L’occhio, la strada e il disastro come metafore dello stupore

 

Cantieri dell'anima /1

Fabio Gabrielli

(NPG 2008-01-32)

 

Cantieri dell’anima

Una nuova rubrica di NPG a cura di Fabio Gabrielli

Scopo

La rubrica si propone come un tracciato esistenziale delle figure di psiche (singole o per attinenza tematica), ovvero come proposta non di soluzioni usa e getta, di cui il famelico mercato tecnologico è pregno, né, tanto meno, come un rimedio a tutti i mali del mondo, in una sorta di delirio di onnipotenza, bensì come indicazione di possibili itinerari di ricerca sulla prevenzione delle malattie dell’anima di questi nostri adolescenti, da un lato attraversati da un vuoto pneumatico forzato e lacerante, ma, dall’altro, affamati di domande e di risposte di senso.
La fragilità affettiva degli adolescenti, la loro non ancora compiuta capacità di accostarsi in modo analitico all’esistente, lo stordimento provocato in tutto l’uomo d’oggi da un mondo che sovente appare acefalo, minaccioso, incapace di reperire un centro, sia esso concettuale, religioso, etico, estetico o affettivo, impone ai genitori, agli educatori, agli operatori sociali il dovere di ridare voce alle vibrazioni interiori, a quei fecondi e fecondanti scenari dell’anima, dove il nostro stare al mondo riacquista davvero un coefficiente di senso.

Strategie operative

– In apertura sarà proposta una riflessione, che fungerà da stimolo concettuale e dialogico, sul tema/voce in oggetto: L’anima meditante.
– Per dare vita ad un autentico «sfregamento di anime», ovvero ad uno schietto, fecondo rapporto interpersonale, seguiranno, poi, una serie di percorsi capaci di stimolare i perché, con l’ausilio di citazioni bibliografiche, articoli tratti da quotidiani e riviste, esperienze educative, film, canzoni, poesie…: Il pensatoio.
– Da ultimo, per calare le acquisizioni concettuali e le progressive maturazioni affettive nei vissuti quotidiani, nelle biografie in carne e ossa, saranno presentati brevi tracciati operativi, ampliabili e rimodulabili secondo le esigenze e la sensibilità di educatori e ragazzi: L’anima in azione.

Voci del percorso

- Accidia
- Aggressività
- Amicizia/Amore
- Angoscia
- Ascolto
- Bene/ Benessere
- Consumismo/Conformismo/Temperanza o senso del limite
- Indifferenza/ Ira/Odio
- Invidia
- Malinconia/Nostalgia
- Mistica/Religione/Sacro
- Orgoglio/Umiltà
- Pudore/Vergogna
- Simpatia
- Speranza


L’ANIMA MEDITANTE

Nell’epoca delle passioni tristi, per usare la plastica immagine di Benasayag e Schmit, ovvero in quest’età pervasa da un diffuso senso di impotenza, di smarrimento – dove le molteplici voci del mondo non riescono ad essere ricondotte ad un’autentica articolazione di senso, poiché, rottamata l’anima, lo stare al mondo appare sempre più estraneo e minaccioso – rieducare alla meraviglia – intesa come decifrazione stupita degli enigmi del mondo e all’affettività, come originario luogo dell’integrazione dei vissuti e delle azioni con cui informiamo il nostro vivere –, si impone come un’ingiunzione etica ed esistenziale, soprattutto verso le giovani generazioni.
Ma lo stupore può originarsi nei giovani solo là ove la loro mente è fecondata dal cuore e il loro cuore è corroborato dalla mente, ovvero dove, come in un cantiere, avviene la progressiva costruzione dell’irripetibilità di ogni biografia, secondo ritmi e modalità che solo le complessive visioni personali del mondo (persona come per se unum) possono definire e determinare, a patto, però, che ne siano stati creati, in itinere, gli autentici presupposti.
Il compito di educatori e genitori nei confronti dei giovani è quello di aprire interrogativi, reperire significati di fondo, alimentare progettualità, incoraggiare alla ricerca del vero, del bello e del buono, scalpellare nei cuori i fondamentali codici etico-esistenziali, scongelare affetti e promuovere ideazioni, creare inquietudine, lasciare fecondare il creato negli abissi silenti e ineffabili dell’anima, originare vibrazioni metafisiche.

