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    L'esperienza luogo simbolico dell'animazione


    I luoghi dell'animazione /2

    Mario Pollo

    (NPG 1995-06-69)


    Il significato della parola "esperienza"

    La parola esperienza essendo molto utilizzata nella vita quotidiana ha assunto una gamma di significati molto ampia che ha fatto evaporare il suo significato autentico, che appare oggi molto indeterminato e spesso legato al contesto linguistico in cui compare.
    Nell'orizzonte dell'animazione la parola esperienza ha un significato tutt'altro che generico e vago, in quanto indica uno dei fondamenti su cui poggia la pratica dell'animazione culturale. Il significato di esperienza che l'animazione utilizza, tra l'altro, affonda le sue radici nella più genuina tradizione della lingua italiana.
    Infatti nella lingua italiana la parola esperienza nelle sue radici più arcaiche, indica un "Atto, o serie di atti, che fornisce, o è diretta a fornire, notizia di una realtà"[1]. Questa definizione rivela come l'esperienza nella nostra cultura sia sempre stata considerata come una forma di conoscenza intorno a uno o più aspetti della realtà e, come tale sia sempre stata profondamente legata alla coscienza. Questo perché l'esperienza richiede sempre per poter essere chiamata tale che la persona che la vive sia in grado di elaborare ciò che vive, l'atto, in una forma simbolica idonea alla sua rappresentazione nel mondo della coscienza. Non è sufficiente perciò che la persona viva un certo fatto perché questo accadimento possa essere definito esperienza. Perché il fatto possa essere definito come esperienza è necessario che esso sia elaborato in una delle rappresentazione simboliche in cui, nella nostra cultura, si esprime la conoscenza.
    Questa concezione arcaica dell'esperienza è perfettamente convergente con la concezione della logica e dell'epistemologia scientifica moderna. Non è un caso che uno scienziato a proposito della possibilità dell'esperienza di essere fonte di conoscenza affermi:
    "La coscienza umana agisce come un cuscinetto che ci protegge dalla cruda realtà, creando per noi simboli ed immagini di essa. Questa capacità di rappresentare il mondo in modo succinto ci è necessaria per l'evoluzione e per la sopravvivenza: per poter imparare dall'esperienza dobbiamo avere modi per ottenere ed immagazzinare informazione sull'ambiente in cui viviamo [...]. Osservando l'ambiente che ci circonda e riflettendo su di esso, ci si rende conto dell'utilità dei simboli. Quando si considera qualcosa come un simbolo gli si attribuisce una infinità di significati [...]. Di fronte ai nudi dati dell'esperienza, la nostra mente cerca schemi e sintesi dell'informazione che ci viene offerta [...]. La scienza è la ricerca di queste abbreviazioni o "compressioni", dei frutti dell'esperienza.[...]. Qualunque forma di compressione dell'esperienza si fonda su ciò che chiamiamo simboli: le compressioni si propongono di immagazzinare grandi quantità di informazioni in un unico segno o in un'unica rappresentazione".[2]
    L'esperienza, quindi, per divenire, come già indicava il Tommaseo, fonte di informazione, di conoscenza della realtà vissuta dalla persona deve essere elaborata, attraverso uno schema logico, in una rappresentazione simbolica.
    In questa affermazione c'è la chiave che permette di individuare i caratteri che l'esperienza deve possedere per poter essere un luogo educativo, almeno dal punto di vista dell'animazione.
    Prima però di descrivere e analizzare queste caratteristiche è necessario chiarire, anche nei suoi presupposti antropologici e filosofici, il rapporto che esiste tra la realtà e la sua rappresentazione simbolica. Senza questa chiarificazione risulterebbe, nonostante l'autorevole testimonianza di Barrow, ancora alquanto oscuro il motivo per cui il vissuto diviene fonte di apprendimento, e quindi di conoscenza, solo attraverso la sua rappresentazione simbolica.

