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    La scelta di matrimonio via privilegiata per diventare adulti


     

    Mario Pollo

    (NPG 2006-09-21)


    Tra i motivi del prolungamento dell’età giovanile nella nostra società vi è, senza dubbio, accanto ad un accesso al lavoro che avviene in numero non irrilevante di casi sotto il segno della precarietà e dell’incertezza, il ritardo o, in una piccola minoranza di casi, l’evitamento del matrimonio.
    Sembrerebbe quasi che il ritardare la costituzione di una famiglia propria attraverso il matrimonio sia divenuto il percorso maggiormente funzionale, e realizzante a livello personale, alla costruzione del proprio Sé adulto, oltre che un modo per inseguire il mito dell’eterna giovinezza.
    È questo senza dubbio uno dei tanti veli attraverso cui l’opinione cerca di nascondere la verità.
    Il velo dell’opinione può essere però squarciato riflettendo sulla funzione che il dare vita ad una famiglia, prendendo un impegno di fedeltà e di stabilità aperto alla generatività, svolge nel percorso che conduce le nuove generazioni all’interno dell’adultità.
    A questo proposito giova ricordare che la conquista dell’adultità avviene attraverso un percorso evolutivo in cui la persona, muovendo dalla conquista dell’Io realizzata nell’adolescenza, va, mentre stabilizza il suo ruolo sociale, verso la riconquista del Noi da cui si è separata con lo sviluppo della sua individualità e che realizzerà pienamente nell’età della vecchiaia.
    Infatti se la conquista dell’Io, che si conclude nell’adolescenza, si basa sull’accentuazione della diversità e dell’autonomia, quindi sull’emancipazione della persona umana da tutti quei legami che la omologano al tutto costituito dalla natura e dalla società, la conquista del Noi si basa, invece, sulla accentuazione dei legami di solidarietà e di armonia con il tutto.
    Questo senza perdere, anzi rinforzandoli, i confini dell’individualità. Jung ha dato a questo percorso il nome di individuazione.

    L’adultità come tappa intermedia nel percorso di individuazione

    Il cammino verso la conquista del Noi richiede che nell’età adulta le persone realizzino nella propria persona il superamento del sesso e dell’età, oltre ad un distanziamento critico dai propri ruoli sociali.
    Ora questo non significa che l’età adulta abbia solo valore in quanto tappa intermedia nel cammino di conquista del Noi, perché questa età, proprio in virtù delle sue caratteristiche specifiche, consente alle persone di manifestare un volto importante della propria umanità e di dare contemporaneamente un contributo essenziale alla riproduzione della specie, della società e della cultura. Anzi si può dire che quella adulta è l’età attraverso cui l’essere umano contribuisce maggiormente alla riproduzione e allo sviluppo della vita umana sulla terra.

    Il superamento del sesso

    Nell’età adulta i maschi devono fare spazio al femminile che è in loro, e le femmine devono lasciar affiorare il maschile che è in loro.
    Questo significa che i maschi dovrebbero essere meno competitivi, meno autonomi, meno interessati all’affermazione e alla conquista dei beni materiali e, al contrario, più aperti alla cooperazione, alla solidarietà e ai valori spirituali.
    Le femmine, invece, dovrebbero diventare più sicure, più indipendenti e più in grado di governare gli aspetti materiali della vita.
    Il superamento del sesso è l’azione attraverso cui la persona umana cerca la completezza e l’unità interiore delle componenti, spesso contraddittorie, che formano la sua natura. Se la conquista dell’identità ha richiesto nella fanciullezza e nell’adolescenza il dominio di alcune componenti della natura personale sulle altre, l’età adulta, specie quella più matura, la mezza età per intendersi, richiede invece il dialogo armonico tra queste stesse componenti. Se il ragazzo e l’adolescente devono accentuare la loro caratteristica sessuale, specie nelle sue dimensioni sociali e culturali, l’adulto invece deve cercare di far convivere la sua identità sessuale con l’altra che pure è presente in lui.
    La ricerca di dialogo del proprio carattere sessuale con il suo opposto è fonte di armonia, di completezza, ed è una profonda molla all’affermarsi di uno stile di vita più equilibrato, maturo e spirituale. Infatti la manifestazione della differenza nell’età adulta deve passare dall’opposizione dialettica alla tolleranza del dialogo. Solo così la persona può iniziare la riscoperta che la sua individualità è tale perché è nutrita dal rapporto con la totalità e che senza questa essa non potrebbe esistere.
    La solidarietà è, ancora prima che un imperativo etico, una dimensione costitutiva della natura umana.
    Questa scoperta non è né facile né tantomeno spontanea: è il risultato di una lunga e faticosa ricerca evolutiva che comporta, tra l’altro, un modo più evoluto di vivere il rapporto uomo-donna nella quotidianità della vita familiare. L’esperienza della complementarietà tra maschile e femminile nella coppia familiare è la via maestra per il conseguimento di questo obiettivo.