La metafora dell’occhio

Rieducare allo stupore, a guardare il mondo con gli occhi spalancati, per dirla con Edith Stein, significa recuperare un’ineludibile fenomenologia dell’occhio. Nell’occhio, infatti, si inscrive la possibilità di una dilatazione del nostro corpo, una proiezione originaria, per dirla con Herder, «per grandi spazi al di fuori di noi». Grazie allo sguardo, determinato dall’occhio, il mondo si lascia catturare in tutta la sua complessità e portare all’interno del corpo, per approdare all’anima che seleziona, trasceglie, modella, scolpisce nei propri vissuti uomini o cose che di quel mondo fanno parte e che, nel preciso momento nel quale il nostro sguardo si appunta su quei veduti, divengono parte di noi stessi, del nostro modo di stare al mondo, dei sentimenti con cui abitiamo l’esistente.
L’occhio – con la connessa dialettica dello sguardo – presenta una geografia complessa e multiforme, di cui diamo fuggevole conto:
– L’occhio indifferente, cioè passivo, poiché scivola accanto alle cose, le sfiora appena, non fende l’essere, ma lo accosta frettolosamente per discostarsene altrettanto rapidamente.
– L’occhio tecnologico, tutto efficienza, efficacia, produttività; è un tipo d’occhio che – incapace di riannodare i fili della propria esistenza attingendo anche dai vissuti e dagli agiti della memoria, di preparare pazientemente il futuro e di vivere con pienezza di senso il presente – tende a cannibalizzare il tempo, ma anche a conformarsi ai monologhi collettivi, alle grammatiche esistenziali della tecnica, modellate su codici linguistici serializzanti che si traducono inevitabilmente in visioni del mondo puramente quantitative.
– Altro è, invece, l’occhio contemplativo, inteso come sguardo intenso sulla realtà, visione verginale sulle cose, poiché scevra da visioni preconfezionate, luce inconversevole sull’esistente, nella misura in cui si cerca l’essenziale, ciò che è profondo e, quindi, capace di ricondurre ad unità di senso i molteplici segni con i quali gli uomini e le cose si annunciano al mondo.
L’occhio contemplativo è, fondamentalmente, l’occhio filosofico – ma anche quello poetico! –, che, come dice Merleau Ponty, «ammette che ci sono cose da vedere e da dire» e ci ingiunge, di conseguenza, di «risvegliarci» dal torpore della visione usuale, per rinnovare l’immagine del mondo.
– Di rilievo è, da ultimo, la distinzione tra l’occhio che brama e l’occhio che seduce.
L’occhio che brama, generatore di inquietudini, è sguardo che aggredisce la vittima, ma, a differenza della bocca, la cui voracità distrugge, questo tipo d’occhio tende a sedurre in negativo, a lasciare vivere la vittima, ma solo biologicamente, per poterla reificare, renderla cosa tra le cose, esercitando così una signoria assoluta su di lei e facendo dipendere ogni significato della sua esistenza dall’occhio che la controlla e che, bramandola, la afferra, la stringe e la costringe, a differenza del gesto, per esempio la carezza, che lambisce e sfiora delicatamente l’altro rispettandone il mistero nella sua interezza.
L’occhio che seduce, invece, tende a «condurre in disparte» – come emerge dal primo significato di seduzione –, in un altrove, dove i significati abituali mutano e una nuova forza dirompente, in questo caso l’amore, crea nuovi equilibri e incontaminati assetti psicologici ed esistenziali, in un inesausto traboccare di energia vitale, vera forza motrice dell’amore.
I nostri personali bilanci, le nostre esigenze, i nostri profitti sono spazzati via dall’occhio che seduce, che ci fa innamorare, ci fa prendere coscienza di altre aspirazioni, di altri bisogni, di altre visioni del mondo.

