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    Nostalgia dell’amore


    La nostalgia di Dio nell’arte moderna e contemporanea /5

    Maria Rattà

    (NPG 2024-01-69)

     

    «Forte come la morte è l'amore», recita il Cantico dei Cantici (Ct 8,6), raccontando molte verità su questo sentimento, a cominciare dalla sua ineludibilità. La ricerca dell’amore è imprescindibile per l’uomo, e la stessa etimologia lo sottolinea: il termine, infatti, si può far risalire al sanscrito kama – desiderio, passione, e alla radice indoeuropea ka – desiderare in maniera viscerale.   
    Una seconda ipotesi riporta il vocabolo al verbo greco mao, ancora una volta nell’alveo della nostalgia: desidero. Non è possibile, dunque, non amare nella propria vita, ma non solo questo ci dice la Scrittura. Se l’amore è ineluttabile – come la morte – altrettanto vero è che esso è capace di “lottare” contro la morte stessa, perché avversario di armi pari: fra le tante origini etimologiche della parola amore una è proprio a-mors, cioè senza morte. Pur poco probabile sul piano scientifico, questa derivazione aiuta a inquadrare la ricchezza e la profondità del concetto: l’amore riempie la vita di senso, l’amore dona vita “piena”, facendo assaporare già su questa terra un po’ di eternità. Così essere innamorati è trovare un gusto nuovo in tutte le cose, assaporare diversamente ogni situazione. Scrive infatti Italo Calvino ne Il barone rampante: «Cosimo non conosceva ancora l’amore, e ogni esperienza, senza quella, che è?»[1]. 
    Ma se la ricerca dell’amore è imprescindibile, non altrettanto scontato ne è il risultato, e spesso le sue vie passano per la delusione, il dolore, il rimpianto… e la nostalgia di una relazione mai cominciata oppure terminata. Amore e dolore finiscono così con l’andare a braccetto, come nell’opera dal titolo omonimo di Edvard Munch, rinominata anche Vampiro. Un quadro che rimanda alla fine della storia del pittore con Tulla Larsen, e che esprime l’angoscia e la sofferenza di una relazione amorosa che non trova compimento felice. La donna viene qui vista come colei che risucchia il sangue dal collo del partner, in un impeto di passione sottolineato dai capelli rossi di lei, mentre l’uomo, privato della sostanza vitale, assume un colorito freddo. Quando l’amore non è equilibrato, sembra dire questa tela, il suo essere forte “come” la morte produce proprio la fine di ogni cosa e l’esaurimento delle energie vitali, in uno sfinimento del sé che passa – lo dice anche la psicologia – attraverso le fasi del lutto da elaborare. Ma ciò accade anche per la conclusione di un grande amore corrisposto, come avviene per i poeti Montale ed Éluard. La vita diventa così, per il primo, un tragitto interminabile fatto di «vuoto a ogni gradino»[2] perché manca la luce che solo l’amata portava, e «l’avvenire la mia sola speranza» si trasforma in un «sepolcro»[3], scrive il secondo dopo la morte della moglie. La vita di chi sopravvive, insomma, diviene un faticoso trascinarsi in un’esistenza che è già un morire. Esperienza molto forte proprio in questa dimensione sponsale che si spezza, perché in fondo è nel matrimonio che maggiormente l’amore diventa segno di una nostalgia più grande, quella per un sentimento ancora più immenso: l’amore divino.           
    «L’immagine di Dio è la coppia matrimoniale: l’uomo e la donna; non soltanto l’uomo, non soltanto la donna, ma tutti e due. Questa è l’immagine di Dio: l’amore, l’alleanza di Dio con noi è rappresentata in quell’alleanza fra l’uomo e la donna»[4], diceva papa Francesco nel 2014. E aggiungeva: «Quando un uomo e una donna celebrano il sacramento del Matrimonio, Dio, per così dire, si "rispecchia" in essi, imprime in loro i propri lineamenti e il carattere indelebile del suo amore. Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio per noi»[5]. Ma se questa è la dimensione del matrimonio secondo Dio, non sempre l’essere umano riesce a ricreare perfettamente l’immagine divina che reca in se stesso. E così da paradiso in terra l’unione sponsale può trasformarsi in una condizione infernale, in cui l’amore passa in secondo piano, sopraffatto da altri elementi che, in una sorta di scala gerarchica dei valori, raggiungono la cima a discapito del sentimento. La letteratura e la pittura ottocentesca tratteggiano questo vero e proprio dramma con grande intensità e crudezza, narrando storie in cui sono soprattutto le donne (ma non solo) a fare le spese di calcoli economici e di prestigio in cui le famiglie di origine o le considerazioni personali