    Il superamento dell’età

    «Se non vi convertirete e non diverrete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli».
    In questa frase evangelica è sottolineata l’esigenza che l’adulto apra la sua età, e quindi il suo ruolo sociale e il suo stile di vita, alla ricchezza esistenziale che è presente nelle altre età se vuole perseguire la completezza e l’unità del suo essere. Per l’adulto, ad esempio, divenire come un bambino può voler significare, tra gli infiniti significati possibili, recuperare la curiosità, la disponibilità a nuove esperienze, ad apprendere e infine a modificare, magari radicalmente, la sua vita. Può voler significare anche la riscoperta della gioia della vita, della semplicità e della freschezza dei sentimenti umani.
    La famiglia è certamente il luogo in cui la persona può, nelle relazioni con i figli e con i propri genitori, incrociare le varie codificazioni culturali di età che ha depositate nella sua psiche, senza per questo venir meno al dato vincolante della sua età cronologica che deve sempre e comunque costituire il centro ordinatore di questi incroci. Un genitore, ad esempio, che voglia dialogare con il figlio adolescente deve essere in grado di entrare in contatto con l’adolescenza che è depositata in lui, pur rimanendo adulto.
    E questo dialogo, che aiuta l’adolescente a essere adolescente, è un modo attraverso cui l’adulto recupera il dialogo con le diverse età di cui è costituito divenendo così maggiormente adulto.

    L’adulto verso l’unità del suo Sé e della sua vita

    L’adulto ha sovente la sensazione e quasi sempre la prescrizione di vivere in funzione dei propri ruoli sociali: lavorativi, famigliari, politici, associativi, sessuali, relazionali, ecc. Il suo essere adulto sembra esprimersi nella capacità di essere fedele a questi ruoli. Ruoli che nella sintesi dell’esistenza personale diventano il ruolo. La fedeltà al ruolo è una sorta di programma di vita che vincola le possibili scelte dell’adulto e, paradossalmente, blocca ogni sua possibile ulteriore trasformazione in senso evolutivo.
    Il ruolo diviene non solo il regolatore sociale della vita della persona nell’ambito del sistema sociale ma anche, se non soprattutto, il regolatore della sua esistenza individuale fissandola in un’identità statica centrata sugli obblighi sociali della persona.
    Quella che doveva essere solo la recita di una parte sulla scena della vita, diventa la personalità dell’attore che di per sé non è più nulla, essendo diventato tutt’uno con le parti che deve recitare.
    Il ruolo per molte persone diventa l’unica, o perlomeno dominante, fonte della loro identità.
    All’adulto, che non vuole essere prigioniero della parte che recita, anche per evitare di essere sepolto come gli antichi attori della commedia dell’arte nella terra sconsacrata, si chiede di liberarsi progressivamente dai condizionamenti e dalle richieste del suo ruolo sociale. La persona deve cercare, cioè, le ragioni della sua identità nella sua interiorità più intima e profonda, e non solo nel suo apparire nella scena sociale.
    Questo significa, sostanzialmente, che la persona deve distanziarsi dal proprio ruolo e, al pari dell’attore brechtiano, guardarsi recitare criticamente modificando, di conseguenza, la sua recita a seconda degli imperativi etici e progettuali che sono depositati nella sua coscienza.
    Ma non solo, questo significa anche che egli deve agire, attraverso le varie forme in cui si manifesta la partecipazione alla vita sociale, per modificare in senso evolutivo e personale il suo ruolo.
    Questa azione di distanziamento dal proprio ruolo sociale richiede che l’adulto si liberi, il più possibile, dai condizionamenti dei suoi livelli emozionali profondi, che gli impediscono di esercitare il controllo critico e cosciente sulla sua vita di relazione sociale e di manifestarsi nella sua autenticità all’interno della stessa.
    Queste due azioni combinate consentono all’adulto, se accompagnate dall’assunzione concreta di una maggiore responsabilità verso gli altri, di raggiungere una maggiore unità personale.
    La capacità di giocare il proprio ruolo sociale in modo più cosciente e personale richiede, infatti, una maggiore attenzione all’altro, che nasce solo da una pratica di assunzione di responsabilità come quella che si ha nelle relazioni di amore o di aiuto fraterno e gratuito.
    L’esercizio della responsabilità nei confronti dei figli e del proprio partner è la forma adulta della solidarietà ed è una delle trame che tessono la sua unità personale.
    L’educazione dei figli, la cura dei genitori anziani, l’amore gratuito verso la moglie o il marito, ad esempio, sono alcuni dei luoghi privilegiati in cui l’adulto può vivere questa forma di solidarietà profonda e divenire, quindi, maggiormente adulto.