    IL MONDO DELL'UOMO

    È ancora alquanto diffusa la concezione secondo cui il mondo, ovvero la realtà materiale ed immateriale in cui si vive sia la stessa per tutti gli esseri viventi. In altre parole si pensa che ogni essere vivente percepisca, magari con sfumature, tonalità e profondità differenti la stessa realtà che percepisce l'uomo. Alla maggioranza delle persone sembra poi del tutto ovvio che tutti gli uomini, al di la delle differenze etniche e geografiche, vivano e percepiscano, quando condividono lo stesso spazio-tempo, un'identica realtà.
    Questa concezione ingenua è quella che è, tra l'altro, alla base del cosiddetto antropomorfismo e che si manifesta tutte le volte che si attribuiscono ad un animale intenzioni, sentimenti, pensieri o semplicemente percezioni simili a quelle dell'uomo.
    Nonostante la nostra cultura si sia da tempo liberata dall'errore antropomorfico il suo presupposto in qualche modo è rimasto nella mente delle persone nascosta sotto le vesti della convinzione dell'esistenza di una realtà oggettiva del mondo, unica, quindi, per tutti i viventi o perlomeno per la specie umana.
    La moderna biologia, unitamente s'intende alla filosofia ed alle scienze dell'uomo e del linguaggio, si è da tempo incaricata di demolire questa concezione. In particolare attraverso Jakob Von Uexkull ed il suo concetto di Umwelt.[3]
    Secondo l'Uexkull ogni specie di organismo vivente è una sorta di monade che abita un suo mondo specifico in cui sperimenta una sua propria esperienza particolare. Il mondo di una zecca, ad esempio, non ha nulla a che vedere con quello di un'ape. Non ci sono, infatti, in questi due mondi esperienze trasferibili dall'uno all'altro. Basti pensare che il mondo di una zecca è fatto di luce ed ombra, dalla presenza e dall'assenza di anidride carbonica e/o di acido butirrico.
    Questo perché il mondo di una specie vivente è costruito dal suo sistema recettivo, quello che gli consente di percepire gli stimoli che gli provengono dal suo ambiente, e dal suo sistema reattivo, quello che gli permette di reagire a tali stimoli. Questi due sistemi, che sono profondamente interrelati, formano quello che l'Uexkull chiama il circolo funzionale. La realtà, ovvero il mondo abitato da una specie, è costituita solo da ciò che entra in questo circolo funzionale. Ciò che non entra in questo circolo funzionale semplicemente non esiste.
    Per i membri di una specie priva di organi della visione la luce non esiste e, quindi, non appartiene al mondo di quella specie che ne ignora completamente l'esistenza, mentre ad esso possono appartenere fenomeni e realtà fisiche che per altre specie non esistono.
    Questi dati aiutano a capire come il mondo vivente non sia un mondo unitario ma, bensì, un insieme di mondi distinti che in alcuni casi hanno una parte in comune, delle intersezioni che consentono la relazione aut comunicazione tra differenti specie. La comunicazione tra specie differenti è possibile, infatti, solo se esistono delle intersezioni, delle parti in comune tra i singoli mondi delle specie.
    Due specie senza intersezioni tra i loro mondi non solo non potrebbero comunicare tra di loro, ma addirittura l'una non esisterebbe per l'altra e viceversa essendo reciprocamente invisibili.
    L'uomo si differenzia dalle altre specie viventi perché oltre a possedere sistemi recettivi e reattivi molto più ampi, ha un elemento che rende unico il suo circolo funzionale e, quindi, il suo mondo: il sistema simbolico.[4]
    Questo sistema, che è inserito tra quello recettivo e quello reattivo, è costituito dalla cultura e, in particolare, dal linguaggio simbolico che la articola e costituisce.
    L'uomo tra lo stimolo e la reazione ad esso, salvo casi limitati, compie delle elaborazioni di tipo simbolico ovvero interpreta lo stimolo e sceglie la risposta più adeguata ad esso, attraverso gli strumenti che gli offrono la sua cultura sociale e la sua esperienza personale, così come è stata rielaborata a livello simbolico. È questo il motivo per cui a volte stimoli apparentemente deboli e insignificanti producono nell'uomo reazioni molto forti, non giustificate da un'analisi biologica della relazione stimolo risposta.
    Basta pensare, ad esempio, che in alcune culture sociali un sorriso o uno sguardo ad una donna può provocare reazioni violente o compromettere chi lo fa, mentre in altre culture la stessa azione non provoca alcuna reazione particolare.
    Si può affermare che nella maggioranza dei casi l'uomo reagisce non tanto allo stimolo materiale quanto all'interpretazione simbolica che egli da di quello stimolo.
    È questa caratteristica che ha indotto alcuni filosofi del passato ad affermare che l'uomo è decaduto dalla sua condizione naturale.
    Proprio per l'esistenza di questo sistema simbolico il mondo dell'uomo non è un mondo materiale ma un mondo culturale, in cui, come si è detto, la stessa realtà fisica, di cui non si vuole certo negare l'esistenza e l'importanza, è sottoposta ad una elaborazione di tipo simbolico.
    Il fatto che l'uomo abiti un mondo culturale di tipo simbolico rende conto delle differenze, al di là di quelle genetiche, che esistono tra le persone e tra i gruppi umani dotati di differenti culture sociali. Infatti persone che abitano culture sociali differenti e che utilizzano linguaggi diversi, di fatto, abitano mondi differenti. Allo stesso modo persone che vivono esperienze diverse, che apprendono ed elaborano linguaggi differenti per qualità, estensione e sfere di significato, acquisiscono modi diversi di dare senso alla esistenza e, di fatto, abitano mondi parzialmente differenti.
    La creazione di questi mondi, sociali e individuali, avviene sin dai primi anni di vita, in quanto il bambino già nel periodo in cui completa il suo organismo attraverso la crescita incorpora gli elementi simbolici che costituiranno il suo mondo.
    La possibilità, e quindi la necessità, dell'uomo di elaborare un sistema simbolico in grado di costituire il momento centrale del suo circolo funzionale è dovuta al fatto che quando egli nasce non è un essere completo, in quanto il suo patrimonio genetico gli offre le possibilità di agire ma non i modi di agire, che dovrà apprendere sia durante le fasi del suo sviluppo che, anche se in misura minore, nell'intero corso della sua esistenza.