La metafora della strada

Rieducare i giovani allo stupore significa, poi, recuperare anche l’arte del camminare, del vivere la strada:
– La strada si configura come spazialità non solo fisica ma anche e soprattutto metaforica, oltre che potente generatrice simbolica: deve essere alimentata senza posa, nel momento in cui ci accingiamo a percorrerla o la stiamo di fatto percorrendo, dallo stupore, cioè da quel dilatarsi delle pupille da cui germina ogni forma di conoscenza che non voglia configurarsi come semplice e sbiadita fotografia del mondo, bensì come radicale, entusiastica meditazione sui multiformi paesaggi che incontriamo lungo il cammino.
– Lungo le strade del mondo, dove l’itinerario geografico diventa segno dell’anima, nasce la consapevolezza che l’uomo è da sempre abitato dall’illusione di essere partito verso una meta, quando in realtà non si è mai mosso, ma anche dall’imprevisto, dallo stupore di scoprire, dilatando le pupille, qualcosa di assolutamente nuovo, diverso, originale, anche lungo un sentiero magari più volte battuto, ma con le palpebre abbassate.
– Percorrere con stupore una strada significa vincere la paralisi di un pensiero murato in una dimensione omologante per aprirsi, come ci suggerisce Natoli, all’incanto, all’inusuale, all’inatteso che attrae, insomma al coraggio di sprofondare lo sguardo sul quotidiano de-banalizzandolo, de-reificandolo, de-opacizzando, per scorgerne segni, enigmi, vissuti sempre diversi, e per questo inaspettati, ovvero meravigliosi.
– La strada rinvia alla dialettica nostalgia-speranza come cifra suprema del nostro stare al mondo: nostalgia, o meglio malinconia, per il perduto per sempre, che può tracimare nella rassegnata disperazione di chi arresta il proprio cammino consegnandolo alla muta voce dell’anima che più non si spalanca sul mondo, o ardente speranza di articolare la propria esistenza entro nuovi e vitali itinerari.
– Ma, soprattutto, il camminare diventa autentica forma di meditazione, nella misura in cui sappiamo riconoscere negli innumerevoli volti incontrati il segno più vero di un’umanità capace di donarci senso, aprirci, con la forza dirompente del dialogo, interrogativi sempre nuovi, stordirci interiormente, a causa della pietà, dello sbigottimento che proviamo di fronte ai loro lutti, a quelle originarie, profonde lacerazioni che da sempre contrassegnano il nostro vivere malcerto.
– Il camminare è dialetticamente legato all’inquietudine esistenziale che ci abita ab origine, poiché l’uomo si struttura come ardente attesa della Fonte originaria.
La perenne inquietudine dell’uomo non si manifesta solo nell’ordine della conoscenza, ma anche in quello dell’esistenza vera e propria: l’uomo aspira con tutte le sue forze alla verità e alla certezza, ma si trova paralizzato, come ci suggeriscono le superbe parole di Pascal, di fronte agli «infiniti spazi» in cui è «inabissato». Per uscire dallo scacco esistenziale, dal naufragio dell’anima, dobbiamo scandagliare in ampiezza e profondità il nostro essere, al fine di prendere coscienza della nostra limitatezza, che è nel contempo anche segno della nostra grandezza, ovvero di un pensiero «terricolo» che riconosce di non poter abbracciare l’eterno, ma che in esso tuttavia scorge, tra ombra e luce, la risposta ultimativa alle sue domande di senso.
È l’infinito, l’eterno, che può dare un senso alla nostra inquietudine, poiché viviamo nel tempo, ma non siamo fatti per il tempo, per la dozzinale quotidianità, tutta quantità e dispersione esistenziale.
E colui che fugge dall’infinito, fugge da se stesso, poiché finisce per sostituire l’eterno con dei surrogati che alimentano senza posa la disperazione che scaturisce dal sottrarsi alla Radice, alla Fonte del nostro vivere.