    Il «progetto famiglia» come luogo dello sviluppo dell’adultità

    Ora, pur riconoscendo doverosamente che esistono anche altre vie all’adultità e quindi al Noi, come ad esempio quelle del sacerdozio e del celibato fondato su motivi religiosi o non, quella della formazione di una famiglia propria rimane la via maestra, quella più naturale e maggiormente consolidata e seguita nella storia umana.
    Si è prima accennato come il superamento sia del sesso che dell’età, funzionali alla conquista dell’adultità, abbiano il loro luogo privilegiato nella relazione di amore della coppia e nella relazione intergenerazionale presente nella nuova famiglia.
    A tutto questo occorre aggiungere che anche lo svolgimento dei compiti sociali che definiscono la condizione adulta è favorito dall’esperienza della famiglia.
    Si prenda come primo esempio il compito sociale fondamentale dell’adulto di tessere il tempo in modo che possa strutturarsi come storia. Questo compito richiede la capacità di vivere un presente che, da un lato, dia valore al qui ed ora e che, dall’altro lato, sia aperto al futuro e abbia profonde radici nella memoria. L’esperienza della vita familiare è a questo fine fondamentale perché sia nell’amore reciproco dei genitori che in quello per i figli si vive in modo esaltante l’esperienza del qui ed ora e, nello stesso tempo, si percepisce come proprio quest’esperienza generi il sogno di futuro aperto alla speranza. Ma non solo. L’esperienza gioiosa del qui ed ora svela anche la memoria della storia che l’ha prodotta e resa possibile.
    La responsabilità verso il coniuge e i figli porta poi la persona ad operare perché nel presente siano presenti i semi che, sperabilmente, consentiranno a questi una vita sicura e, per quanto possibile, felice nel futuro. E nel fare ciò la persona fa memoria di ciò che ha vissuto e che prima di lei hanno vissuto i suoi genitori e le generazioni che l’hanno preceduta.
    Infine, nella tessitura del tempo gioca un ruolo fondamentale il confronto con la mortalità che la famiglia consente di vivere in modo affettivamente intenso e pregnante, ma nello stesso tempo offrendo una protezione contro gli effetti distruttivi di questa dolorosa esperienza.
    Oltre che per i compiti relativi alla tessitura del tempo, la famiglia facilita l’esperienza dell’accettazione della sofferenza e della lotta per il suo superamento. Tra l’altro, anche questo compito è strettamente interrelato con quello della tessitura del tempo. Ad esempio, nel progetto di ogni genitore c’è sempre l’agire al fine di evitare ai figli l’esperienza della sofferenza e, nel caso questa nonostante tutto si verifichi, il fare in modo che essa non distrugga il loro progetto di vita. La lotta alla sofferenza segna la vita quotidiana delle famiglie così come la ricerca di un senso da dare alla sofferenza stessa. È necessario notare come questo avvenga senza elaborazioni concettuali, ma nella prassi quotidiana della vita in famiglia della gran parte delle persone.
    Questo modo quotidiano di elaborare un’esperienza come quella della sofferenza è dello stesso tipo di quello che consente di acquisire ed esprimere i valori, facendoli passare dal piano dell’enunciazione a quello del comportamento. Infatti, nella vita familiare è necessario che la persona ricerchi un minimo di coerenza tra i valori che dichiara di professare e i suoi atteggiamenti e comportamenti quotidiani che esprime nelle relazioni familiari. In molte situazioni poi la vita familiare è il luogo in cui si può sperimentare il trascendimento della necessità e dell’utilità personale per la fedeltà ad un valore, come, ad esempio, quando si compie un gesto di amore gratuito.
    Ma non solo. La famiglia è anche un impervio terreno di prova dei propri valori, perché la persona deve imparare a essere fedeli ad essi pur perseguendo il benessere della propria famiglia. Purtroppo, spesso le persone perdono i loro valori per cercare di seguire le vie più facile all’ottenimento della miglior condizione sociale ed economica possibile per la propria famiglia.
    La funzione della creazione di limiti poi è inestricabilmente connessa con quella genitoriale, ed è quella che oltre a consentire l’umanizzazione dei figli consente la sopravvivenza stessa del gruppo sociale «famiglia».
    Infine, la vita quotidiana della famiglia consente di scoprire il valore comunicativo del silenzio. Non c’è nessun altro luogo come nella famiglia in cui il silenzio parli e in cui si possa scoprire che il solo modo per comprendere l’altro sia il fare silenzio. Questo perché il silenzio è il far tacere se stessi, la propria visione del mondo, le proprie precomprensioni, i propri pregiudizi, per cercare di cogliere l’altro nella sua autenticità e, soprattutto, collocandosi dal suo punto di vista. Il silenzio è la capacità di contemplare l’altro, creando però le condizioni perché questi possa esprimersi nella sua autenticità e non sia troppo condizionato dalle nostre attese nei suoi confronti. Questo decentramento che il silenzio richiede è reso possibile dall’esistenza di un amore autentico per l’altro che è (o dovrebbe essere) il fondamento delle relazioni familiari.
