Rappresentazioni artistiche nei secoli
«Cristo e l'adultera»
3. Dal XVII al XVIII secolo
Note storico-estetiche di Maria Rattà
Presentiamo ai lettori una ricca carrellata di immagini - corredate da brevi note informative - sulla vastissima produzione artistica a tema «Cristo e l'adultera». Il materiale reperito, suddiviso per grandi correnti o per secoli, dimostra quanto il soggetto sia stato - e continui a essere - uno degli argomenti maggiormente trattati da maestri noti e meno noti, e sia capace di parlare anche all'uomo di oggi della misericordia di Dio nei confronti dei peccatori. La rassegna sarà scansionata secondo il seguente ordine:
1. dal IX al XV sec.;
2. il XVI sec.;
3. dal XVII al XVIII sec.;
4. il XIX sec.;
3. XX e XXI sec.
Per facilitare la lettura, le note al testo sono state inserite alla fine di ciascun capitolo tematico.
Un’immagine di misericordia
«Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più”».
(Gv 8, 1-11)
«CRISTO E L'ADULTERA» NEL XVII SECOLO
UNA TRANSIZIONE: IL DIPINTO DI JOBST HARRICH
Jobst Harrich (Norimberga 1580-1617), al quale sono state attribuite molte copie di dipinti del famoso Albrecht Dürer, dipinge questa tela dell'adultera intorno al 1600. L'opera è dunque più rinascimentale che barocca. La sua particolarità si rintraccia nell'atteggiamento insolito di Gesù, che sembra seduto a un tavolo, o comunque appoggiato a un bancone, e discorre non con uno degli scribi o dei farisei, bensì con uno degli apostoli (forse Pietro, dati gli elementi iconografici?). Il discorso sulla misericordia, sembra voler dire Harrich attraverso questo dettaglio, non è indirizzato solo agli accusatori, ma anche e principalmente ai discepoli di Cristo.
BAROCCO
IL DIPINTO DI PETER VAN LINDT
Si tratta di un olio su rame [1], del pittore fiammingo Peter Van Lindt [2]. L'opera è databile alla prima metà del XVII secolo. L'apparente sproporzione anatomica di Gesù e della donna, più grandi rispetto agli altri personaggi, permette di focalizzare immediatamente l'attenzione su di essi, e sui loro gesti. Le pietre - riferimento evidente alla lapidazione cui l'adultera avrebbe dovuto essere sottoposta - sono tutte ammassate nell'angolo destro della tela.
LA TELA DI ALESSANDRO TURCHI
Alessandro Turchi [3] realizza la tela nel 1619 c. Attualmente parte di una collezione privata, non se ne conosce il committente. Risulta in possesso del cardinale Mazzarino, e nell'inventario (del 1661) della sua collezione, compare insieme ad altri tre dipinti dell'artista. La tela risente dell'influsso rinascimentale (nella scelta dell'impostazione quasi a mezza figura, e con la presenza di più personaggi in un campo ristretto), ma anche del caravaggismo di Bartolomeo Manfredi e del classicismo (come quello di Guido Reni). L'atteggiamento di Cristo è eloquente: viene incontro alla peccatrice, e le braccia si spalancano, quasi in un abbraccio. Gesù è così la misericordia fatta carne che viene sulla terra per sanare gli ammalati nello spirito.
IL DIPINTO DI GUERCINO
La tela viene dipinta da Guercino (Giovanni Francesco Barbieri, 1591, Cento - 1666, Bologna) nel 1620-1621, ed è attualmente parte di una collezione privata. L'atteggiamento di Gesù è quello di chi voglia invitare alla riflessione e all'autocritica i propri interlocutori: si è forse migliori di quella donna portata come una delinquente davanti a lui, o, piuttosto, tutti gli uomini sono peccatori dinanzi a Dio?
LA TELA DI VAN DYCK
Cristo e l'adultera, 1620-1622 c. Fonte Collección BBVA
La tela fu dipinta durante un soggiorno in Italia dell'artista
LA TELA DI VALENTIN DE BOULOGNE
Denominato il «Caravaggio francese», Valentin de Boulogne [4] dipinge il quadro nel 1620 c. I personaggi sono ricchi di plasticità, intensificata dai chiaroscuri e dai diversi movimenti di ciascuno di essi, specialmente dalle torsioni dei due soldati.
L'attenzione di tutti - a eccezione che della donna e ovviamente di Gesù - è calamitata dalle parole che Cristo ha scritto in terra, e che Egli sta ancora indicando con la mano destra. Gli occhi dell'adultera sono sì indirizzati al suolo, ma esprimono tutt'altro che sentimenti di curiosità.
LA TELA DI RUBENS
Conservata nel Museo Reale delle Belle Arti del Belgio, l'opera viene completata da Rubens nel 1614 c., e ha subito un importante restauro all'incirca dieci anni fa.
Rubens (Siegen, Vestfalia, 1577 - Anversa, 1640) dipinge i personaggi a grandezza naturale, concentrandosi poco sullo sfondo, ma focalizzando la sua attenzione (e quindi quella dell'osservatore) sulle pose e sui volti delle figure, volti in cui si rivelano i sentimenti che li agitano. Piccole curiosità: stando a quanto riportato nel testo A catalogue of the pictures at the Leigh Court, near Bristol - p. 6 - del 1882 (disponibile su Googlebooks), due degli accusatori avrebbero (così «si dice») le fattezze dei riformatori Calvino e Lutero, cosa che appare più rilevante, considerando anche la presenza di un Pontefice romano. Il Cristo, invece, avrebbe il volto dello stesso pittore. Questi dettagli vanno riletti calando la tela nel contesto personale e religioso dell'epoca: pur se nato in una famiglia protestante, Rubens si converte infatti al cattolicesimo e respira il clima della Controriforma.