La metafora del disastro

Il disastro, infine, si impone a tutto tondo come metafora viva di un autentico riorientamento dello sguardo dei giovani dall’usuale a ciò che stupisce. Il termine dis-astro, secondo la stupenda ricostruzione semantica di Steiner, significa «pioggia di stelle sull’umanità», con una tale ridda di conseguenze antropologiche ed etiche, da rendere necessaria una sintesi incisiva, che, tuttavia, può essere ricalibrata e modulata a seconda dei contesti esistenziali nei quali matura il rapporto tra educatore e giovane.
In breve, mi pare che le due conseguenze più rilevanti del dis-astro siano:
– Fornire ai giovani itinerari di senso e riaccendere in loro veri e vitali desideri. Infatti il termine stelle, astri, rinvia al latino sidera, per cui colui che de-sidera, al contrario di colui che con-sidera, è privo delle stelle che gli illuminano il cammino, per via di quel de che gli sottrae l’ausilio del cielo. I giovani, qualora siano abbandonati dagli astri, non siano più resi gravidi, purificati, dalla pioggia di stelle, si smarriscono e, nel contempo, aspirano, in quanto ogni uomo è per natura soggetto desiderante, a rintracciare la luce delle stelle: dice la Zambrano che ogni aspetto della nostra esistenza rinvia a quel desiderare continuo che è la vita umana.
Ma la pioggia di stelle deve scaturire dall’educatore, poiché senza un maestro, senza un soggetto interrogante, che apre allo stupore in tutte le sue declinazioni, da quelle diurne, cosmiche (cosmo come ciò che è ordinato, pacificato, inscritto in regole rassicuranti) a quelle umbratili, notturne, laceranti, caotiche (caos come dis-ordine, difficoltà a reperire un senso, a dare un nome, articolando un discorso denso di significati, alle ferite dell’esistenza, alla frammentarietà del vivere, allo sbigottimento doloroso nei confronti degli aspetti più crudi del vivere, ma non per questo, già a partire dai giovani, aggirabili, resi inautenticamente silenti), significa per un giovane rimanere prigioniero nel suo mondo, senza la possibilità di far traboccare tutto l’impeto, l’energia, l’entusiasmo che lo abitano.
– Entusiasmo è altro termine sacrale connesso al dis-astro: la parola rinvia al greco enthu-siamós, connesso con énthheos, «che ha un dio dentro di sé», e, quindi, traducibile complessivamente con l’espressione «essere abitati dagli dèi».
Ebbene, nella misura in cui alimentiamo l’entusiamo nei giovani, li rendiamo traboccanti di dèi o, in altri termini, abitatatori di quella dimensione eminentemente spirituale, che permette alle loro anime di prendere congedo dalle grammatiche esistenziali della tecnica, efficientistiche, funzionalistiche, produttivistiche a oltranza, espressive di un Mercato omologante, produttore non solo di merci, ma anche di continui bisogni da soddisfare in modo vorace e acritico. In questo modo, per usare la plastica immagine platonica, le loro anime potranno riacquistare le ali, attraverso un duro tirocinio interiore, che solo l’entusiasmo che l’educatore sa trasmettere può rendere gravido di conoscenza e aperto a quella costruzione del sé affettivo che non ha nulla a che vedere con il sentimentalismo o la subitaneità emotiva che dura lo spazio di un istante, bensì con la progressiva costruzione di una personalità armonica, dove il cognitivo e l’emotivo, la logica e l’etica, la mente e il cuore, la passione e la ragione non sono più realtà eterogenee, ma componenti organiche e inscindibili, sintetizzate nell’unità dell’io cosciente, entusiasta, caldo e responsabile.

IL PENSATOIO

– Quali sono i punti-chiave delle riflessioni che hai appena letto?
– Concordi con le riflessioni che ti abbiamo proposto o suggerisci percorsi alternativi?
Prova a scrivere una tua riflessione su questi stessi argomenti e poi confrontala con quella dei tuoi amici/amiche, in modo da dare vita ad una feconda discussione.
– Ci sono esperienze personali, canzoni, film, che ti richiamano il tema dello stupore come viaggio, non di rado doloroso, verso la conoscenza e la progressiva formazione di sé?
– Prova a mettere a confronto quanto hai letto con queste superbe parole del grande poeta brasiliano Carlos Drumond de Andrade, il quale, nella sua poesia Corpo, ci invita ad indagare, prima degli enigmi del mondo, quell’enigma che è l’uomo, abitato dall’ignoto, dall’inquietudine e da una permanente, rabbiosa fame di eternità: «Come decifrare pittogrammi di diecimila anni fa / se non so decifrare la scrittura dentro di me? / Interrogo segni dubbi / e le loro variazioni caleidoscopiche / osservandoli attimo dopo attimo. La verità essenziale / è l’ignoto che mi abita / e ogni mattina mi colpisce con un pugno».
– Cosa ne pensi di questa affermazione di Karl Jaspers (Sulla verità, 1947), a proposito della filosofia come arte capace di risvegliare lo stupore, la meraviglia: «La filosofia può levare la cataratta alla nostra cecità. Ma a quel punto noi dobbiamo vedere coi nostri occhi»?