    IL FARE ESPERIENZA COME COSTRUZIONE DI UN MONDO

    Se si accettano questi presupposti antropologici ed epistemologici si vede come l'esperienza debba essere considerata l'azione attraverso la quale la persona riduce la complessità delle percezioni, delle sensazioni e delle informazioni che le provengono dall'ambiente in cui sta vivendo un certo fatto in una rappresentazione sintetica, logicamente coerente, di tipo simbolico.
    Senza questa riduzione ciò che la persona vive non diventa parte del suo mondo, almeno del mondo a cui ha accesso la sua coscienza.
    È questa consapevolezza che sostiene l'indicazione secondo cui l'esperienza educativa che l'animazione propone deve essere strutturata secondo un modello particolare, atto a stimolare la riduzione simbolica e l'organizzazione logica del vissuto, se si vuole che raggiunga gli scopi formativi per cui viene promossa.

    Il modello ermeneutico

    L'esperienza così come la si è finora definita richiede l'esistenza di una relazione omeomorfa [5] tra ciò che il giovane vive e la rappresentazione simbolica di ciò che ha vissuto. Questo implica che il giovane deve avere concretamente la possibilità di mettere in relazione i suoi vissuti con un sistema simbolico. In altre parole questo vuol dire che il giovane deve rappresentare, descrivere e interpretare, verbalizzandoli e concettualizzandoli, i suoi vissuti.
    Per stabilire questa relazione non è tanto importante che si parta dalla realtà per arrivare alla simbolizzazione o che, al contrario, si parta dalla simbolizzazione per analizzare la realtà, quanto che simbolizzazione e realtà siano entrambe presenti ed in relazione reciproca. In alcuni casi si potrà infatti partire dal vissuto per costruire la simbolizzazione mentre in altri casi sarà più conveniente partire dalla simbolizzazione per scoprire la realtà. L'importante è che ad ogni vissuto corrisponda sempre una rappresentazione in un sistema simbolico. In altre parole è necessario che si stabilisca una sorta di circolarità tra ciò che il giovane vive e sperimenta e il sistema simbolico attraverso cui il giovane descrive e sperimenta questo vissuto.
    Se i fatti che intessono la vita del giovane non trovano una rappresentazione omeomorfa in un sistema simbolico questi stessi fatti non saranno fonte di alcuna esperienza, quindi di alcun apprendimento per il giovane.