pressano per scelte di vita che nulla hanno a che fare con l’amore. Spose accigliate e ragazzine ignare di quanto il matrimonio, nella realtà dell’epoca, non sia un bel sogno, si ergono a protagoniste in una tela del pittore francese Auguste Toulmouche, ma sono specialmente i russi a declinare i racconti di sposalizi di convenienza in cui il cedimento nervoso delle donne manifesta tutta la loro impotenza, in un mondo governato dagli uomini (situazione di disequilibrio che ancora ai giorni nostri, purtroppo, si trascina in molti campi). Così le promesse spose di Firs Zhuravlev scoppiano in pianto prima delle nozze o si abbandonano a una composta – ma non per questo meno intensa – disperazione subito dopo la cerimonia con i loro ricchi, e non di rado anziani, consorti. Rappresenta un’eccezione la tela di Vasily Pukirev, che cogliendo direttamente il momento del rito religioso, ci presenta non solo la povera sposa “oggetto” de Il matrimonio diseguale, ma anche se stesso, impossibilitato – per mere questioni economiche – alle proprie nozze d’amore con la giovane protagonista del quadro. In Italia è la letteratura verista a tracciare le coordinate di relazioni sentimentali i cui attori principali vengono sacrificati in nome del dio denaro e del buon nome dei casati, impersonificati magistralmente dalle figure di padri, madri e matrigne senza scrupoli. Storia di una capinera e I Viceré sono due dei romanzi che maggiormente affrontano il tema in oggetto, e che squadernano senza reticenze i tormenti dei giovani innamorati costretti alla separazione, in un crescendo che spesso diventa follia e morte. Tragedie da “fiction” (prendendo a prestito il significato letterale del termine inglese, che indica qualcosa di inventato), ma che certamente rispecchiano uno spaccato sociale realmente vissuto da molti ragazzi e ragazze del passato, e che proprio l’arte cinematografica e televisiva non ha mancato di trasporre in immagini sul piccolo e grande schermo. Comune denominatore di queste storie è sempre l’intima e stretta connessione fra morte, vita e amore. Un legame fortissimo che si snoda anche nella vicenda terrena e ultraterrena di Gesù, il nostalgico d’amore per eccellenza: Cristo ha nostalgia dell’amore del Padre (come già analizzato in una precedente puntata di questo lavoro), ma anche di quello degli uomini, come condensato nella sua triplice domanda a Pietro «Mi ami più di costoro? – Mi ami? – Mi vuoi bene?» (Gv 21,15-17) e nella sua esperienza di donazione totale fino alla morte di croce. Un’immagine, quella del Sacro Cuore, esprime anche a livello artistico questa grande e infinita sete d’amore che Gesù nutre per le sue creature. Una sete che richiama l’uomo ad andare da Lui, perché Dio solo è in grado di sconfiggere, col proprio amore, la morte, e donare la vita per sempre, la vita in abbondanza. Lo sintetizza in pochi versi Emily Dickinson: «L'Amore - è anteriore alla Vita - / Posteriore - alla Morte - [6]                       
    L'Amore è come la Vita - solamente più lungo / L'Amore è come la Morte, resiste alla Tomba / L'Amore è il Compagno della Resurrezione / Che riaddensa la Polvere e canta "Vivi!"»[7]         
    E se l’amore è compagno della Risurrezione allora l’uomo non può che avere un’ultima, grande nostalgia. Nostalgia del futuro, di quel “domani” in cui ogni desiderio più profondo sarà veramente placato. Una nostalgia di cui parleremo nell’ultimo capitolo di questi approfondimenti, chiudendo un cerchio iniziato dal cielo e che in Cielo troverà il suo ultimo approdo.

     
    NOTE

    [1] Italo Calvino, Il barone rampante, Oscar Mondadori, 2010, p. 150.
    [2] Eugenio Montale, Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale, Sito internet Libriantichionline, https://www.libriantichionline.com/divagazioni/montale_sceso_dandoti_braccio_almeno_milione_scaleuge
    [3] Paul Éluard, La mia morta vivente, in 44 Poesie, Mondadori, 1996, p. 33.
    [4] Francesco, Udienza generale, 2 aprile 2014.
    [5] Ibidem.
    [6] Emily Dickinson, poesia F980 - J917 (1865-1864), in Tutte le poesie. II (551-1150), a cura di Giuseppe Ierolli, 2007, p. 355, disponibile sul Sito internet EmilyDickinson.it, che raccoglie tutte le opere complete della poetessa americana, https://www.emilydickinson.it/edpoesievol2.pdf
    [7] Emily Dickinson, poesia F287 - J491 (1862), in Tutte le poesie. I (1-550), (a cura di Giuseppe Ierolli), 2007, disponibile sul Sito internet EmilyDickinson.it, https://www.emilydickinson.it/edpoesievol1.pdf


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