– Dove lo stupore viene meno, i giovani diventano silenti e abbandonati dagli dèì (non c’è più entusiasmo!). Prova, a questo proposito, a discutere con i tuoi amici la lettera che segue, con la risposta di Gustavo Pietropolli Charmet, docente di Psicologia dinamica e psicoterapeuta dell’adolescenza, apparsa sul «Corriere della Sera» del 18 marzo 2007.
* Sono il padre di un ragazzo di 17 anni che da due mesi non vuole più andare a scuola. Alla mattina cerchiamo di costringerlo ad alzarsi ma ci siamo rassegnati a vederlo aggrappato al lenzuolo, silenzioso e ostinato. A scuola aveva un rendimento discreto e andava d’accordo con í compagni e i docenti. Gli telefonano sia gli uni sia gli altri e lui li rassicura dicendo che tornerà al suo banco. A noi non ha fornito una spiegazione convincente: prima diceva che stava male, poi che doveva studiare, poi che voleva ritirarsi e perdere l’anno. Abbiamo consultato lo psicologo della scuola e ci ha detto che queste crisi sono frequenti. Secondo lei c’è qualcosa da fare per impedire che mio figlio perda un anno di scuola?
Lettera firmata
* «Quando un adolescente si ritira dalla realtà e si dimette dalla scuola c’è da preoccuparsi. Spesso i ragazzi non sanno fornire spiegazioni dei loro atteggiamenti: si limitano a ‘trasferire’ ciò che li turba in un comportamento che riesce a far finire la loro sofferenza nella mente dei genitori. Suo figlio non è preoccupato perché la sua preoccupazione è diventata la preoccupazione di sua madre e di suo padre. Gli adolescenti risolvono così i problemi. Oppure li buttano nel corpo e lo fanno soffrire, dimagrire, sanguinare e stanno meglio mentalmente. Quando i ragazzi tacciono hanno già detto tutto. Suo figlio le parla aggrappandosi al lenzuolo e rifiutandosi di uscire dal letto. Ora tocca a lei cercare una risposta. Un indizio di quale sia quella giusta lo troverà nelle sue reazioni al rifiuto di suo figlio: se si sente triste può ipotizzare che suo figlio lo sia ancora di più. Se è arrabbiato probabilmente suo figlio è furibondo, ma non sa come gestire la sua ira. Non è molto, ma è già un’informazione utile: d’altra parte educare gli adolescenti è difficile proprio perché non usano le parole ma le azioni per comunicare il dolore e le grandi passioni che non sanno ancora gestire e trasformare in pensiero».

– Confrontatevi, dopo la lettura in comune dell’agile saggio di U. Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2003 (vedi soprattutto la voce «Vuoto» pp. 115-121), con i vostri ragazzi, stimolando le loro domande e provocandoli con dolcezza e senza alcun timore se la discussione diventa particolarmente accesa (discutere come (dis)-quatere: «abbattere»). La domanda di fondo potrebbe essere articolata così: i nostri giovani sono contrassegnati da un vuoto spirituale radicale, oppure sono alla ricerca di coefficienti di senso, di direzioni di marcia, di progettualità autentiche che gli adulti non sanno offrire e, quindi, quel vuoto imputato ai giovani, in realtà, è diretta conseguenza di un’umanità adulta attraversata da una crisi spirituale così profonda, da renderla impotente a raccogliere e riempire quel vuoto giovanile con significati esistenziali ed etici forti?
Queste che riproduciamo sono brevi riflessioni di due ragazzi di 17 anni di una Scuola secondaria superiore del Comasco sul tema dello stupore, del pericolo dell’omologazione e del ruolo della scuola nell’arte di coltivare la meraviglia per la conoscenza e per la morale. Provate a metterla a confronto con l’opinione dei vostri ragazzi, che saranno, credo, particolarmente stimolati da un confronto a distanza con dei loro coetanei:
* «Non siamo omologati, siamo spinti ad esserlo[…]. I giovani sono pieni di energia, di voglia di stupirsi. Senz’altro ci sono tanti giovani disinteressati, annoiati, ma anche tanti altri desiderosi di imparare cose nuove, di sottrarsi alle mode imperanti.
C’è in giro troppo catastrofismo! Chissà perché si deve sempre guardare agli aspetti negativi: anche se fosse vero che i giovani si annoiano, parlano per luoghi comuni, è altrettanto vero che, se stimolati da genitori e insegnanti, sono capaci di tirare fuori dall’anima tesori straordinari» (Alessandra).
* «Se i giovani non si stupiscono più di fronte a niente è perché i genitori “continuano a lavorare”, rimuginando, anche a casa e non hanno mai il tempo per dialogare, oppure, se ci provano, usano un linguaggio a noi estraneo. Gli insegnanti, tranne qualche eccezione, sono più stressati e annoiati di noi, a causa di un lavoro ripetitivo e poco riconosciuto. Noi giovani non abbiamo colpe, siamo solo vittime di un’assoluta mancanza di riferimenti certi! Come può un giovane crescere in un mondo di eterni bambini, egoisti e irresponsabili!» (Marco).