    La progettazione dell'esperienza

    Nello stabilire la relazione tra vissuto e sistema simbolico è fondamentale, almeno nell'orizzonte metodologico dell'animazione, il ruolo dell'animatore e del gruppo.
    L'animatore deve progettare le esperienze avendo cura che esse siano in grado di produrre quei vissuti che, prima o dopo, il giovane potrà nominare attribuendo loro un ben definito significato simbolico. Allo stesso modo è necessario che questa relazione tra vissuto è sua rappresentazione simbolica sia condivisa dal gruppo e, quindi, il giovane possa percepirla non solo come soggettiva ma come oggettiva, seppur limitatamente al contesto sociale in cui la sperimenta. Questo vuol dire che l'analisi e l'interpretazione dell'esperienza deve avvenire in modo privilegiato attraverso un lavoro di gruppo guidato dall'animatore.
    Ma non solo. Pensare all'esperienza in questo modo significa di fatto affermare che essa non può seguire il flusso più o meno casuale e caotico degli avvenimenti, ma che, al contrario essa deve esprimere un ordine, una regolarità. Questo rende l'esperienza una attività di ricerca che cerca di introdurre nella complessità, nella frammentazione, nella casualità degli eventi della vita una misura di ordine. Senza questa misura di ordine la realtà e la stessa vita non riescono a produrre per chi la osserva alcun senso. L'esperienza deve perciò essere strutturata in modo che i fatti che i giovani incontrano siano da loro percepiti come legati da dei nessi e da delle relazioni all'interno di un intreccio che offra loro un significato unitario o perlomeno leggibile.
    Questo tipo di esperienza non facilmente realizzabile se non avviene attraverso una progettazione accurata che tenga conto non solo degli obiettivi, ma anche della reale condizione dei giovani che la vivono e delle risorse materiali ed immateriali che sono disponibili per la realizzazione della stessa esperienza.
    La progettazione dell'esperienza per raggiungere questo livello di accuratezza deve essere fondata su quattro passi fondamentali.
    Il primo passo consiste:
    - nell'analisi dei soggetti protagonisti dell'intervento con particolare attenzione alla cultura sociale ed ai linguaggi che utilizzano;
    - nell'individuazione degli obiettivi che si vogliono raggiungere con l'esperienza;
    - nell'individuazione delle risorse materiali e immateriali disponibili e del tempo su cui si può contare per realizzare l'esperienza.
    Queste tre azioni debbono essere realizzate pressoché in parallelo. Una volta individuati gli obiettivi, analizzati i soggetti dell'esperienza si può procedere ad effettuare il secondo passo, che consiste nel riformulare gli obiettivi sulla scorta sia della reale condizione dei soggetti che delle risorse e del tempo disponibili.
    Gli obiettivi devono cioè venire adattati e resi compatibili sia ai soggetti a cui vengono proposti sia alle effettive risorse per massimizzare le possibilità dell'esperienza.
    Il terzo passo consiste nella scelta del metodo e degli strumenti più efficace per collegare la situazione di partenza dei giovani con gli obiettivi che debbono essere, naturalmente, compatibili con le risorse e i tempi disponibili.
    Il metodo non deve servire solo per strutturare la sequenza dei fatti che si vogliono far vivere ai giovani ma anche per mettere in relazione i fatti con l'esperienza. Per questo può essere utile sia l'utilizzo di forme narrative verbali, gestuali o iconiche, sia la riflessione razionale critica.
    Il quarto passo consiste semplicemente nella verifica sia degli obiettivi realmente raggiunti sia della adeguatezza del metodo e degli strumenti utilizzati per realizzare l'esperienza.