IL DIPINTO DI PIETER VAN DER MAES
Datato tra il 1629 e il 1632, anche questo «Cristo e l'adultera» è un olio su rame (cfr. nota 2). L'adultera veste di bianco, elemento che potrebbe avere una valenza fortemente simbolica. La questione sarà meglio analizzata parlando del dipinto di Rembrandt. Del pittore olandese, autore di questo dipinto, si sa poco: nato nel 1577 a L'Aia, da una famiglia di pittori del vetro, lavora per gli Stati Generali d'Olanda, e riceve anche una commissione dalla corte danese.
LA TELA DI GIROLAMO BRUSAFERRO
Per l'approfondimento sulla tela di Girolamo Brusaferro, si rimanda all'articolo a essa dedicato (http://notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=10719:cristo-e-ladultera-2&catid=482:questioni-artistiche).
I DIPINTI DI MATTIA PRETI
Mattia Preti (Taverna, 1613 - La Valletta, 1699), noto anche come il Cavalier Calabrese, realizza più volte il soggetto di Cristo e l’Adultera, accentuando aspetti diversi della psicologia dei personaggi e del soggetto evangelico.
1. «Cristo e l'adultera» - Zurigo
La versione conservata a Zurigo, databile tra il 1635 e il 1640, rientra «nella produzione giovanile del pittore. È collocabile tra la seconda metà degli anni trenta del Seicento e i primissimi anni del decennio successivo» [5]. Nella tela si evidenziano «le reminiscenze caravaggesche e le riflessioni guercinesche» [6], ed essa risente anche dell’influsso del «neovenezianismo di Sacchi e di Poussin» [7].
Dal punto di vista compositivo, due quinte laterali, interrotte al centro - laddove compare un cielo nuvoloso - delimitano lo spazio in cui si svolge la scena. I personaggi sono divisi in due grossi blocchi [8], resi maggiormente evidenti dal taglio luministico, netto sul suolo.
Preti coglie il momento in cui Cristo sta scrivendo per terra. Gesù sembra volersi inserire al confine tra luce e ombra, ponendo il dito proprio nel punto in cui l’una lascia spazio all’altro. In tal modo si rende evidente la simbologia del Salvatore che va in cerca della pecora perduta, che si addentra nell’oscurità che avvolge il cuore dell’uomo (caricandosene totalmente sulla Croce), per risanarlo con il suo amore rigenerante.
L’attenzione è catalizzata su di lui, eccezion fatta per il personaggio girato di spalle - collocato a destra - che prontamente il ragazzo inginocchiato vicino a Gesù richiama all’attenzione, facendo segno con la mano verso il punto focale della scena.
Tutto sembra avvenire in una sorta di silenziosa supense. L’enfasi del momento è accentuata dalla posizione dei personaggi, chinati attorno al Maestro e in attesa di scoprire il contenuto della scritta misteriosa. La loro curiosità cozza con la calma intensa di Cristo, che esprime un senso di mitezza e pacatezza, ma anche con l’aspetto remissivo e quasi rassegnato dell’adultera. Se in Gesù, letteralmente inginocchiato a terra, si materializza l’idea di un Dio che si abbassa al livello dell’uomo per salvarlo, nella donna si esprime un diverso senso di “abbassamento”: la consapevolezza del peccato che abbruttisce l’essere umano, che lo priva di dignità, che lo “denuda” (l’adultera viene infatti condotta dai suoi accusatori a seno scoperto) fintanto che non si è ottenuto il perdono, capace di rivestire nuovamente l’essere umano della grazia divina.
2. «Cristo e l'adultera» - Galleria Spada
Nella versione di Palazzo Spada, Preti sceglie un taglio diverso. Zoomando sui personaggi principali, focalizza l’attenzione attorno alla peccatrice accusata e a Cristo, chiamato a giudicarla. La donna è presentata ancora una volta in atteggiamento remissivo e consapevole della propria colpa. A seno mezzo scoperto, con gli occhi bassi e le mani legate e incrociate sul grembo, “in stato d’arresto”. Scribi e farisei appaiono come un contorno “secondario” nell’opera. In realtà, il pittore interpella l’osservatore del quadro, scegliendo infatti di raffigurare Gesù probabilmente nel momento in cui, alzandosi in piedi, rimbalza la domanda ai suoi interlocutori, dicendo loro «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). Ma al posto degli interlocutori di quel tempo si trova chi osserva il quadro. È il fruitore dell’opera a essere posto direttamente di fronte allo sguardo interrogativo di Cristo e, dunque, a sentirsi interpellato dalla sua domanda. Cristo rivolge a ciascun essere umano il quesito “fondamentale” sulla misericordia, sulla compassione, sulla possibilità del ravvedimento umano.