– Vi invito a far leggere ai vostri giovani, oltre al già citato saggio di Galimberti sui vizi, questo stimolante libro, o alcune pagine particolarmente significative di esso, di Fernando Savater: Le domande della vita, Laterza, Roma – Bari 1999 (il testo, pur di natura filosofica, non solo è accessibile a tutti, ma è anche provocatorio e stimolante, grazie all’originalità con cui vengono trattate le varie tematiche e al carattere laico, libertario e anticonformista dell’Autore. Davvero un bel confronto con posizioni religiose!).

– Proponiamo ora una pellicola: Cielo d’ottobre.
Regia: Joe Johnston, USA, 1999.
Trama: La storia di Cielo d’ottobre è autentica: è tratta dal libro di memorie dell’ex ingegnere della NASA Homer Hickam, andato in pensione dopo una lunga e gratificante carriera.
Siamo nel 1957, in un paesino del West Virginia, dove tutta la vita ruota attorno al lavoro nelle miniere, alle quali sono finalizzate le stesse prospettive dei giovani, compreso Homer, figlio del sovrintendente John Hickam. Tuttavia Homer nutre una grande passione per il cielo e le stelle – nell’ottobre di quell’anno il satellite sovietico Sputnik attraversa il cielo suscitando grandi discussioni in paese –, che lo porta a costruire con altri tre suoi amici un razzo da lanciare nello spazio. L’esperimento fallisce e il padre di Homer si adopera in ogni modo per far cambiare idea al figlio, convincendolo, alla fine, ad entrare in miniera. La passione per le stelle e il cielo tuttavia, anche per l’incoraggiamento della sua insegnante miss Riley, non abbandona mai Homer, che, dopo una serie di vicende, vince addirittura il primo premio alla finale nazionale di un concorso scientifico. Torna così nel suo paesino da trionfatore, ottenendo, finalmente, anche l’incoraggiamento del padre.
Possibili letture: lo stupore di fronte al mondo, il rischio come sfida autentica, la forza della volontà, la pazienza, la fiducia nella vita, il desiderio innato di conoscere, l’aspirazione ad essere ciò che vogliamo e non ciò che gli altri pretendono da noi, il riconoscimento della nostra vocazione, il rapporto Io-Noi, individuo e società. Sono queste le tematiche più rilevanti, affrontate in chiave realistica, senza cadere nella facile retorica, dal regista Joe Johnston.
Per la discussione: si tratta di un film coinvolgente, a tratti commovente, capace, quindi, di agire in modo fecondo sull’intelligenza emotiva, sui sentimenti degli studenti. L’insegnante può articolare la discussione privilegiando alcune delle chiavi di lettura proposte, oppure ricavarne altre che ritiene più mirate al suo scopo educativo; si potrebbero anche coinvolgere i ragazzi ad organizzare un loro «piccolo film», da presentare alla scuola alla fine dell’anno, che abbia come soggetto una delle tematiche proposte da Cielo d’ottobre.

