverso la vostra esperienza sportiva, non solo al di là di essa».
E nel Natale degli sportivi 2006 ha ripetuto:
«Custodiamo l’uomo che è dentro di noi. Apriamo spazi di vera interiorità e amiamo l’interiorità per vivere da protagonisti, liberi, veri e consapevoli, ogni dimensione della vita e dello sport. Sì, perché anche gli sportivi, se vogliono essere uomini veri, devono amare l’interiorità che significa saper riflettere, saper pensare, saper anche pregare. Ciò vale per ciascuno di noi. Ma vale anche per la società e per il mondo dello sport con le sue istituzioni e organizzazioni: una vera interiorità saprà custodire – o restituire dove si è smarrita – l’anima dello sport. E l’anima dello sport, cioè la profonda coscienza di chiunque lo vive, potrà contribuire al futuro dell’intera società. In questo modo conquisteremo l’oro del nostro cuore e l’oro del nostro cuore sarà capace di contagiare la società attuale, il mondo che sempre anela alle vittorie più decisive per la gioia di ogni uomo».
Pastorale e sport: una rubrica per riflettere sullo sport e guardarlo con occhio pastorale, in un itinerario che rifletterà su questi temi:
• educare allo sport;
• educare ed evangelizzare attraverso lo sport;
• educare ed evangelizzare lo sport.
Il sogno è che il manifesto degli sportivi, proclamato solennemente al Giubileo del 2000, ritrovi casa nel nostro sport e, perché no, nella nostra pastorale.
Manifesto dello sport
Lo sport è uno dei fenomeni più rilevanti del nostro tempo. Coinvolge innumerevoli persone in ogni paese del mondo e si sviluppa ogni giorno di più. Praticato direttamente o vissuto come spettacolo, se opportunamente orientato, costituisce una grande risorsa a disposizione della persona umana e della collettività, poiché è in grado di svolgere importanti funzioni:
* ludica, in quanto si propone come mezzo per sprigionare creatività, gioia, gratuità nella fruizione del tempo libero, sia individuale che collettiva;
* culturale, poiché contribuisce una più approfondita conoscenza delle persone, del territorio e dell’ambiente naturale;
* sanitaria, poiché concorre a preservare e migliorare la salute di ogni persona;
* educativa, perché favorisce un’equilibrata formazione individuale e lo sviluppo umano a qualsiasi età;
* sociale, in quanto intende promuovere una società più solidale, lottare contro l’intolleranza, il razzismo e la violenza, operare per l’integrazione degli «esclusi»;
* etico-spirituale, perché, nel perseguire i valori morali, vuole contribuire allo sviluppo integrale della persona umana;
* religiosa, perché, sviluppando appieno le potenzialità della persona, aiuta ad apprezzare sempre più la vita, che per i credenti è dono di Dio.
Lo sport sa parlare alle persone con un linguaggio semplice, per dire cose importanti:
* che occorre impegnarsi a fondo per realizzare le proprie mete ed aspirazioni, senza tuttavia cadere nel culto della perfezione fisica;
* che bisogna prendere coscienza dei propri limiti e capacità;
* che si deve resistere alla tentazione di arrendersi alle prime difficoltà;
* che la vittoria e la sconfitta fanno parte della vita e quindi bisogna saper vincere senza ambizione, prepotenza e umiliazione dell’avversario, e bisogna saper accettare la sconfitta con la consapevolezza che non si tratta di un dramma irreparabile e che la vera vittoria ciascuno la ottiene dando il meglio di se stesso;
* che qualunque competizione deve svolgersi nell’osservanza delle regole, nel rispetto degli altri e senza esasperazioni.
Noi crediamo che oggi le funzioni e le potenzialità dello sport debbano essere salvaguardate e rafforzate, a fronte dell’apparire di fenomeni nuovi che mettono in causa l’etica ed i principi dello sport.
Lo sport non può diventare elemento ulteriore di divisione tra ricchi e poveri, tra forti e deboli, né la corsa al guadagno e alla vittoria possono privare lo sport dei suoi valori morali.
Né lo sport dev’essere appannaggio dei soli paesi ricchi e questi non devono imporre il loro modello sportivo ai popoli economicamente meno sviluppati, né si devono usare le periferie del mondo come riserve per lo sfruttamento di giovani promesse.
La ricerca e l’addestramento di nuovi talenti tra i minori non può avvenire nella violazione dei diritti fondamentali dei fanciulli e dei ragazzi: diritto al gioco, all’istruzione, ad una vita serena in ambito familiare.
Non è lecito alterare la natura dello sport ricorrendo a prodotti, pratiche e comportamenti che attentano alla salute dell’atleta e falsano il risultato in maniera sleale e ingiusta.
Noi vogliamo uno sport che:
* abbia come centro e riferimento costante la dignità della persona umana, e la salvaguardia della sua integrità fisica e morale;
* consenta la scoperta di ideali e l’esperienza di valori che migliorino la qualità della vita personale e sociale;
* si sviluppi in modo da conservare sempre, anche nelle sue espressioni agonistiche più alte, quando costituisce carriera e professione, il carattere di confronto leale e gioioso, di incontro amichevole e aperto alla comprensione e alla collaborazione;
* si esprima in forme armonicamente rispettose dei bisogni e delle possibilità psicofisiche di ciascuno, anche in rapporto alle differenti età, senza escludere o emarginare i più deboli e i più poveri, come gli anziani o i diversamente abili;
* cooperi efficacemente ad affermare una cultura della pace, dell’avvicinamento tra i popoli e del dialogo tra le nazioni.
Noi, a nome di atleti, dirigenti e tecnici del movimento sportivo, qui riuniti in occasione del «Giubileo degli Sportivi» del 29 ottobre 2000, ci impegniamo affinché lo sport sia promosso, organizzato e vissuto in modo da:
* essere – soprattutto per i bambini, i ragazzi ed i giovani – scuola di democrazia, partecipazione e solidarietà;
* contrastare ogni forma di discriminazione, intolleranza e violenza, contribuendo ad abbattere i pregiudizi e sconfiggere forme degenerate di nazionalismo;
* rifiutare ogni forma di esasperazione e di sfruttamento, e qualsiasi pratica che possa subordinare la persona umana agli interessi economici e alla ricerca dei risultati;
* rispettare e valorizzare l’ambiente.
Ai Governi nazionali, alle istituzioni internazionali, al movimento olimpico e a tutte le organizzazioni sportive chiediamo di far proprio questo Manifesto, impegnandosi a divulgarlo e a realizzarne le aspirazioni, facendone la base per lo sviluppo dello sport del Terzo Millennio.
Roma, Stadio Olimpico, 29 ottobre 2000