    Purtroppo, rispetto al compito dell’adulto di partecipazione alla costruzione del Regno, oggi la maggioranza delle famiglie non sembrano giocare un grande ruolo avendo delegato all’esterno di sé ogni progetto religioso, in particolare quelli riguardanti la formazione religiosa dei figli. È invece necessario che le famiglie si riapproprino di questo compito perché è al loro interno che si gioca in gran parte la formazione religiosa dei figli. Le ricerche hanno dimostrato che l’agenzia educativa religiosa più potente è la famiglia, e che la sua carenza in questa educazione non è facilmente surrogabile. Si consideri poi che se in famiglia manca questa funzione educativa, gli adulti cristiani non possono sviluppare pienamente la loro adultità cristiana, e rischiano quindi di rimanere immaturi sul piano della fede
    La famiglia, per sostenere questo sviluppo dell’adultità, deve possedere alcune caratteristiche e svolgere alcune funzioni; e non tutti i gruppi umani a cui, propriamente o impropriamente, viene dato il nome di famiglia, le posseggono e svolgono. In altre parole, la famiglia deve essere il luogo, relazionale e simbolico, in cui attorno ad una coppia, che può essere completata dalla presenza di figli o di altri ruoli parentali sotto lo stesso tetto, sviluppa per le persone che la formano:
    - l’inserimento nella temporalità storica della civilizzazione umana lungo l’asse verticale del tempo noetico e di quello orizzontale del tempo sociale;
    - il soddisfacimento del bisogno psicologico di sicurezza, di stare insieme, di soddisfare le esigenze del sesso, di procreare;
    - una realizzazione più completa del proprio Sé;
    - la costruzione di un mondo, ovvero di un orizzonte di significato in cui inscrivere i singoli frammenti che formano l’esperire della vita;
    - la partecipazione attiva alla funzione di riproduzione del sistema sociale, sia a livello della conservazione della specie che della cultura sociale;
    - la partecipazione protagonista alla vita del sistema sociale in tutte le sue dimensioni;
    - una protezione e una solidarietà reciproca garantita anche giuridicamente.
    È chiaro che tutte queste funzioni, pur avendo il loro centro vitale e funzionale nella famiglia, non possono essere svolte interamente da essa, specialmente in una società dove prevale il modello della famiglia nucleare. Questo significa che lo svolgimento di alcune di queste funzioni deve essere in parte delegato al suo esterno, e affidato o a servizi prodotti dallo Stato o a servizi prodotti dalla stessa famiglia in associazione con altre famiglie.
    La delega all’esterno di alcune sue funzioni non significa però che queste possano essere svolte anche in assenza della famiglia, e che quindi questa possa scomparire, ma solo il fatto che la famiglia - per lo svolgimento delle sue funzioni - incorpora dei servizi che sono al suo esterno nel sovrasistema sociale a cui appartiene, rimanendo però la protagonista (committente) della loro erogazione. Perché questo possa avvenire è necessario che la famiglia mantenga sempre un ruolo di programmazione e di controllo sulla erogazione nei confronti dei servizi che «acquista» al proprio esterno.
    L’affermare che solo la famiglia che possiede queste caratteristiche è il luogo dove si può sviluppare il percorso verso l’adultità non vuole essere un principio di discriminazione ma solo di chiarezza.
    Infatti, il dare un nome corretto alle cose è una delle operazioni fondamentali in cui si esercita la creatività umana e su cui si fonda la libertà della coscienza che è alla base dell’emancipazione umana dalla prigione della necessità biologica, che sovente prende il nome di istinto, verso una progettualità esistenziale fondata sui valori.
    Tuttavia, il vivere l’esperienza di costituzione di una famiglia di questo tipo è una condizione necessaria ma non sufficiente alla conquista dell’adultità. Per questo motivo l’educazione alla famiglia non consiste solo nel sostenere la scelta a favore di questo tipo di famiglia ma, soprattutto, nell’educare i giovani allo svolgimento dei compiti e delle funzioni che la caratterizzano.
    È infatti la formazione della persona capace di lottare contro il drago, di conquistare la coscienza e la propria identità personale e storico-culturale, di aprirsi all’alterità solidale e alla trascendenza quella che può rendere il luogo famiglia da potenziale a effettiva fucina dell’adultità.