3. «Cristo e l'adultera» - Palermo
La tela si trova a Palermo, presso Palazzo Abatellis (Galleria Nazionale della Sicilia). In essa, Mattia Preti si focalizza ancora di più attorno ai due personaggi principali. L’adultera compare con le mani ancora legate (simbolo della Legge che la condannava alla lapidazione per il suo peccato), ma finalmente la si vede con gli occhi aperti, seppure descritta come timorosa di sostenere lo sguardo di Gesù, perché il peccato rende l’uomo consapevole della propria miseria dinanzi alla grandezza di Dio. La donna, probabilmente, è anche colta da grande stupore per l’inatteso atteggiamento di Cristo. Il volto di Gesù esprime fermezza e mitezza: non nega il peccato della donna, ma la fa rinascere a vita nuova. In tal modo in Cristo si conciliano giustizia e misericordia: «Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11). Gli accusatori dell'adultera non compaiono (alle spalle della peccatrice si intravede solo un’ombra) e Gesù - come sottolinea anche il suo gesto - si sta rivolgendo direttamente a lei. Rimane solo un anziano, che attonito osserva e ascolta il Maestro. Così, accanto alla misericordia di Dio, che si esprime pienamente in Cristo, compare l’inquietante presenza di chi si scandalizza per il perdono divino offerto ai peccatori pentiti, o quella di chi è chiamato a lasciare da parte le proprie convinzioni, per fidarsi di Dio.
LA TELA DI REMBRANDT
La tela è datata 1644. Rappresenta un ritorno «alla maniera dei primi anni trenta, come mostra, per esempio, l’elaborata architettura che definisce lo spazio della scena» [9]. L’episodio viene pienamente collocato nel contesto in cui Giovanni lo presenta nel Vangelo, ossia all’interno del tempio. La teatralità della rappresentazione [10], che sottolinea il carattere drammatico dell’evento in corso, è amplificata dal sapiente uso di luci - riflesse anche dalle dorature dell’architettura - e di ombre. In fondo a destra, il Sommo Sacerdote siede su un trono, collocato in alto e distante dai protagonisti dell’episodio, ma attorniato da uno stuolo consistente di fedeli, che si snoda quasi processionalmente fino ai personaggi principali, quasi a creare una sorta di fil rouge ideale tra il Sommo Sacerdote stesso - la massima autorità dell’Antica Legge - e Gesù, il vero e Sommo Sacerdote che, portando a compimento la Legge, inaugura la Nuova Alleanza.
Come colpite da un faro puntato su di esse, spiccano le figure di Gesù, dell’adultera e dei suoi accusatori.
Uno dei personaggi sta indicando l’adultera a Cristo, mentre - forse - gli sottopone il quesito descritto da Giovanni : «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che dici?» (Gv 8, 4-5).
La peccatrice è inginocchiata e piange, a capo chino. È vestita sontuosamente, con una veste bianca, che non solo ne esalta la luminosità, ma rimanda probabilmente alla purezza interiore che Gesù restaurerà in lei, attraverso il perdono [11]. Nonostante la pretesa degli accusatori di conoscere il modo giusto di comportarsi per il caso in esame, «l’atteggiamento dei farisei tradisce apprensione e curiosità e rispecchia l’appunto che Rembrandt prese su un disegno: “Erano così ansiosi di prendere in fallo Gesù, che non vedevano l’ora di sentire la sua risposta”» [12]. «Già il fatto che conducono a Gesù una donna, colta in flagrante adulterio, dimostra che non agiscono rettamente. Se infatti è stata colta mentre commetteva l’adulterio, con lei c’era anche un uomo. Perché allora se la prendono solo con la donna? Non dice forse la Legge che i due debbono essere messi a morte (Dt 22,22ss)? E poi, come capi del popolo e giudici in Israele, perché non hanno messo in pratica la Legge? Perché non l’hanno condotta in tribunale? C’era proprio bisogno di portarla da Gesù?
Il motivo è che ad essi, in quel momento, non interessa né la Legge, né la (o il) colpevole: essi vogliono solo mettere alla prova Gesù, avere un motivo per accusarlo (8,6). La donna per essi è solo una pedina utile per mettere Gesù in scacco matto. La parola della Legge, in questo caso, non è per essi norma a cui si deve ubbidire; è solo un caso di coscienza da discutere: “Mosè comanda di lapidare simili donne. Tu che ne dici?” (8, 5)» [13].
IL DIPINTO DI NICOLAS POUSSIN
Nicolas Poussin (Les Andelys, 1594 - Roma, 1665) [14] realizza la tela nel 1653. L'opera, conservata al Louvre, descrive una scena di giustizia e misericordia calata nel quotidiano: fumo da un comignolo, donna con bambino in lontananza e nella penombra, a osservare la scena, posta esattamente a metà del quadro, come a rappresentare l'alter ego allo specchio di chi osserva la tela, e, in un certo senso, a essere un'immagine-simbolo del Dio che ama come una madre: con viscere di misericordia. La linea diagonale della scala che percorre la tela crea un moto centripeto all'interno del quadro. C'è movimento: una gestualità rapida di braccia che raccolgono sassi, una furia pronta a scatenarsi contro la donna. Ma le braccia di Cristo, che pure sembrano tracciare una parallela alla diagonale, spezzano questo gioco vorticoso di crudeltà umana e sembrano dare a tutti la battuta d'arresto, per riportare l'attenzione dall'imperiosità del giustizialismo alla calma della misericordia che rinnova la creatura. Il Verbo Incarnato, ritratto a bocca aperta, intreccia un discorso con l'uomo che sta di fronte a lui, Così il gioco delle diagonali acquista un senso anche metaforico, che collega esattamente i due personaggi. E tra Cristo e l'interlocutore si pone la donna adultera, che risalta quasi emergendo dal suolo, avvolta nel panneggio di un blu intenso.
