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    Lo stupore



    Spiritualità dello studio /1

    Armando Matteo

    (NPG 2006-01-44)


    Il mondo non dipende da te. C’era prima che tu fossi e ci sarà probabilmente (molto probabilmente) dopo di te. Eppure tu sei unico. Il corredo delle tue caratteristiche genetiche ti contraddistingue in modo singolare da chiunque altro. E poi cosa dire del tuo sguardo, del tono della tua voce, del tuo inconfondibile modo di farti presente, di sorridere e di lagnarti?

    Non sei necessario, è vero; il mondo va avanti anche senza chiederti il permesso, eppure sei così unico, come ciascuno di noi. Unici e inutili, di per sé. Che strano binomio, che strano paradosso. Ebbene ognuno di noi vive di questo paradosso della sua assoluta «dispensabilità» e della sua altrettanto irriproducibile singolarità: il mondo non ha bisogno di me, ma non ne avrà (né ne ha avuto mai) uno come me. E forse ognuno di noi vive all’altezza di se stesso solo finché tiene insieme i due estremi di questo paradosso.
    Ti sei mai accorto di questo paradosso vivente che siamo noi esseri umani?
    I grandi pensatori del passato l’avevano raccolto e raccontato con la formula «perché l’essere e non il nulla?», che oggi potremmo tradurre in quest’altra domanda: «perché ci sono se questo mondo non ha bisogno di me?».
    Da qui dobbiamo partire per scoprire qualcosa di quella grande avventura che è lo studio, la conoscenza, la ricerca, la fatica dell’intelligenza, il piacere della scoperta.
    Lo stupore della propria singolare inutilità, infatti, è il punto di lancio di ogni avventura nel mondo della conoscenza. Ogni passo in avanti, ogni autentica scoperta, ogni invenzione umana, reca traccia di questo stupore originario. Infatti lo scarto esistente tra la mia presenza in questa storia e l’assenza di un ragionevole motivo per esserci sfonda costantemente ogni tentativo di sentirmi appagato, già soddisfatto, da sempre a casa, non bisognoso di altro. Da qui si parte, anche se è vero che non tutti sono in grado di percepire quella strana domanda che siamo a noi stessi e di dare un senso a quel «pugno nello stomaco» che è la percezione consapevole della nostra singolare «dispensabilità».
    Forse, siamo partiti da troppo in alto: te ne chiedo venia. In fondo la promessa che sta al fondo di questo rubrica di Note di Pastorale Giovanile è di parlare di quella realtà quotidiana, troppo quotidiana, che è lo studio, anzi in particolare di quell’aspetto particolare dato dalla spiritualità dello studio.
    Lo studio: i libri, i quaderni, i file, i cd-rom, leggere, ripetere, domandare, rispondere, ecc… e pertanto potresti ragionevolmente chiederti: che cosa di «spirituale» ci sarà mai in tutto questo? Cosa a che fare il vangelo con i miei prof e con il mio zainetto? Quando parliamo di studio, infatti, tutto sembra indirizzarci su un’altra strada: quella dei nostri doveri nei confronti della famiglia, della società, del mondo intero, e forse anche di Dio (quale giudice supremo cui dovere rendere conto dei talenti ricevuti).
    Proprio per evitare una tale deriva, ti ho proposto un percorso un po’ più faticoso. Lo spessore vero dello studio, infatti, non ha a che fare innanzitutto con i libri, i prof e quant’altro: esso ha a che fare con quella piccola strana cosa che chiamiamo «io». Ciò che rende davvero straordinario e ricco di spirito il tempo dello studio è proprio il nostro «io», ovvero il nostro desiderio di trovare una risposta a quella strana domanda che rappresenta appunto il nostro «io».
    In effetti – e questo è il mio pensiero – dobbiamo riscoprire che prima di essere simpatici o antipatici, bellocci o sfigati, milanisti o juventini, rock o lenti (per dirla con Celentano), di sinistra o di destra, io e te siamo soprattutto «domanda». Noi siamo domanda a noi stessi, siamo stupore per il nostro essere qui invitati senza invito, convocati senza convocazione, alla festa e alla partita della vita. Da una tale consapevolezza, quella di essere domanda a noi stessi, tutto prende il suo avvio.
    Siamo, pertanto, inutilmente singolari, eppure siamo: in questa distanza si accende il desiderio di un perché, il desiderio di una direzione, il desiderio di un senso e solo quando questo desiderio si trasforma in volontà di ricerca, solo allora appare la singolare bellezza e spiritualità di ciò che chiamiamo studio.

    Per continuare a riflettere

    Ora, ti suggerisco la lettura di un brano classico della letteratura filosofica. Si tratta di un passaggio della Metafisica di Aristotele, nel quale il filosofo greco afferma che l’origine della filosofia, cioè della ricerca autentica e disinteressata della sapienza, prende origine proprio dalla meraviglia: dallo stupore, appunto.

    […] Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra: quando c’era già pressoché tutto ciò che necessitava alla vita e anche all’agiatezza e al benessere, allora si incominciò a ricercare questa forma di conoscenza. È evidente, dunque, che noi non la ricerchiamo per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa.
    (Aristotele, Metafisica, 982b; la traduzione è di Giovanni Reale, Rusconi, Milano 1994).

    Per la preghiera

    Ti propongo, a questo punto, la recita di un salmo davvero straordinario. È il salmo 8. Qui, a differenza del testo del filosofo, la prospettiva è quella «dall’alto»: se guardassimo al mondo nella sua nuda presenza, ci accorgeremmo che ci sono cose che di gran lunga sorpassano l’uomo in bellezza e in prestanza. Ma dal punto di vista del Creatore, l’uomo è fatto «poco meno degli angeli». Solo l’uomo, come racconta il testo della Genesi, ha infatti il potere di dare nome alle cose, cioè di assegnare loro un posto, un valore. Da qui lo stupore, ma anche l’intuizione della straordinarietà di un tale dono.
    Per uno i soldi, il lusso, il sesso sono tutto, per un altro valgono niente (pensa ai monaci); per uno tutto è il calcio, un altro non sa neanche la differenza tra un portiere e un centravanti; per uno tutto è dato dai motori, per un altro l’importante è arrivare dove bisogna arrivare…
    Dare nome alle cose: davvero grande è il nostro Dio nel concederci tale potere e davvero grande è il nostro bisogno di conoscenza per un suo corretto uso!

    O Signore, nostro Dio,
    quanto è grande il tuo nome
    su tutta la terra:
    sopra i cieli si innalza
    la tua magnificenza.
    Con la bocca dei bimbi e dei lattanti
    affermi la tua potenza
    contro i tuoi avversari,
    per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
    Se guardo il tuo cielo,
    opera delle tue dita,
    la luna e le stelle che tu hai fissate,
    che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
    e il figlio dell’uomo perché te ne curi?
    Eppure l’hai fatto
    poco meno degli angeli,
    di gloria e di onore lo hai coronato:
    gli hai dato potere
    sulle opere delle tue mani,
    tutto hai posto sotto i suoi piedi;
    tutti i greggi e gli armenti,
    tutte le bestie della campagna;
    gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
    che percorrono le vie del mare.
    O Signore, nostro Dio,
    quanto è grande il tuo nome
    su tutta la terra.

    Un libro da non perdere
    J. Guitton, Il lavoro intellettuale. Consigli a coloro che studiano e lavorano, San Paolo, Milano 1996.


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