    La significatività esistenziale

    L'esperienza per riuscire a produrre una vera formazione dei giovani che la vivono deve coinvolgere non solo la loro parte razionale ma anche, se non soprattutto, quella affettiva ed emotiva, in quanto ogni scelta razionale per tradursi in un atteggiamento o in un comportamento deve trovare un fondamento energetico di tipo emozionale su cui fondarsi. Ma non solo. Ogni analisi razionale della realtà per produrre una risposta adeguata nel giovane che la compie deve essere acquisire un senso per la vita dello stesso giovane. Questa possibilità implica che ciò che l'analisi svela al giovane abbia o acquisisca un valore tale da fargli modificare, ristrutturare il suo mondo. La pratica educativa, terapeutica o semplicemente di vita ha da tempo dimostrato come questa ri-costruzione del mondo nell'essere umano non avvenga quando investe la sola base conoscitiva razionale dell'esperienza, ma richieda che questa tocchi le premesse esistenziali che strutturano il suo rapporto con se stesso, con gli altri e con la realtà in generale.
    Non è un caso che il significato dei segni che compongono il linguaggio umano, in particolare la lingua, sia formato dall'intreccio di significati razionali e di significati emozionali. Una parola, ad esempio, ha un significato razionale che è quello letterale che offre il vocabolario e un significato che si è formato dalla condensazione intorno alla parola di vissuti personali e sociali, positivi o negativi. Questo significa che il mondo che un linguaggio disegna è ricco di atmosfere, emozioni, sensazioni e giudizi (o pre-giudizi) che rendono quel mondo un mondo vivo e, per molti versi, unico per ogni persona.
    Ri-costruire un mondo vuol dire allora non solo cambiare le informazioni e la dimensione razionale di quel mondo, ma modificarne anche la tonalità esistenziale. Da questo consegue che il lavoro sulla simbolizzazione attraverso cui il giovane elabora la sua esperienza deve essere attenta non solo alla dimensione cognitiva ma coinvolgere profondamente la dimensione emozionale-esistenziale.
    Le esperienze debbono perciò essere progettate pensando anche ai vissuti emozionali che può provare e non solo alle informazioni che in esse il giovane può raccogliere. Il linguaggio che consente la simbolizzazione dei vissuti deve essere perciò in grado di esprimere queste emozioni a livello cosciente oltre a permetterne la strutturazione razionale a livello cognitivo.
    È questo il motivo per cui le esperienze che, ad esempio, molte tecniche di animazione propongono hanno sempre un contenuto emozionale significativo e suggeriscono l'utilizzo di linguaggi fortemente espressivi. Per lo stesso motivo l'animazione pur avendo il suo fulcro nella lingua, suggerisce molte esperienze che consentono di lavorare sui linguaggi delle immagini e del corpo che ogni persona, anche se inconsapevolmente utilizza.
    Il metodo dell'animazione, quindi, richiede che la progettazione delle esperienze avvenga non solo tenendo conto della creazione di occasioni per sperimentare alcuni vissuti, ma dei linguaggi attraverso cui questi stessi vissuti possono essere espressi, analizzati ed interpretati.
    Questa progettazione deve avvenire tanto a livello di formulazione degli obiettivi che della definizione del metodo prevista nel terzo passo del modello di progettazione prima proposto.

    Conclusione

    Come si è visto la concezione di esperienza proposta dall'animazione culturale è finalizzata a favorire quella trasformazione personale dei giovani che favorisce la loro scoperta di un mondo in cui possono abitare con più autenticità, in cui possono essere più compiutamente se stessi ed in cui la loro vita assume il senso di una storia il cui esito è talmente affascinante da abitare i confini del mistero.
    Per fare questo è necessario che l'animatore progetti esperienze in cui il giovane possa giocare tutto se stesso: il suo corpo e la sua psiche; la sua razionalità e la sua affettività; i suoi sogni e le necessità della realtà.
    Tutto questo però ancorando sempre l'esperienza intorno al territorio della coscienza. Perché la libertà e l'autonomia del giovane nascono solo se l'emozione si incontra con la ragione in questo territorio. Quando ragione ed emozione non si incontrano nella coscienza il giovane rischia di perdere se stesso nelle mille dipendenze che i magici pifferai suonano nelle piazze della nostra attuale cultura sociale.
    Il lavoro sul linguaggio e sulla cultura e la scala che consente al giovane di tornare sempre dopo le sue esplorazioni della vita nel territorio della coscienza.


    NOTE

    [1] Tommaseo N., Dizionario della lingua italiana.
    [2] Barrow. J.D., La Luna Nel Pozzo Cosmico. Contare, pensare ed essere, Adelphi, Milano 1994, p. 55
    [3] Von Uexkull J., Theoretische Biologie, Berlin 1938; Umwelt und Innenwelt der Tiere, Berlin 1921
    [4] Cassirer E., Saggio sull'Uomo, Armando, Roma 1968, p.79
    [5] Il termine omomorfismo indica che tra vari elementi di un particolare insieme corrisponde un solo elemento in un altro insieme. E che a questo elemento di questo insieme corrisponderanno solo quei vari elementi nell'altro insieme. Questo vuol dire che alcuni fatti vissuti dal giovane potranno essere in relazione con un unico concetto o un unico segno in una rappresentazione simbolica. Ad esempio alcuni modi di relazionarsi del giovane nella sua vita quotidiana corrisponderanno nel sistema simbolico del giovane al concetto di solidarietà.


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