LA TELA DI NICOLAS COLOMBEL
1682. Nicolas Colombel ( Sotteville-lès-Rouen, 1644 - Parigi,1717) dipinge la sua versione di «Cristo e l'adultera». L'opera - uno dei suoi capolavori - diventa la più conosciuta (fra le poche note) del pittore francese, ma l'artista rimane poco familiare al pubblico, nonché considerato dalla critica un semplice emulatore di Poussin, almeno fino alla recente scoperta di altre sue opere. La tela presenta in effetti molte somiglianze con il dipinto del suo connazionale, ma è di più ampio respiro, ha colori più luminosi, e si caratterizza per una forza centripeta ancora maggiore, perché il gioco di linee (dell'architettura, del pavimento e degli stessi personaggi) - realizzato con maggiore delicatezza rispetto a quella di Poussin - riconduce sempre a Cristo, fulcro dell'azione.
BASSORILIEVO (1687, BOTTEGA VENEZIANA)
Si tratta di un bassorilevo in legno scolpito, dipinto e dorato, conservato nella diocesi di Venezia. Come in altre rappresentazioni di questo soggetto, la composizione è suddivisa in due blocchi, quasi con un taglio netto grazie alla presenza dell’albero dorato al centro. Da un lato appaiono Cristo e gli apostoli (deducibile dal loro numero), dall’altro la donna e i suoi accusatori. Le dorature conferiscono all’opera maggiore vivacità e raffinatezza, oltre a rendere immediatamente riconoscibili scribi e farisei, per via del loro abbigliamento, e dare maggior rilievo a Gesù. L’albero centrale rimanda, metaforicamente, alla simbologia di Cristo quale albero della vita: Egli sta infatti ridonando la vita all’adultera, doppiamente morta: per il peccato e secondo la Legge.
IL DIPINTO DI AERT DE GELDER
Opera del 1683, fa parte della Collezione Thyssen-Bornemisza di Madrid. Aert de Gelder, (Dordrecht 1645 - ivi, 1727). seguace di Rembrandt, anche in questa tela cerca di seguire lo stile del maestro negli effetti luministici (sebbene meno marcati), nella spazialità e nella teatralità della scena. Non vi è, tuttavia, la stessa monumentalità e drammaticità ottenuta da Rembrandt.
LA SCULTURA DI JEAN DE DIEU
Lo scultore francese Jean de Dieu (Arles, 1652 - Parigi, 1727), dopo la formazione ad Arles si stabilisce a Parigi. Esegue lavori anche per il castello di Versailles e di Marly (viene insignito della carica di scultore del re), per la Chiesa degli Invalidi, e opera nella Cattedrale di Chartres, per la quale esegue il «Cristo e l'adultera» fra il 1679 e il 1681.
Si tratta di un'opera di grande intensità e dinamismo: i personaggi sono colti in movimento, sottolineando così la serratezza, la stringenza dell'episodio che si svolge in una sequenza impressionante di momenti ad altissima tensione.
MEDAGLIONE IN LEGNO (BOTTEGA DI ANDREA FANTONI)
Si tratta di un piccolo medaglione (28.0x22.0x5.0) in legno di bosso intagliato, realizzato a cavallo tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700, attribuito alla Bottega Fantoni [15]. L’opera si trova nella Diocesi di Brescia. Il medaglione presenta un certo dinamismo, grazie ai movimenti contemporanei dei lapidatori - colti nell'atto di cogliere o scagliare le pietre contro l'adultera - e di Gesù, che interviene prontamente per arrestare l'esecuzione della donna.
IL DIPINTO DI ANTONIO CIFRONDI
La tela - datata tra il 1689 e il 1690 - si trova nella chiesa di San Michele al Pozzo Bianco, Bergamo, ed è opera di Antonio Cifrondi [16] (Clusone, 1656 - Brescia, 1730). L'artista coglie un momento di grande concitazione: Cristo sta scrivendo per terra e i presenti manifestano apertamente interesse e meraviglia. Anche l'adultera, sebbene legata e spinta indietro da uno dei suoi accusatori che cerca di farsi spazio tra i presenti, si volge verso il punto focale della scena.
NOTE
[1] La pittura a olio su rame è documentata fin dal VIII sec., ma a parte pochi sparuti esemplari, non si è conservata traccia di queste prime opere, probabilmente anche perché il rame veniva spesso recuperato e riutilizzato in periodi di guerra e carestia, al fine di fabbricare armi e utensili d'uso comune. Il maggior sviluppo di questa tecnica si ha a partire dal 1560, sia per il miglioramento conseguito nelle tecniche di estrazione dalle cave, sia per l'invenzione del laminatoio, che consente di ottenere lamine più lisce e regolari senza ricorrere alla fusione. Il rame diventa un supporto ideale per la pittura a olio, per via della sua regolarità, uniformità e capacità di assorbimento; inoltre la colorazione è similare a quella dei materiali impiegati per la preparazione dei fondi. A partire dalla seconda metà del XVII secolo, questa tecnica comincia a entrare in disuso, sia per i problemi legati alla corrosione del metallo sia a causa della deperibilità delle opere. Opere che, inoltre, difficilmente possono avere grandi dimensioni, se realizzate su rame. Cfr. Quella tela? È di rame, Sito Internet del magazine Stile Arte, https://www.stilearte.it/quella-tela-e-di-rame/
[2] «Pittore (Anversa 1609 - ivi 1690). Soggiornò a Roma (1633-40 c.). Dapprima seguace del Caravaggio, si accostò poi alla maniera di P. P. Rubens dipingendo scene sacre e profane con uno stile asciutto e accurato. Opere nei musei di Anversa, Bruxelles, ecc» (Voce Lint, Peter van, Sito Internet dell'Enciclopedia Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/peter-van-lint/).