    Educare al «progetto famiglia» con l’animazione

    In questa prospettiva l’educazione alla famiglia appartiene integralmente all’animazione e ai suoi obiettivi, finalizzati a sostenere il giovane nel cammino di costruzione della propria unicità personale e della ricerca del senso del suo essere nel mondo.
    Tuttavia alcuni obiettivi dell’animazione appaiono particolarmente funzionali all’educazione alla famiglia. In particolare appaiono centrali quelli dell’educazione:
    - a una sessualità concepita come dono di vita e a riconoscere nella separazione della totalità, nei due principi maschile e femminile, la molla che crea la vita e la solidarietà con l’umanità, al di là dei confini dello spazio-tempo;
    - a una nootemporalità che faccia sentire la persona parte unica ma solidale della storia del mondo umano e naturale che abita;
    - alla condivisione e all’assunzione della piena responsabilità verso l’altro e le organizzazioni sociali entro cui si tesse lo stare insieme degli uomini nel mondo;
    - all’accettazione della propria radicale finitudine e alla speranza che apre all’invocazione.
    Perché questi obiettivi siano raggiunti è però necessario che l’esperienza di animazione faccia fare esperienza della relazionalità autentica in cui vivere la scoperta che l’io si dice sempre in relazione a un tu o a un esso.
    Ma è la parola fondamentale io-tu quella che fonda il mondo della relazione. Tra l’altro la parola io-tu può essere detta anche nel silenzio.
    Senza questa parola non si ha relazione e non si innescano i processi di trasformazione che sono l’oggetto dell’intervento educativo.
    Attraverso questi frammenti di animazione culturale, uniti all’abilitazione all’esercizio delle funzioni dei compiti e delle funzioni che la famiglia svolge, è possibile sostenere la formazione di persone capaci di vivere in modo evolutivo e creativo l’esperienza della costituzione di una famiglia.
    Perché nonostante tutte le false profezie e la sua stessa debolezza e fragilità, la famiglia è il luogo principe dell’umanizzazione non solo nell’età dell’infanzia ma in tutte le età della vita, anche in quella della vecchiaia.


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