L’ANIMA IN AZIONE

– Provate ad organizzare con i vostri ragazzi una tavola rotonda/conferenza aperta al pubblico sul tema: «Come riscoprire o coltivare lo stupore negli adolescenti per fare riacquistare le ali alle loro anime?» L’educatore dovrebbe collocarsi in periferia e non al centro, pur fornendo indicazioni, suggerimenti, spunti di ricerca e bibliografia mirata, in modo da rendere i ragazzi i veri protagonisti del tema-dibattito.
Oppure, a partire da questa riflessione di Jean Guitton, fate scegliere direttamente ai ragazzi il titolo e le modalità della tavola rotonda/conferenza (naturalmente, oltre ai vostri giovani relatori, possono partecipare ragazzi di altre scuole, oratori, associazioni, ma anche interlocutori adulti scelti dai vostri ragazzi o da loro vagliati, dopo le vostre eventuali indicazioni): «Siamo saturi di informazioni come non lo siamo mai stati. Questa sovrainformazione finisce per destabilizzare il mentale. Quello che manca è il giudizio, il discernimento, la capacità di dire quello che è bene e quello che è male. L’arte di comportarsi, dopo una sintesi obiettiva dell’informazione.
Per questo è necessario acquisire una saggezza» (J. Guitton, Il libro della saggezza e delle virtù ritrovate, Piemme, Casale Monferrato 1999, p.11).
– Inviate i vostri ragazzi nelle piazze, nelle strade, nei luoghi di aggregazione per raccogliere riflessioni, testimonianze, vissuti sullo stupore, sulle sue modalità fenomenologiche, ovvero come si presenta, come viene declinato dai loro coetanei, ma anche dagli adulti, per dare, poi, vita ad un dossier scolastico, parrocchiale, legato ad un’associazione…; oppure da trasmettere ad un quotidiano per fare sentire, conoscere direttamente dai ragazzi, senza filtri psicologistici o sociologistici, la voce della loro anima, gli agiti della loro generazione.
– Chiedete ai vostri ragazzi di provare a stupirsi per cose alle quali comunemente non pensano o che sentono indifferenti, noiose, ostili: una disciplina scolastica non amata, loro coetanei verso i quali nutrono antipatia o indifferenza, genitori con cui non riescono a dialogare su tematiche che magari gli stanno davvero a cuore, dimensioni spirituali, religiose mai o raramente accostate, visite ad ammalati, senzatetto… Che il vostro invito sia contrassegnato da ferma dolcezza, dove la parola non sia invasiva ma inquietante, ovvero capace di attivare, provocare quel caotico, disarticolato, ma infinitamente ricco mondodentro che da sempre alimenta le giovani biografie.
Insomma, chiedete loro di stupirsi e di stupire chi crede che i nostri ragazzi non siano più capaci di sprigionare in ampiezza e profondità forme di intelligenza affettiva.

Cantieri dell’anima

Una nuova rubrica di NPG a cura di Fabio Gabrielli

Scopo

La rubrica si propone come un tracciato esistenziale delle figure di psiche (singole o per attinenza tematica), ovvero come proposta non di soluzioni usa e getta, di cui il famelico mercato tecnologico è pregno, né, tanto meno, come un rimedio a tutti i mali del mondo, in una sorta di delirio di onnipotenza, bensì come indicazione di possibili itinerari di ricerca sulla prevenzione delle malattie dell’anima di questi nostri adolescenti, da un lato attraversati da un vuoto pneumatico forzato e lacerante, ma, dall’altro, affamati di domande e di risposte di senso.

La fragilità affettiva degli adolescenti, la loro non ancora compiuta capacità di accostarsi in modo analitico all’esistente, lo stordimento provocato in tutto l’uomo d’oggi da un mondo che sovente appare acefalo, minaccioso, incapace di reperire un centro, sia esso concettuale, religioso, etico, estetico o affettivo, impone ai genitori, agli educatori, agli operatori sociali il dovere di ridare voce alle vibrazioni interiori, a quei fecondi e fecondanti scenari dell’anima, dove il nostro stare al mondo riacquista davvero un coefficiente di senso.

Strategie operative

– In apertura sarà proposta una riflessione, che fungerà da stimolo concettuale e dialogico, sul tema/voce in oggetto: L’anima meditante.

– Per dare vita ad un autentico «sfregamento di anime», ovvero ad uno schietto, fecondo rapporto interpersonale, seguiranno, poi, una serie di percorsi capaci di stimolare i perché, con l’ausilio di citazioni bibliografiche, articoli tratti da quotidiani e riviste, esperienze educative, film, canzoni, poesie…: Il pensatoio.

– Da ultimo, per calare le acquisizioni concettuali e le progressive maturazioni affettive nei vissuti quotidiani, nelle biografie in carne e ossa, saranno presentati brevi tracciati operativi, ampliabili e rimodulabili secondo le esigenze e la sensibilità di educatori e ragazzi: L’anima in azione.

Voci del percorso

- Accidia

- Aggressività

- Amicizia/Amore

- Angoscia

- Ascolto

- Bene/ Benessere

- Consumismo/Conformismo/Temperanza o senso del limite.

- Indifferenza/ Ira/Odio

- Invidia

- Malinconia/Nostalgia

- Mistica/Religione/Sacro

- Orgoglio/Umiltà,

- Pudore/Vergogna

- Simpatia

- Speranza