[3] Alessandro Turchi (Verona, 1578 - Roma, 1649)., detto l'Orbetto, «non è certo tra i più famosi protagonisti della storia dell'arte, ma Alessandro Turchi ha saputo realizzare composizioni molto raffinate. Nato nel 1578 a Verona, ebbe modo di formarsi con Felice Brusasorci in un ambiente artistico molto vivace e pieno di artisti di alto livello: uno su tutti, Paolo Veronese. Si trasferì quindi a Roma nel 1614: nella capitale dello Stato Pontificio, Alessandro entrò in contatto con l'arte di Caravaggio senza esserne troppo coinvolto, e soprattutto approfondì l'arte di Guido Reni: il classicismo reniano entrò nell'opera di Alessandro e non la abbandono più. Sempre a Roma, nel 1638 diventò anche Principe dell'Accademia di San Luca succedendo in tale carica a Pietro da Cortona. Artista aggraziato e delicato, Alessandro Turchi riuscì a essere anche pittore "che piace in qualunque soggetto" (secondo le parole di Luigi Lanzi) dato che in carriera trattò con dimestichezza una buona varietà di tematiche nelle sue opere» (Scheda Alessandro Turchi. Un raffinato pittore "che piace in qualunque soggetto", Sito Internet Finestre sull'arte, https://www.finestresullarte.info/Puntate/2012/09-alessandro-turchi.php)
[4] «Valentine de Boulogne, identificato anche con i nomi di Valentin Valentin, Le Valentin o Moïse Valentin, nasce tra il 1591 e il 1594 a Coulommiers-en-Brie, in Francia, ma arriva giovanissimo a Roma, dove risiede fino alla morte. La sua vita è abbastanza oscura e il suo vero nome è sconosciuto: Moïse (la forma francese di Mosè), nome talvolta usato per riferirsi a lui, non è all'origine un nome proprio, ma una storpiatura italiana del francese Monsieur (signore). Qualcuno identifica il nostro Valentine De Boulogn e con un certo "Valentino francese" abitante a Roma, nel 1611, nella parrocchia di San Nicola dei Prefetti. Legato da forte amicizia con Bartolomeo Manfredi, dalla cui pittura rimane fortemente influenzato, divide con lui la passione per Caravaggio , divenendo uno dei suoi migliori seguaci e personalità di spicco nell'ambiente artistico. Nonostante la sua breve vita, (morirà a Roma intorno ai quarant'anni, sembra per un tuffo in una fontana ghiacciata mentre era ubriaco), gli sono attribuiti più di ottanta dipinti che, benché di vario soggetto, dal religioso al mitologico e ritratti, sembrano proporre gli stessi modelli. I suoi quadri, dipinti per ricchi amatori, fra i quali il cardinale Francesco Barberini e Cassiano dal Pozzo, sanno ammantarsi di grande drammaticità, i personaggi esprimono una solenne dignità e gli sfondi, che creano un grande senso di minaccia, raffigurano taverne e sordidi covi. Valentine De Boulogne raggiunge l'apice della sua carriera con la commissione di una pala d'altare per San Pietro: Martirio dei Santi Processo e Martiniano eseguita del 1629 al 1630. Durante tutta la vita Valentine De Boulogne rimase fedele allo stile caravaggesco, senza lasciarsi tentare dalle nuove mode pittoriche» (Biografia e vita di Valentin de Boulogne, Sito Internet Sette Muse, https://www.settemuse.it/pittori_scultori_europei/valentine_de_boulogne.htm).
[5] Vittorio Sgarbi, Mattia Preti, Rubettino, 2013, p. 74.
[6] Ibidem.
[7] Ibidem.
[8] Cfr. Ibidem.
[9] Roberta d'Adda (a cura), I capolavori in Rembrandt, Rizzoli, 2003, p. 120.
[10] Nel corso della sua vita, Rembrandt forma una cinquantina di artisti, alcuni dei quali diverranno in seguito famosi. La formazione dura un quinquennio, e il maestro non disdegna di ricorrere a vere e proprie rappresentazioni teatrali (esclusivamente per la propria Bottega) in cui gli allievi sono contemporaneamente sia osservatori che attori. Questo per riuscire a cogliere meglio espressioni, gesti, pose. L'espediente contribuisce a far luce sull'impianto fortemente scenografico e sulla teatralità dei personaggi di opere come «Cristo e l'adultera» Cfr. La vita e l'arte, in Ibidem, pp. 42-43.
[11] È interessante anche quanto riportato sul Sito Internet del terapista Rulik Perla: «L’adultera indossa un vestito di satin bianchissimo, e naviga in un mare di luce. Forse è così che Gesù è capace di vedere un peccatore. Vedere le più alte possibilità, la scintilla del divino in ogni essere umano, al di là dei suoi errori» (Rulik Perla, The Woman taken in Adultery, Sito Internet Soulfoul counseling, https://soulfulcounseling.com/?page_id=196).
[12] Roberta d'Adda, I capolavori, in Ult. cit, p. 120.
[13] Mario Galizzi, Vangelo secondo Giovanni. Commento esegetico-spirituale, Elledici, 2001, p. 130.
[14] Nato in Normandia, si dedica alla pittura, contravvenendo ai desideri del padre che avrebbe desiderato per lui la carriera di avvocato. Studia a Rouen, poi a Parigi. Dopo un primo, breve soggiorno, nel 1624 si stabilisce a Roma, dove poi sarà quasi stabilmente presente.
[15] Andrea Fantoni (1659-1737), scultore, intagliatore e architetto, è l’artista attorno a cui fa perno la Bottega dei Fantoni di Rovetta. La Bottega nasce sotto il padre di Andrea, Grazioso il Vecchio (1630-1693), nel 1680, e chiude i battenti alla fine del Settecento. A partire dal 1674 Andrea apprende l'arte dell'intaglio nel legno a Parma, presso la Bottega di un certo Giuseppe, lavorando con lui a Palazzo Ducale. Un cugino di Grazioso il Vecchio è infatti non solo segretario del Vescovo di Parma, ma personaggio conosciuto e influente alla corte dei Farnese, ed è per suo interessamento che Andrea si era trasferito nella città ducale. Vi rimane fino al gennaio del 1675, in seguito il padre lo manda a bottega in Val Camonica, per perfezionarsi nella scultura in legno. A partire dal 1677, il Fantoni rientra probabilmente a Rovetta, e inizia a lavorare nella bottega del padre, dove già prestano opera tutti i suoi fratelli. Andrea (il vero artista di spicco del gruppo) è probabilmente l’ideatore delle opere e il firmatario dei relativi contratti), ma tutti i fratelli vi prendono parte, in un vero e proprio lavoro di squadra. L'importanza della Bottega si comprende meglio considerando che nonostante ubicata in «un paesino di 800 anime, sperduto tra le montagne dell’alta Valseriana, abbia riscosso un successo tanto esteso di committenti, sebbene non sia riuscita a superare il villaggio montano se non in pochi casi. Infatti il successo della Bottega non toccò le città importanti a cui giustamente aspirava, nonostante avesse intrecciato iniziali rapporti di committenza con Parma, Milano, Venezia, Padova, Torino» (I Fantoni, scultori della fede 1680 - 1780 (Rovetta, Bergamo e Brescia). Itinerari alla scoperta delle loro opere nelle chiese delle valli bergamasche e bresciane dal 1680 al 1780, Sito Internet Bergamo Culturale, https://www.bergamoculturale.it/fantoni/). Cfr. anche Voce Fantoni, Andrea, Sito Internet dell'Enciclopedia Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/andrea-fantoni_(Dizionario-Biografico)/.
[16] Antonio Cifrondi, «dopo le prime esperienze a Clusone, in provincia di Bergamo, si trasferisce a Bologna per studiare col Franceschini. In questa città che, con Venezia, aveva il primato delle novità in pittura, apprende una buona tecnica, impostata su un certo classicismo. La formazione bolognese consente all’artista di impaginare in maniera grandiosa le ampie tele e i cicli di cui dissemina soprattutto la Bergamasca. Successivamente si sposta in Francia, prima a Grenoble – sede di Chartrereuse, comunità di monaci che segue la Regola si San Benedetto nell’accezione di Chartre) e poi a Parigi dove pratica la corte reale. Lavora per Versailles, è pittore del Duca d’Harcourt, conosce Le Brun. In Francia è colpito sicuramente dalla visione diretta della natura e dalla vita degli umili che caratterizza la pittura transalpina del Seicento (la produzione di quegli anni ci sfugge per il fatto molti suoi quadri sono stati attribuiti ad altri artisti). Tra il 1715 ed il 1720 giunge a Brescia. La sua pittura è l’esasperazione del barocco veloce, di decorazione. Aveva una tecnica rapida ma sicura. Il 1722 è l’anno, documentato, delle grandi tele dei Dodici apostoli della Chiesa di San Giuseppe, attualmente conservate al Museo diocesano di Brescia. La produzione bresciana si caratterizzò per le figure di poveri, buontemponi e pitocchi. Una probabile spiegazione è da ricercare nella presenza del giansenismo, di cui i Barbisoni – nobile famiglia presso cui lavora Ceruti – e gli abati benedettini (con cui Cifrondi aveva, lo abbiamo visto, un legame particolare) sono cultori e dall’influenza del pensiero francese caratterizzato da un’attenzione partecipata verso la povera gente. Questi lavori sono estremamente numerosi e ciò induce a credere che Cifrondi si sia fermato a Brescia per almeno quindici anni». Qui, tuttavia, l’età ormai avanzata (sessant’anni) e «il suo carattere orgoglioso gli impediscono di adeguarsi ai ritmi rapidi con i quali si stava evolvendo la pittura in quel periodo e ne determinano l’emarginazione» (lo storico dell'arte Luciano Anelli in Chiara Seghezzi, Antonio Cifrondi, da Versailles a Brescia per dipingere mendicanti, poveri e furfanti, Intervista a Luciano Anelli, in Stile Arte, ottobre 2006, Sito Internet Stilearte.it, https://www.stilearte.it/antonio-cifrondi-da-versailles-a-brescia-per-dipingere-mendicanti-poveri-e-furfanti/).
BIBLIOGRAFIA DEGLI ALTRI SITI E TESTI CONSULTATI
Tributes to precarious vitality, Sito Internet del Museo Kunsthaus di Zurigo, https://www.kunsthaus.ch/deftigbarock/themen-en.html
Alessandra Anselmi (a cura di), Collezionismo e politica culturale nella Calabria vicereale borbonica e postunitaria, Gangemi editore, 2012, p. 208.
Alessandro Turchi, called l'Orbetto, Sito Internet della Galleria Antiquaria Cesare Lampronti, https://www.cesarelampronti.com/lorbetto-eng/
Restored the work Christ and the adulteress of Anton Van Dyck, Sito Internet Stem (Technical Services and equipment for museums), https://www.stem-museos.com/en/stem-company/news/2012/02/20/restored-the-work-christ-and-the-adulteress-of-anton-van-dyck
Scheda Aert de Gelder. Cristo y la mujer adúltera 1683, Sito Internet del Museo Thyssen, https://www.museothyssen.org/thyssen/ficha_obra/1094
Un peintre hollandais meconnu; Sito Internet Les Mystères de la vie du Christe de l'abbaye Sainte-Croix, https://www.alienor.org/publications/mysteres/peintre.htm
Galerie des tableaux p. 2, Sito Internet Les Mystères de la vie du Christe de l'abbaye Sainte-Croix, https://www.alienor.org/publications/mysteres/galerie2.htm
Didier Ryckner, Nicolas Colomberl. Rouen, Musée des Beaux-Arts, from 9 November 2012 to 24 February 2013, Sito Internet Art Tribune, https://www.thearttribune.com/Nicolas-Colombel.html
«CRISTO E L'ADULTERA» NEL XVIII SECOLO
IL MEDAGLIONE IN LEGNO DIPINTO (BOTTEGA DI G. SANZ)
Prodotto nella Bottega tedesca di Giovanni Sanz [17], questo medaglione dipinto sul legno è un oggetto di piccole dimensioni (cm 16.5x13.5), ed è databile tra il 1760 e il 1799. Si trova nella Diocesi di Bergamo.
L'AFFRESCO DI GIORGIO TELLIÉ
L'affresco, conservato nella Diocesi di Verona, è opera del pittore Giorgio Teillé [18]. Firmato e datato 1770, esso va probabilmente a ornare un soffitto, come si deduce dallo scorcio vedutistico il cui punto di osservazione è collocato in basso. L'architettura è ben evidenziata, quasi marcata nei suoi volumi, determinando così un forte senso prospettivo e quasi forzatamente tridimensionale. Vividi i colori di molti dei panneggi, intenso l'azzurro del cielo.
«CRISTO E L'ADULTERA» DI F. A. CANIANA
Conservato nella Diocesi di Bergamo, si tratta di un altorilievo in legno (a dispetto della colorazione data dall'artista) e di ridotte dimensioni (50x37), realizzata da Francesco Antonio Caniana [19]. L'artista opta per una rilettura profondamente semplice, ma intimistica, della scena giovannea. Gesù e l'adultera sono rimasti da soli; il Maestro è ancora chino per terra, col dito puntato là dove ha scritto le parole misteriose che hanno messo in fuga scribi e farisei. La donna si pone in posizione frontale rispetto all'osservatore, come se anche questi fosse chiamato a esprimere il proprio giudizio, mentre con la coda dell'occhio si rivolge a Cristo, attendendo da lui un gesto o una parola.
LE TELE DI G. TIEPOLO
Il Louvre ospita due tele a soggetto «Cristo e l'adultera» del famoso pittore veneziano esponente del rococò italiano (Venezia, 1696 - Madrid, 1770).
Le due scene presentano un taglio diverso: nella prima tela (1750-1751) il pittore si focalizza in modo particolare sui protagonisti della vicenda, e l'adultera ha un'atteggiamento composto, dignitoso a dispetto degli eventi. Nella seconda (realizzata tra il 1758 e il 1759) Cristo è inserito al centro della composizione, ben delineata anche dallo sfondo architettonico. La folla si accalca così nelle due partizioni spaziali, lasciando emergere maggiormente la figura di Gesù. Anche in questo caso, come nella tela di Rembrandt, la peccatrice è avvolta in una veste bianca.
La terza tela è conservata a Cardiff, presso il Museo Nazionale del Galles, dove si trova dal 1967. È interessante la presenza di un elemento non comune nelle opere raffiguranti l'adultera, ma già in parte evidenziato nella prima delle due tele del Louvre: la peccatrice appare composta, quasi "fiera", nonostante tutto quello che le sta accadendo. In modo particolare, proprio nel dipinto conservato a Cardiff questa dimensione psicologica della donna peccatrice è maggiormente sottolineata. Forse l'artista ha deciso di rappresentare (immaginandolo come realistico) il momento in cui la donna non ha ancora preso coscienza del proprio peccato, e non si è quindi, neppure pentita.
IL DIPINTO DI GAETANO GANDOLFI
Cristo e l'adultera (1774-1775 c.)
Gaetano Gandolfi [20] (San Matteo della Decima, 1734 - Bologna, 1802),dipinge più volte il soggetto evangelico dell'adultera. La seconda tela inserita in questa carrellata, databile tra il 1760 e il 1799, colpisce per il particolare taglio scelto dall'artista. Sebbene anche nella prima l'osservatore sia posto dinanzi al quadro come se lo guardasse dal basso, nella seconda si ha l'impressione di essere seduti a terra, al pari di Cristo e dell'adultera, pronti dunque a... sbirciare le misteriose parole scritte da Gesù.
NOTE
[17] Giovanni Sanz (Bergamo, 1702 - 1787) è uno scultore bergamasco, figlio d’arte. Suo padre, Bernardo, è un pittore originario della Baviera; i suoi zii (fratelli di Bernardo) sono intagliatori, e realizzano pregevoli opere anche nella Basilica bergamasca di Santa Maria Maggiore. Giovanni è inizialmente attivo - negli anni giovanili - nei paesi d’Oltralpe, in modo particolare in Austria e in Ungheria. Ritorna a Bergamo nel 1737. Cfr. Giovanni Sanz, Sito internet dell’Associazione Storico-Culturale S. Agostino, https://www.cassiciaco.it/navigazione/iconografia/pittori/settecento/sanz_giovanni/sanz.html ; Roberto Bassi-Rathgeb, Le statue a Greillenstein del bergamasco Giovanni Sanz, in Arte Lombarda, Vol 6, N. 1 (Primo Semestre 1961), Vita e Pensiero, p. 64.
[18] Giorgio Tellié (1791 ca.), pittore di origine bavarese. Studia all’Accademia di Verona, ed è molto attivo anche nel territorio del Trentino.
[19] Francesco Antonio Caniana discende da una famiglia di architetti, intagliatori e intarsiatori del legno, e ne è uno dei più importanti esponenti. I Caniana, originari di Romano di Lombardia (Bg), si trasferiscono ad Alzano Lombardo nel 1691, quando Gian Battista (1671 - 1754), il più famoso di tutta la stirpe, vi prende dimora per collaborare con Andrea Fantoni (cfr. Nota 31), e avvia la propria bottega di intarsio e intaglio del legno, in cui poi lavoreranno i suoi discendenti. «Le prime citazioni relative alla famiglia risalgono al 1559, ma bisogna arrivare ad Antonio Caniana (1606-1679) per costatare che egli fu il primo ad essere chiamato con il nome di “mastro” del legno, il suo nome è legato però solo a modesti lavori. Subito dopo, in un lasso di tempo che va dalla fine del seicento a tutto il settecento, i Caniana realizzarono una serie numerosissima d’opere d’arte: dalla tarsia, all’ebanisteria, alla cultura monumentale, in particolare Gian Battista e i suoi figli allargano l’attività tradizionale anche all’architettura con risultati degni d’attenzione a partire dalla creazione di grandi altari, fino alla sistemazione dei cori, delle sacrestie, dei pulpiti e alla progettazione di chiese. I Caniana rappresentano nella tradizione del lavoro d’intarsio, d’ebanisteria, di scultura lignea un “mestiere” tramandato nel tempo di generazioni in generazione, tipico delle grandi famiglie di artisti. Per loro l’arte era legata alla pratica manuale e al “mestiere” in senso stretto seguendo l’evoluzione del pensiero e dello stile come per ogni altra arte maggiore» (Gianni Facoetti, La famiglia dei Caniana 1650 - 1860, Blog di Giovanni Facoetti, https://www.facoetti.com/index.php/artisti-bergamaschi/76-i-caniana).
[20] «Talento più precoce rispetto al fratello maggiore Ubaldo, Gaetano Gandolfi (San Matteo della Decima, 1734 - Bologna, 1802) ne ricalca la formazione accademica seguendo i corsi di Torelli, Graziani e Lelli. I biografi ricordano, dei due fratelli, la vocazione alla pittura ed il talento dimostrato sin da piccoli. Gaetano esordisce ventenne con il ‘San Girolamo’ di Bazzano (1756), e già nella ‘Vocazione di San Giacomo’, della stessa chiesa, mostra di affrancarsi, in virtù di un classicismo più filtrato, dai retaggi locali che ancora avviluppano Ubaldo. Si cimenta anche nell’arte plastica con terrecotte eseguite per il suo protettore Antonio Buratti e con una serie di copie grafiche di capolavori locali, custodite presso la Fondazione Carisbo di Bologna. Scomparsi dal palcoscenico artistico sia il Crespi (1747) che il Creti (1749), l’arte di quel periodo attraversa un momento di stasi con figure minori, ma la presenza sul soglio pontificio di papa Lambertini, che voleva che la nostra pittura tornasse ai fasti del passato, agevola le cose. E Gaetano corrisponde alle aspettative del papa: si afferma pubblicamente come pittore, in particolare con la grande pala di Castel San Pietro (1759) ed essendo nominato, l’anno prima, accademico effettivo presso la Clementina. La strada è spianata verso le prestigiose committenze religiose, ma anche profane, all’insegna di un neo-barocco efficace quanto elegantemente siglato. Ne troviamo esempi nelle ‘Nozze di Cana’ e negli affreschi per il convento di San Salvatore (1775), nella cupola di Santa Maria della Vita (1779), nella ‘Morte di Socrate’ per monsignor Trenta, vescovo di Foligno (1782), e nella pala per la stessa città (1789). La sua fama pittorica continua ancora oggi, non solo localmente, ma anche a livello internazionale. Il figlio Mauro continuerà la sua ultima maniera» (Nicoletta Barberini Mengoli, I capolavori di Gaetano Gandolfi, pittore del sacro e del profano, in Il Resto del Carlino, https://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cultura/2011/07/20/547512-capolavori_gaetano_gandolfi_pittore_sacro_profano.shtml).
BIBLIOGRAFIA DEGLI ALTRI SITI E TESTI CONSULTATI
Attività 2002, Ufficio Beni Storico Artistici, Sito Internet Trentino Cultura, https://www.trentinocultura.net/doc/soggetti/pat/serv_beni_cult/attivita2002/uff-storico_h.asp